feninno vito, la repubblica di tersite.jpg
                  SITO PER CUORI RIBELLI                            QUESTO SITO E' DEDICATO A TERSITE                                               FONDATORE VITO FENINNO

L

             Il futuro del capitalismo dopo la crisi economica mondiale del 2008

Home Su collasso dell impero americano Il crollo di wall street Cia, Usa 20 anni di declino Tremonti manovra anticrisi Tremonti premi produttivita anticrisi

 Tremonti premi produttivita anticrisi

 

 

 

 

ECONOMIA. Il governo replica il provvedimento di detassazione per i premi di produttività. Che però non serve allo scopo dichiarato (aumentare la produttività, appunto), ma a ridurre il costo del lavoro e dare più libertà agli imprenditori nella gestione del salario

L'ANALISI

La produttività non dipende dalla buona volontà


  di CARLO CLERICETTI


Nel 1935 Aleksej Stachanov, minatore sovietico, batté per la prima volta il record di tonnellate di carbone estratte in un turno. La sua enorme capacità di lavoro è diventata proverbiale, tanto da aver dato origine a un aggettivo. Ma non aveva usato solo i muscoli e la buona volontà: aveva anche inventato un nuovo metodo di estrazione, che permise di aumentare la produttività di quel lavoro di ben 14 volte.

reddito_minimoSe Stachanov fosse nato un po' prima e negli Stati Uniti invece che in Russia, magari avrebbe potuto trovarsi ad essere un operaio della Ford. E avrebbe sperimentato, intorno al 1913, quella evoluzione organizzativa che avrebbe in seguito caratterizzato le fabbriche per buona parte del secolo. Henry Ford, che doveva fronteggiare il boom di richieste per la famosa Model T, cominciò a studiare il modo di rendere più efficiente la produzione e verificò che si risparmiava un sacco di tempo facendo arrivare i materiali vicino alle persone invece di far andare in giro gli operai a procurarsi i materiali che servivano: nasceva la catena di montaggio e la produttività della Ford fece un balzo enorme, aumentando di otto volte; la produzione quadruplicò in due anni pur con una riduzione della manodopera, come racconta lo storico David Landes. Certo, poi bisognava che gli operai si dessero da fare, e abbiamo visto anche nei film il "capetto" con il cronometro che misura quanto ci mette l'operaio a fare la sua parte di lavoro. Ma senza l'invenzione precedente anche la massima buona volontà avrebbe generato una produttività assai inferiore.

A volte non è neanche questione di un'idea rivoluzionaria. Il sottoscritto fa il giornalista su Internet: se l'azienda non mi fornisce un computer di adeguata potenza, se per risparmiare non sceglie il software migliore ma uno più a buon mercato (e così via), riuscirò lo stesso a fare il mio lavoro, ma ci metterò più tempo e fatica e probabilmente il risultato complessivo sarà inferiore a quello che avrebbe potuto essere. In altre parole, risulterò meno produttivo.

Il premier Silvio Berlusconi, preannunciando martedì la confermata della detassazione dei premi di produttività, ha detto: "In questo modo l'azienda potrà decidere degli aumenti legati all'impegno dei suoi collaboratori. E questo incremento graverà sulla retribuzione non più al 46% ma al 10%. Così si passerà da una contrattazione nazionale ad una contrattazione aziendale". Per Berlusconi, dunque, la produttività dipende dall'"impegno" dei dipendenti. Gli esempi richiamati sopra servivano a dimostrare che, se certo l'impegno di chi lavora è necessario, non è che una parte, e certamente non la più importante, di quella cosa complessa che è la produttività. I lavoratori possono anche diventare tanti Stachanov, ma se l'organizzazione aziendale non è adeguata, se le procedure non sono ottimali, se le tecnologie non vengono utilizzate e continuamente aggiornate - tutte cose, queste ed altre, che non dipendono dai lavoratori - la produttività non aumenterà. Non sembra molto giusto che una parte della retribuzione sia legata a fattori che sono fuori dalle possibilità d'intervento di chi la percepisce.

C%u2019è di più. L%u2019economista statunitense William Baumol ha osservato che per suonare un quintetto di Mozart che dura mezz%u2019ora sono necessarie, da oltre due secoli, due ore e mezza di preparazione. Non c%u2019è stato aumento di produttività in questo caso, e com%u2019è evidente non potrebbe esserci. Così come non può esserci per un insegnante che deve spiegare il teorema di Pitagora (esempio, questo, ricordato da Roberto Pizzuti), che pure deve necessariamente far parte del bagaglio di conoscenze di ciascuno. Questo per dire che una cosa è la produttività complessiva del sistema-paese (che dipende, anche, dal fatto che sia conosciuto il teorema di Pitagora), e altra cosa è la produttività di singoli settori o comparti, che dipende essenzialmente dalle possibilità di applicare gli sviluppi tecnologici. Perché questo debba tradursi in un premio (fiscale) per le imprese che operano nei settori “fortunati” e in un handicap (salariale) per i lavoratori che ne sono fuori, può sembrare un problema filosofico, ma diventa un problema economico (di macroeconomia) quando ci si trova alle prese con una crisi dei consumi.

