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Andar per ... querce in Mugello
 

Quanta storia nei tronchi
delle querce mugellane....

 
La recente vicenda della Quercia secolare tra Borgo Rinzelli e Scarperia, mi ha fatto pensare al paesaggio mugellano di alcuni secoli fa, legato all'ordinamento colturale dei poderi delle fattorie di collina con boschi di querce e seminativi a grano quelli fertili, a grano vecciato e segalato quelli più poveri, come ci dice nel suo bel saggio di agricoltura mugellana, Matteo Biffi Tolomei. Come è noto i boschi cedui quercini servivano per la produzione di legna da ardere e fascine e carbone, ed avevano il turno molto più breve rispetto all'attuale, intorno ai dieci anni e venivano "stipati" cioè puliti dalle scope e diradati. Le querce erano presenti vicino alle case coloniche, come al Bosco ai Frati, o in mezzo ai campi di grano, come a Galliano di Mugello, dove ancora oggi si può ammirare la quercia dei mietitori, oppure erano e sono presenti lungo le strade che portano da Borgo San Lorenzo a Luco di Mugello, le querce della Fattoria di Corte; in pianura, sul fondovalle lungo la strada che da Borgo San Lorenzo conduce a Sagginale, sono presenti invece le querce legate all'ambiente umido, le farnie di Montazzi, o a Vicchio specie più resistenti all'umidità come la roverella. Le querce dei mietitori un tempo erano lasciate nei campi per riparare dal sole con la loro ampia chioma i contadini che iniziavano a segare a mano, il grano con la falce munita di denti, nel mese di giugno, lo legavano in mantelli, facevano i covoni e le biche, lo portavano sull'aia dove facevano la barca, e continuavano nei mesi di luglio e agosto con la battitura che veniva eseguita a correggiato. Con le trebbie mosse da macchine a vapore, alla fine dell'ottocento e poi da trattrici a testa calda.
Le querce venivano potate per la legna e la frasca ed allevate ad alto fusto dai contadini per avere abbondante ghianda che veniva raccattata dai ragazzi, messa in delle grandi ceste di castagno e data al bestiame vaccino, per integrare la scarsità di foraggio, ai maiali e conigli dopo averla schiacciata; per l'ingrasso nell'inverno. Querceti di questo tipo, non molto grandi, erano e sono ancora diffusi nella zona di Polcanto, in comune di Borgo San Lorenzo, il querceto dell' Amerighi, il querceto di Casalta della fattoria dei Cini, il querceto di Tondi, il querceto di Lastreto sono una testimonianza dell'uso passato e di una selvicoltura strettamente legata all'agricoltura. Vorrei ricordare che il bosco era di proprietà della fattoria e il contadino non poteva fare fascine per scaldare il forno, né tagliare alberi senza il consenso del padrone, del fattore o del guardia. Le querce servivano infatti per legna da opera, in tempi più recenti per fare traversine ferroviarie fino all'avvento delle traverse in cemento armato. Le querce di Polcanto venivano comprate dall'impresa boschiva Vannoni di Borgo San Lorenzo, tagliate da tagliatori con accette e segoni, portate con i buoi a strascico fino alla via Faentina e trasportate alla segheria di San Piero a Sieve del Lisi. Una parte della lavorazione era effettuata in bosco dai segantini con la sega a telaio, come si è potuto vedere nella mostra di attrezzi del bosco, allestita alla Fiera Agricola mugellana in giugno dal Gruppo d'Erci. La storia delle querce del Mugello è però legata anche ai grandi eventi del Congresso di Vienna del 1815 ed alla Restaurazione dopo la caduta dell'Impero di Napoleone. Infatti Austria ed Inghilterra si, accordarono per il potenziamento della flotta inglese per controllare la Francia ed il Mediterraneo.
Cosi dal 1815 al 1824, ventimila querce dal Mugello presero la via di Livorno per gli arsènali inglesi. Le dimensioni richieste dagli ingegneri navali, ispettori della marina, erano le seguenti: altezza all'inserzione della chioma sul tronco, braccia 7, cioè m. 4,06; diametro braccia 3,5, cioè m. 0,67. Secondo un trattato di architettura navale dell'epoca, per costruire un vascello occorreva un acro di bosco di querce, cioè 4.000 mq. Per gli alberi maestri, venivano invece impiegati abeti delle foreste casentinesi di 30 m. di altezza.
Ipotizzando una densità di 100 piante per ettaro, su 4000 mq si ottiene una densità di 40 querce per ettaro che moltiplicato per il volume di una singola quercia di 4 metri di altezza e diametro 0,7 m. da un volume di mc 0,5, usando la formula commerciale, ed un volume di circa 20-30 mc per vascello, per la chiglia, le ordinate ed il fasciame.
Quindi se fossero state utilizzate tutte per costruzioni navali, si sarebbero potuti costruire con 20.000 querce e circa 20.000 mc di legname almeno 500 vascelli. Il legno di quercia, si sa, se tenuto immerso nell'acqua e ben lisciviato resiste moltissimo alla corruzione. Per questo motivo oltre che nei bacini degli arsenali, venivano tenute immerse nell'acqua del bottaccio anche dai nostri mugnai, per costruire all'occorrenza il nuovo ritricine, cioè la turbina motrice delle macine, visibile al mulino della Madonna dei Tre Fiumi (Borgo San Lorenzo) o una volta al mulino di Mulinaccio (Borgo San Lorenzo) o della Pieve di Sant'Agata e, fino a due anni fa, al mulino dell'Arsella di Vicchio ed oggi al Mulino Faini di Grezzano.
Lungo i nostri torrenti si possono ammirare ancora oggi bellissime querce allevate dai vecchi mugnai per questo scopo.
Per tutte queste cose occorrerebbe un maggior rispetto per questi grandi patriarchi rimasti.

[Luciano Cavasicci -  da "Il Galletto" del 28 agosto 2004]