Mea culpa ?

 

Bruno, così bruciò il desiderio dell'infinito

di Giorgio Agnisola -Avvenire-18 febbraio 2000

Mentre la città celebra il filosofo, il cardinale Sodano ribadisce: "mea culpa" senza riabilitazione. Un riesame pacato, oltre gli steccati ideologici. Rifiutò le verità cristiane, ma era spinto da un afflato religioso.

Dunque per Giordano Bruno "mea culpa", ma senza riabilitazione: questo, in sintesi, il contenuto del messaggio recante la firma del Segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, letto in apertura dei lavori del convegno sul filosofo nolano, in corso a Napoli, nel quarto centenario della sua morte sul rogo, e promosso dalla sezione "San Tommaso" della Facoltà Teologica Meridionale. Il documento ribadisce posizioni note: il riconoscimento, per esempio, su alcuni punti decisivi, della incompatibilità del pensiero di Bruno con la dottrina cristiana; rinnova il rammarico profondo della Chiesa per alcuni aspetti delle procedure con cui si svolge l'inquisizione ed in particolare per il suo esito violento; aggiunge altresì che intorno alla teologia del frate domenicano "spetta ad un'indagine ulteriormente approfondita valutare l'effettiva portata della sua divaricazione dalla fede". "Il convegno napoletano nasce proprio dal desiderio di fare chiarezza storico-teologica sull'opera di Bruno, al di là dei miti e delle passioni e fazioni - ha detto Pasquale Giustiniani, membro della commissione scientifica - scendendo in profondità nei luoghi del suo pensiero e compiendo altresì un sereno esercizio di rilettura della stessa verità dell'uomo, alla luce degli eventi che condussero al tragico epilogo". Un convegno, in sostanza, alimentato da quello spirito di "purificazione della memoria", indicato dal Pontefice, che è "un riguardarsi con serena obiettività - ha detto nel suo intervento Georges Cottier, teologo della casa pontificia e autore di un saggio appena edito dalla San Paolo intitolato appunto "Memoria e pentimento" - tenendo presente che la memoria stessa deve essere considerata a partire dal mistero della Chiesa santa, che pure comprende nel suo seno dei membri peccatori". D'altra parte "la ragione ultima dell'invito del Papa va riconosciuta nella sua incondizionata fiducia nella forza della Verità - ha ribadito un altro teologo, Bruno Forte - che sola rende liberi. Dunque, la domanda di perdono non deve essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della storia della Chiesa, ma come esigenza irrinunciabile di verità e come atto di libertà profetica, che esce dal calcolo dei risultati immediati e si impone nell'orizzonte dell'obbedienza a Dio". "Entrando nel merito - ha poi spiegato ancora Giustiniani - va detto che soprattutto nel XIX secolo, e ancora oggi, il pensiero di Bruno è stato spesso strumentalizzato, ora reso emblematico di una determinata fazione politica o ideologica che si attribuisce la funzione di bandiera della libertà e del pensiero avanzato, ora assurto a simbolo di un attacco frontale all'istituzione ecclesiastica". In che senso, allora, la teologia di Bruno è estranea alla dottrina cristiana? "Non perché non nasca dentro il cristianesimo - ha affermato nel suo intervento lo storico Michele Ciliberto, uno dei massimi studiosi del pensiero del frate nolano - ma perché si nutre spesso di convincimenti che di fatto lo rinnegavano. Per esempio, Bruno considerava la civiltà ebraico-cristiana una civiltà di decadenza rispetto a quella egizia. Negava la divinità di Cristo, riteneva che il divino fosse del tutto incommensurabile con l'umano. E quindi banalizzava la teologia trinitaria". Monsignor Domenico Sorrentino ha invece precisato che "Bruno fu un uomo autenticamente desideroso di proiettarsi verso l'infinito di Dio: le sue opere sono intrise di pathos religioso. Dunque, l'ammissione chiara della sua eccentricità, rispetto ai cardini teologici del cristianesimo, non esime dal compiere una rianalisi pacata e soprattutto approfondita del suo pensiero".

 

 

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