N.Bobbio
Religione e religiosità ]

 

Lettera ad alcuni amici su Fides et ratio

Micromega (2/2000)

I vostri commenti all’enciclica Fides et ratío non mi hanno molto convinto. Mi pare che abbiate ecceduto nell'analisi testuale con copiose citazioni e nella ricerca delle contraddizioni interne al testo. Oggi l'avversario più pericoloso contro il quale dovrebbe combattere la Chiesa non sono le varie filosofie dominanti, forti o deboli che siano, che si oppongono, come sempre si sono opposte, alla filosofia perenne. Che cosa contano oggi nel mondo queste filosofie se non per alimentare dispute fra dotti? L’avversario più pericoloso delle verità tramandate dalla Chiesa attraverso la rivelazione, con o senza il soccorso della filosofia perenne, è il progresso tecnologico sempre più rapido, irresistibile e irreversibile, prodotto e continuamente alimentato dall'enorme sviluppo delle scienze. Brevemente, ciò che minaccia le verità tramandate non è la ragione filosofica, ma, è la ragione scientifica. Il processo di secolarizzazione, la cosiddetta età del disincanto, è nato non dalla ribellione di Lutero, ma dalle scoperte di Galileo. Per fare un esempio, il concetto di anima viene messo in discussione non tanto da vecchie dispute tra filosofi, ma dagli sviluppi della ricerca neurologica, dalla sempre più vasta e approfondita ricerca nel vastissimo, e ancora soltanto in parte penetrato, mondo della «galassia mente», per usare l'espressione di Rita Levi Montalcini.

Come si può dare una direzione alla storia del prossimo millennio senza prendere una netta posizione, ad esempio, sull'avvento di armi sempre più micidiali e sempre più facili da usare, sull'aumento della popolazione, sulla distruzione dell'ambiente, sulla globalizzazione selvaggia che rischia di produrre sempre maggiori diseguaglianze e di rendere sempre più marginale, e destinata alla sparizione, gran parte del continente più povero, l'Africa, come accadde qualche secolo fa nel «nuovo mondo», sull'estendersi di traffici illeciti (mafiosi), dove contano soltanto i rapporti di forza (altro che i benefici effetti del mercato!)?

Ma che cosa ha a che fare tutto questo travolgimento della vita sul nostro pianeta, travolgimento che è l'effetto, ripeto, del progresso tecnico-scientifico, col vecchissimo tema affrontato dal papa dei rapporti tra fede e ragione?

Non sarebbe il caso, invece, di invitare la Chiesa, e chissà forse anche le altre religioni, a prendere atto più realisticamente delle trasformazioni in corso che costituiranno il tema di discussione e il punto di scontro del terzo millennio?

Nell'enciclica il sapere scientifico è sempre considerato come un sapere parziale, limitato, utilitario, che non è in grado di porsi «domande di senso», e per questo deve essere continuamente sottoposto al controllo della filosofia e della rivelazione, che sole sono in grado di rispondere alle domande ultime. Quasi sempre è abbinato al sapere quotidiano.

Fondamentale è il § 30, in cui si fa un rapido cenno delle diverse forme di verità. Al punto più basso stanno le verità scientifiche: Le più numerose sono quelle che poggiano su evidenze immediate o trovano conferma per via di esperimento. E' questo l'ordine di verità proprio della vita quotidiana e della ricerca scientifica». A un livello più alto si trovano le verità di carattere filosofico e quelle di carattere religioso.

Strettamente connessa alla svalutazione della ricerca scientifica è la critica radicale della mentalità positivistica «che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale». Con la conseguenza che certi scienziati non hanno più un loro specifico interesse alla persona e alla globalità della sua vita. Ve ne sono addirittura che «consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico» sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, «alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano» (§ 46).

