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In alto, sulla
collina,
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dove la Oria soffia monotona e
crudele,
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al di là delle ultime, orribili
case,
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tutte uguali a quelle di tutti
gli uguali, orribili paesi,
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oltre la vecchia arrugginita
Croce
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dove il morto sosta
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per dare agio agli amici meno
amici
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di porgere il saluto e volgersi
indietro,
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in alto sulla collina
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sta il Camposanto di Rocchetta.
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Da sopra guarda ogni casa, ogni
via.
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Si avvede del trambusto, del via
vai
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davanti alle case dove volteggia la malattia
lenta come il gheppio e senza fretta.
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Si avvede del repentino urlo
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che da una porta esce alla
notizia
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del taglio inaspettato di una
vita.
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E dal paese le voci, e con le
voci le anime
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scendono e salgono tra strade e
tetti.
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Il Camposanto, al lieve
trambusto, si prepara:
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un refolo di vento nasconde la
cartaccia abbandonata.
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Drizzano il pelo i gatti randagi,
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si ritirano nell’angolo
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osservando con occhi come spilli
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l’arrivo del popolo dolente.
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Il Camposanto vibra, trema e
ammonisce:
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tutte le anime sparse tra le
meste dimore
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svelte tornano al loro posto, in
ordine
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per rispetto e onore al nuovo
spirito
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che impaurito varca la soglia
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e non sa dove andare.
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Stasera, quando farà buio, sarà
il momento brutto,
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far coraggio a questo novellino:
quasi sempre
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basta farlo parlare ed ascoltare i perché e i per come di una
vita.
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Ecco perché, più sotto, le luci di Rocchetta brillano,
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e dietro brilla pure Sant’Agata, Candela, Trevico e Scampitella.
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Brillano per far coraggio all’anima spaesata e impaurita.
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Le lucette, da lontano, non ti daranno calore, ma ti diranno
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che qualcuno, in paese, prima di dormire,
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ti pensa anche stasera.