B.Forte

 

Ragioni di un dialogo possibile

di Bruno Forte (Il sole 24 ore - domenica 4 giugno 2000)

La concezione del rapporto fra teologia e scienza è mutata profondamente negli ultimi secoli: alla teologia - "regina scientiarum" nell'enciclopedia dei sapere medioevale - la ragione moderna ha preteso di sostituire se stessa quale unica protagonista e vertice assoluto della conoscenza. Ecco perché nell'epoca iniziata dall'Illuminismo il rapporto fra teologia e scienza è stato concepito spesso esclusivamente come un conflitto. La crisi delle pretese della razionalità moderna - quale si esprime nella cosiddetta "dialettica dell'Illuminismo" - investe questo modo di concepire il rapporto fra scienza e teologia: da una parte, si avverte l'insufficienza di ogni "scientismo«, di quell'ideologia della scienza, cioè, che è stata smentita nelle sue presunzioni determinstiche assoluto dalla stessa evoluzione delle teorie scientifiche; dall'altra, appare non meno ideologico e insostenibile un uso teologico strumentale della scienza.

Teologia e scienza si scoprono così entrambe poste in questione: è forse però questa nuova povertà che consente anche un nuovo dialogo. Teologia e scienza, più umili e consapevoli del loro servizio a tutto l'uomo in ogni uomo, possono ora incontrarsi sul piano della responsabilità etica. Nel tramonto degli idoli, legati ai grandi miti dell'ideologia, esse si trovano a confrontarsi non come due mondi chiusi che si sfidano, ma come due forme del pensare e dell'agire umano, chiamate entrambe a misurarsi sull'altro per cui esistono. In realtà, il "disincanto del mondo" compiuto dalla rivelazione biblica si esprime correttamente non nel rapporto esclusivo uomo-natura, interpretato nella forma dello sfruttamento e del dominio, ma nella relazione articolata fra l'universo creaturale, la più alta delle creature e l'unico Creatore e Signore del cielo e della terra.

Sul piano etico questa relazione impegna l'uomo a render conto al Dio vivente della maniera in cui si rapporterà alla natura, che l'Eterno ha affidato alle sue cure, e tanto più del modo in cui si relazionerà all'altro uomo, come lui immagine di Dio, e all'ambiente umano, storicamente prodotto ed espresso nell'insieme dei beni culturali ambientali. Dove il dualismo greco dell'Uno e del molteplice vede l'esteriorità della creatura rispetto al Creatore, la fede biblica vede l'interiorità del mondo, il suo essere della creatura rispetto al Creatore, la fede biblica vede l'interiorità del mondo, il suo essere raccolto nel eterno dinamismo della vita divina, pur senza in alcun modo confondersi con essa. L'incarnazione del Verbo è la riprova che tra Dio e il mondo esiste una infinita vicinanza nell'infinita differenza: il Verbo incarnato rivela e rispetta l'autonomia del mondo, proprio mentre ne manifesta la destinazione ultima e la dimora presente, il suo essere in Dio, totalmente dipendente da Dio e destinato a Lui. La creazione si offre alla fede cristiana al tempo stesso come la kenosi e lo splendore della Trinità, la forma della Sua libera e gratuita autocomunicazione nella dialettica di nascondimento e di manifestazione. In nessuna creatura il gioco di kenosi e lo splendore della Trinità è più manifesto che nell'uomo: si potrebbe dire che l'essere a immagine e somiglianza di Dio ne fa il luogo dove appare lo "splendore della kenosi" proprio nella "kenosi dello splendore".

Una lettura trinitaria dell'antropocentrismo biblico non ne nega la rilevanza, ma lo caratterizza come antropocentrismo relazionale: non come despota, ma come custode e amico l'uomo è posto nel creato, si che la sua relazione col mondo sia all'insegna non del dominio, ma della comunione. In analogia con la vita relazíonale della Trinità, l'uomo è fatto per amare: come ha ricevuto in dono la propria vita e se stesso, cosi egli si realizza autenticamente solo se stabilisce con gli altri esseri umani e con tutte le creature una relazione d'amore, proporzionata a ciascuno e rispettosa del dono da ciascuno ricevuto.

