" Il pievano Ancillotti,
giunto a Sant'Agata nel delicatissimo periodo del dopoguerra,
pur fedelissimo alla dottrina sociale della Chiesa, tende a tutti
la mano ed inizia l'organizzazione di opere sociali ricreative
valide a non disperdere, anzi a mantenere la religiosità
popolare, effermatasi lungo i secoli. Sa stare
con i tempi: ripone il cappello di pelo lungo con tanto di nappe
e non rifiuta il basco ed anche il clergyman. Facendo
il resoconto dei festeggiamenti per il cinquantesimo di Sacerdozio,
i Santagatesi scrissero nell'Osservatore Toscano: «Dall'animo
di ognuno si è innalzata la preghiera e l'augurio di averlo
per tanti anni guida e maestro». Ma, partito
per Palidoro, nella casa marina per il clero, come faceva da
qualche anno, il cuore non resse all'emozione di quei giorni. Le campane che avevano suonato a distesa per la sua
festa, dopo pochi giorni ne annunziarono la morte e chiamarono
il popolo alla preghiera di suffragio. " |
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" «Vita
mea canticum tibi». Nella mia vocazione sacerdotale, maturata
nel clima del dopo guerra, vedevo una chiamata di Dio che mi
spingeva a collaborare con Lui ad una ricostruzione, sulle basi
della Fede, di un popolo cristiano messo a dura prova da un conflitto
che non era stato solo politico, ma anche ideologico, culturale
e morale. Ed entrai come parte attiva nel grande
coro della Chiesa fiorentina diretta dall'indimenticabile Dalla
Costa che mi conosceva personalmente, mi stimava, mi esprimeva
affetto benevolenza e incoraggiamento. E cantai, nell'obbedienza,
tutta la musica che mi fu richiesto di cantare: ... Ho
sempre avuto in tutta la mia vita il dono specialissimo e meraviglioso
di un qualche prete che si occupasse con amore e saggezza della
mia vita interiore e mi guidasse passo, passo. Come
tutti noi preti, certo: dai nostri buoni parroci fino alle figure
sante che non ci sono mancate nella nostra Diocesi. Eppure ho
la sensazione che a me Dio abbia voluto darne una dotazione in
aggiunta, perché il "prete per me" l'ho sempre
avuto lì, a due passi, magari in casa con me o in frequentazione
quotidiana. Forse dipende anche da questo se nella mia vita sacerdotale
non ci sono state crisi serie o momenti nei quali senti la fatica
del salire o senti la solitudine o l'infiacchimento della fede. Il punto che mi sembra sia stato sempre il più
fragile nella mia pratica pastorale è stato questo: la
mancanza di progettualità o di inventiva personale e quindi
la dipendenza e la richiesta di un aiuto progettuale degli altri,
dal Parroco, quando ero cappellano, dal Vescovo.
A volte penso che la mia dimensione vera era quella di "cantare
nel coro". Non mi sembra di essere chiamato a cantare "a
solo".
Mi sembra, per es ., che avrei fatto molto bene il ... sacrestano!
Da laico il manovale. Ho una particolare propensione a seguire
con gli occhi "le mani del padrone" come le serve del
salmo.
E invece, come tutti prima o poi, qualcuno ( o Qualcuno ? ) mi
chiama a uscire dal gruppo e mi fa cantare " a solo ".
Probabilmente non perché abbia una buona voce, ma per
"risentirmi la parte". E mi piacerebbe davvero sapere
se so cantare intonato, preparato e in sintonia con l' insieme.
So comunque che sono esecutore e non compositore.
Don Palanti è andato via in grande silenzio, senza sembrare
di fare una cosa importante, decisiva; ma scontata, attesa e
preparata.
Ho raccolto una serie di piccoli segni che mi hanno convinto
che lui presentisse che "quel qualcosa" era vicino.
Desiderava tanto che la sua partenza fosse "subitanea"
e così è stato; desiderava che non fosse "improvvisa",
impreparata; cioè senza grazia di Dio, senza l'olio nella
lampada, e così è stato. Io che gli sono stato
intimo in questi quasi undici anni di incontri quotidiani e lui
che è stato intimo a me, posso testimoniare davanti a
Dio del suo continuo progresso nella comunione con Dio, del suo
distacco progressivo dalle cose che aveva amato, insieme alla
crescita della nostra fraternità sacerdotale. La sua mancanza
si fa vuoto sempre più profondo per me ogni giorno di
più.
Ho fatto conto di parlare ad ... un amico. E quale amico più
grande e sicuro del proprio Vescovo? ! Nel caso io non abbia
più il dono di un prete vicino vorrà dire che,
ogni tanto, le scriverò. Forse farà piacere anche
a Lei. Intanto mi preparo a stare sulla breccia finche il Signore
vorrà. Sarebbe bello, al momento della morte, aver completato
il lavoro che il Signore ci aveva affidato! Questa, sento, è
la più profonda spina ora che il tempo si fa più
breve: lasciare ancora tante cose incompiute, forse per omissione,
per pigrizia ...
Mi benedica.
Quando lesse il testamento di don Palanti tralasciò il
brano dove lui le diceva che le ha voluto "tanto, tanto
bene", in risposta al suo, naturalmente. Ecco glielo scrivo
anch'io: «Le voglio tanto, tanto bene, non quanto Lei a
me». " |
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