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Edo Giovanni Ancillotti
Pietro Palanti
Francesco Parigi

Da "Fratelli ed amici" del Cardinale Silvano Piovanelli, abbiamo tratto il ricordo di tre Sacerdoti a noi cari sia perché legati a Sant'Agata sia per l'amicizia e l'affetto che ci hanno unito.

   

don Edo Giovanni Ancillotti
19 ottobre 1919 - 8 luglio 1983
 

"     Il pievano Ancillotti, giunto a Sant'Agata nel delicatissimo periodo del dopoguerra, pur fedelissimo alla dottrina sociale della Chiesa, tende a tutti la mano ed inizia l'organizzazione di opere sociali ricreative valide a non disperdere, anzi a mantenere la religiosità popolare, effermatasi lungo i secoli.
Sa stare con i tempi: ripone il cappello di pelo lungo con tanto di nappe e non rifiuta il basco ed anche il clergyman.
Facendo il resoconto dei festeggiamenti per il cinquantesimo di Sacerdozio, i Santagatesi scrissero nell'Osservatore Toscano: «Dall'animo di ognuno si è innalzata la preghiera e l'augurio di averlo per tanti anni guida e maestro».
Ma, partito per Palidoro, nella casa marina per il clero, come faceva da qualche anno, il cuore non resse all'emozione di quei giorni.
Le campane che avevano suonato a distesa per la sua festa, dopo pochi giorni ne annunziarono la morte e chiamarono il popolo alla preghiera di suffragio.     "

 
       
 

don Pietro Palanti
1° luglio 1911 - 16 giugno 1994

"     L'ho conosciuto dopo essere stato nominato Arcivescovo di Firenze. Nella sua prima lettera mi invitava a prendere un po' di riposo e di fresco a Lumena. «Lumena -mi diceva- si presta bene anche per un po' di ritiro spirituale. Io lo faccio da un anno all'altro. Ormai faccio una vita da eremita e sono contento. Ho qui il Tabernacolo santo e questo mi basta».
In una sua di dieci anni dopo (1993) mi fa una confidenza tenerissima: «Le sue parole mi richiamano alla mente il giorno della mia Ordinazione, ormai tanto lontana, e la mia santa mamma. Infatti quando mi ritirai nella mia camera e mi ero oramai coricato, sento bussare alla porta, era la mia mamma che mi disse: "Voglio ribaciarti le mani, sono consacrate." Fede dei nostri vecchi!».     "

       

don Francesco Parigi
20 aprile 1929 - 22 aprile 1996
 

"     «Vita mea canticum tibi». Nella mia vocazione sacerdotale, maturata nel clima del dopo guerra, vedevo una chiamata di Dio che mi spingeva a collaborare con Lui ad una ricostruzione, sulle basi della Fede, di un popolo cristiano messo a dura prova da un conflitto che non era stato solo politico, ma anche ideologico, culturale e morale.
Ed entrai come parte attiva nel grande coro della Chiesa fiorentina diretta dall'indimenticabile Dalla Costa che mi conosceva personalmente, mi stimava, mi esprimeva affetto benevolenza e incoraggiamento. E cantai, nell'obbedienza, tutta la musica che mi fu richiesto di cantare: ...
Ho sempre avuto in tutta la mia vita il dono specialissimo e meraviglioso di un qualche prete che si occupasse con amore e saggezza della mia vita interiore e mi guidasse passo, passo.
Come tutti noi preti, certo: dai nostri buoni parroci fino alle figure sante che non ci sono mancate nella nostra Diocesi. Eppure ho la sensazione che a me Dio abbia voluto darne una dotazione in aggiunta, perché il "prete per me" l'ho sempre avuto lì, a due passi, magari in casa con me o in frequentazione quotidiana. Forse dipende anche da questo se nella mia vita sacerdotale non ci sono state crisi serie o momenti nei quali senti la fatica del salire o senti la solitudine o l'infiacchimento della fede.
Il punto che mi sembra sia stato sempre il più fragile nella mia pratica pastorale è stato questo: la mancanza di progettualità o di inventiva personale e quindi la dipendenza e la richiesta di un aiuto progettuale degli altri, dal Parroco, quando ero cappellano, dal Vescovo.
A volte penso che la mia dimensione vera era quella di "cantare nel coro". Non mi sembra di essere chiamato a cantare "a solo".
Mi sembra, per es ., che avrei fatto molto bene il ... sacrestano! Da laico il manovale. Ho una particolare propensione a seguire con gli occhi "le mani del padrone" come le serve del salmo.
E invece, come tutti prima o poi, qualcuno ( o Qualcuno ? ) mi chiama a uscire dal gruppo e mi fa cantare " a solo ". Probabilmente non perché abbia una buona voce, ma per "risentirmi la parte". E mi piacerebbe davvero sapere se so cantare intonato, preparato e in sintonia con l' insieme. So comunque che sono esecutore e non compositore.
Don Palanti è andato via in grande silenzio, senza sembrare di fare una cosa importante, decisiva; ma scontata, attesa e preparata.
Ho raccolto una serie di piccoli segni che mi hanno convinto che lui presentisse che "quel qualcosa" era vicino. Desiderava tanto che la sua partenza fosse "subitanea" e così è stato; desiderava che non fosse "improvvisa", impreparata; cioè senza grazia di Dio, senza l'olio nella lampada, e così è stato. Io che gli sono stato intimo in questi quasi undici anni di incontri quotidiani e lui che è stato intimo a me, posso testimoniare davanti a Dio del suo continuo progresso nella comunione con Dio, del suo distacco progressivo dalle cose che aveva amato, insieme alla crescita della nostra fraternità sacerdotale. La sua mancanza si fa vuoto sempre più profondo per me ogni giorno di più.
Ho fatto conto di parlare ad ... un amico. E quale amico più grande e sicuro del proprio Vescovo? ! Nel caso io non abbia più il dono di un prete vicino vorrà dire che, ogni tanto, le scriverò. Forse farà piacere anche a Lei. Intanto mi preparo a stare sulla breccia finche il Signore vorrà. Sarebbe bello, al momento della morte, aver completato il lavoro che il Signore ci aveva affidato! Questa, sento, è la più profonda spina ora che il tempo si fa più breve: lasciare ancora tante cose incompiute, forse per omissione, per pigrizia ...
Mi benedica.
Quando lesse il testamento di don Palanti tralasciò il brano dove lui le diceva che le ha voluto "tanto, tanto bene", in risposta al suo, naturalmente. Ecco glielo scrivo anch'io: «Le voglio tanto, tanto bene, non quanto Lei a me».    
 "