Alla luce di questi principi, nessun intervento sull'ambiente naturale o umano potrà ritenersi moralmente accettabile, se comporterà in qualunque forma o misura una violazione della qualità della vita umana e della unicità e irripetibile dignità di ogni essere personale (come nel caso di interventi sull'ambiente naturale o umano a scopo meramente distruttivo - come è in situazioni belliche - o radicalmente, alterativo degli equilibri vitali esistenti - come è in interventi forzatamente imposti a partire da programmazioni razionalistiche non attente all'elemento umano, storico-culturale e spirituale). Viceversa, lì dove la qualità dell'ambiente vitale dell'essere personale sarà rispettata o promossa, gli interventi ispirati dalla scienza e dalla tecnica potranno risultare moralmente accettabili.

Il criterio di fondazione di questo giudizio etico sta nel rispetto del valore assoluto della qualità della vita, determinata non solo in base a parametri naturali, ma anche a eredità storico-culturali, e perciò nell'apertura all'orizzonte ultimo, su cui si fonda la dignità del penultimo, e che la fede cristiana riconosce rivelato nella verità semplice e grande dell'uomo donato a se stesso da Dio e perciò responsabile di sé, dei suoi simili e dell'ambiente vitale naturale e umano davanti all'Eterno. Dove c'è autonomia assoluta del protagonismo storico, lì ogni manipolazione e alienazione risulterà possibile. Dove invece è riconosciuta e accolta un'eteronomia fondatrice, lì anche le forme più avanzate di ricerca scientifica e di possibilità di intervento umano rivolto alla trasformazione dell'ambiente, inteso nell'insieme dei beni naturali e culturali che lo costituiscono, rispetteranno la centralità e il valore assoluto della persona umana e promuoveranno una cultura della vita e della sua qualità per tutti e per ciascuno.

Affermare l'eteronomia fondatrice vuol dire pertanto che il protagonista dell’intervento ambientale non dovrà mai ergersi a misura dei tutto e di tutti, dovrà anzi misurarsi costantemente sulla logica derivante da un'etica della solidarietà e della responsabilità, che solo è capace di servire tutto l'uomo in ogni uomo. La posta in gioco è la dignità stessa dell'essere umano e la qualità della vita per tutti. In questa lotta vince chi si lascia vincere: solo dove l'esistenza della persona è riconosciuta come dono da accogliere e rispettare, inviolabile nella sua sacralità, fondata eteronomamente nella Trascendenza, l'attività umana conosce dei limiti e delle misure di ordine deontologico e sfugge ai frutti dell'alienazione.

La qualità etica dell'agire umano non sta nelle possibilità della scienza e nelle sue pretese di assolutezza, ma nel suo essere consapevole dei propri rischi e delle proprie capacità in campo etico e sociale, per inserirsi ordinatamente in un progetto di umanità solidale e dì responsabilità morale nei confronti di ogni essere umano, specialmente dei debole e dell'indifeso. Il Dio della fede ebraico-cristiana non è il concorrente dell'uomo, ma il suo ultimo garante e salvatore: anche nel campo dei rapporto fra teologia e scienza. In questa luce, il grande Giubileo dell'Incarnazione - che fa memoria dell'avvento del Figlio di Dio nella nostra carne per la riconciliazione degli uomini con Dio, fra di loro e con l'intero creato - diventa una singolare occasione per stabilire un nuovo patto di solidarietà fra teologia, etica e scienza, al servizio di tutto l'uomo in ogni uomo, per la giustizia, la pace e la salvaguardia di tutto il creato.

 

 

Home ] Su ] Niccolò Machiavelli ] Giordano Bruno ] Galileo Galilei ] I libertini ] Sfondamenti cronologici ] Informazioni ]