Un intero paragrafo (§ 88) è dedicato alla critica dello scientismo, che si rifiuta di ammettere altre forme valide di conoscenza, e relega i valori a semplici prodotti dell'emotività. In tal modo la, scienza «si prepara a dominare tutti gli aspetti della esistenza umana attraverso il progresso tecnologico». Sono gli «innegabili» successi della ricerca scientifica e della tecnologia contemporanea che hanno contribuito a diffondere «la mentalità scientista, che sembra non avere più confini». Le domande di senso vengono relegate al dominio «dell'irrazionale o dell'immaginario».

Nelle ultime pagine il pontefice si rivolge anche agli scienziati con queste parole: «Il cammino da essi compiuto ha raggiunto specialmente in questo secolo traguardi che continuano a stupirci». Peraltro, pur esprimendo la sua ammirazione e il suo incoraggiamento, il pontefice sente «il dovere di esortarli a proseguire nei loro sforzi restando sempre in quell'orizzonte sapienziale, in cui alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche si affiancano i valori filosofici ed etici» (§ 106).

A dire il vero, il primo accenno alla scienza si trova al § 25, dove partendo dall'aristotelico «tutti gli uomini desiderano sapere» si conclude: «Qui sta il motivo di tante ricerche, in particolare nel campo delle scienze, che hanno portato negli ultimi secoli a cosi significativi risultati, favorendo un autentico progresso dell'umanità intera». Non è detto però in che cosa questo progresso consista, se si tratti di un progresso morale, materiale o sociale.

Dall'insieme di questi brani si trae l'impressione che il progresso scientifico e tecnologico sia oggetto di ammirazione, da un lato, ma anche di preoccupazione, il che è perfettamente comprensibile. Ma si ha nello stesso tempo anche l'impressione che non se ne valutino fino in fondo gli effetti travolgenti anche rispetto alle «Verità» tramandate e recepite dalla tradizione. Nessuna di queste verità, dal numero degli anni della creazione che è stata la prima a cadere, sino alla visione generale dell'universo con le sue infinite galassie, che è ancora in corso di scoprimento, resiste di fronte agli ammirati e nello stesso tempo paventatí successi del sapere scientifico, considerato inferiore e di conseguenza controllabile dalle forme superiori di sapere. Sembra che non si abbia il minimo sospetto dell'autonomia del sapere scientifico rispetto a quello filosofico e a maggior ragione rispetto alle verità di fede, un'autonomia che si è andata estendendo e rafforzando via via che il sapere scientifico ha esteso il proprio campo di indagine dalla natura fisica alla mente umana. Attraverso questo sconvolgimento come si recuperano le «verità» tradizionali? E se non possono essere più in alcun modo recuperate, come la drammatica vicenda di Galileo insegna, non si dovrà riconoscere che il sapere scientifico nelle sue varie forme impone ai cosiddetti saperi superiori lo sforzo di revisione, di cui nel documento che stiamo esaminando non c'è alcun sentore?

Tra i commenti che mi è accaduto di leggere, mi sembra che solo Giulio Giorello abbia concentrato la propria attenzione sul tema della scienza (Aut Aut, maggio-agosto 1999, pp. 10-13). Dopo aver messo in particolare rilievo i passi in cui nel documento la scienza è considerata, in modo particolare i §§ 25 e 106, osserva che scienza e religione sono inconciliabili, perché la scienza è fallibile, la religione infallibile. Scrive: «La vera questione non riguarda cosi tanto l'abusata contrapposizione tra fede e ragione, quanto quella tra fallibilismo e infallibilismo, tra una verità che non è capace di. salvare neanche se stessa e una verità che promette la salvezza a chiunque vi aderisca, tra una ragione che misura la propria gratuità e finitezza senza aver bisogno né di colpa né di grazia e una ragione che nella colpa e nella grazia trova il proprio sostegno e la propria giustificazione» (Ivi, p. 12). Di fronte a questa opposizione, sostiene l'autore, si deve avere il coraggio etico e anche politico di scegliere. Citando l'immagine bruniana della fenice che sceglie il suo nido nel fuoco che la distrugge, «con dubio de reveder il sole», conclude che forse questo «dubio», in tutta la sua potenza, racchiude l'esperienza più drammatica del pensiero (ivi, p. 13).

 

 

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