Quanto agli straordinari, forse il governo ha preso atto della serie di motivi per cui il provvedimento è inopportuno
(vedi questo articolo). In estrema sintesi: non solo questa misura non è a vantaggio di tutti i lavoratori, perché solo una parte di essi fa gli straordinari; non solo genera una quantità imponderabile di elusione fiscale; ma può aumentare la produttività pro-capite (anche se nelle ultime ore di lavoro si ha inevitabilmente una produttività più bassa), ma non quella per ora lavorata, che dipende appunto da quegli altri fattori. Se ne è del resto avuta una riprova con i recenti dati Istat: l'anno scorso le ore lavorate sono aumentate, ma il Pil per ora lavorata (cioè il valore aggiunto prodotto con ogni ora di lavoro) è diminuito.

C'era poi un altro motivo: favorire gli straordinari significa non favorire l'occupazione. Una recente indagine della Banca d'Italia ne fornisce la conferma: nel sondaggio periodico sulle imprese, alla domanda sui livelli occupazionali del 2008 il 20,8 ha risposto che prevede una diminuzione rispetto allo scorso anno; e di queste quasi un terzo (il 27%) ne ha indicato la causa proprio nel provvedimento sugli straordinari. In altre parole, senza quel provvedimento avrebbero fatto delle assunzioni, invece in queste condizioni è stato più conveniente ricorrere agli straordinari di chi già lavorava.

In questi ultimi tempi si sono sentiti più di una volta esponenti dell'opposizione criticare la detassazione degli straordinari perché, in una fase di crisi "nessuno fa straordinari". Errore: è del tutto probabile che gli straordinari coesisteranno, in apparente paradosso, con la cassa integrazione, perché serviranno a ridurre il più possibile gli organici. Anche perché un'ora di straordinario all'azienda costa meno (il 28% in meno) di un'ora normale.

La conclusione che si può trarre sulla detassazione di premi di produttività e straordinari è che non serve affatto agli scopi dichiarati. Serve a ridurre ulteriormente il costo del lavoro e a dare agli imprenditori maggiori margini di manovra nella gestione delle retribuzioni. Con tanti saluti alla produttività.
 

Fonte la repubblica.it (28 novembre 2008)

ECONOMIA

Così Ford moltiplicò per otto la produttività

Tratto dal saggio David S. Landes Dinastie (Garzanti, 2007)


Dal momento in cui fu messa in vendita, la Model T divenna l'auto più popolare del pianeta. Le richiesta di "Tin Lizzie", come fu affettuosamente soprannominata, crebbero in fretta - 18.664 unità nel 1909-1910; 34.528 nel 1910-1911; 78.440 nel 1911-1912 - costringendo Ford a focalizzare la sua attenzione sull'aumento della produttività. La prima mossa fu la messa a punto di parti intercambiabili, con l'introduzione di tutte le macchine utensili necessarie a produrle. Henry e i suoi ingegneri puntavano a un errore massimo di un decimillesimo di pollice: e ogni volta che trovavano un attrezzo più preciso buttavano via tutti quelli vecchi. I contabili storcevano la bocca, ma nel 1910 ogni problema di limatura e rifinitura dei pezzi era definitivamente risolto.

Una seconda innovazione importante fu la semplificazione e la routinizzazione dei compiti dovuta all'introduzione della catena di montaggio, un'idea che Ford aveva rubato al suo concorrente Ransom Olds e migliorato in maniera spettacolare. Il processo si sviluppò in tre fasi. Nella prima c'erano squadre di assemblatori che si spostavano da un telaio all'altro: gli assemblatori restavano cioè accanto al telaio cui stavano lavorando mentre qualcun altro gli portava gli attrezzi e le parti di cui avevano bisogno. Con questo sistema il tempo medio richiesto dall'assemblaggio di una Model T era di 12,5 ore/uomo. Poi ci fu il varo della catena di montaggio: una fune o un cavo ad argano facevano avanzare il telaio e le squadre di assemblatori lo seguivano prendendo le parti da montare da bidoni strategicamente collocati lungo la linea. L'unità avanzava a scatti e in modo irregolare, ma il tempo medio di assemblaggio scese a meno di 6 ore/uomo.
Nella fase finale gli operai erano posizionati lungo la linea in punti fissi, stabiliti in base a calcoli precisi, i telai passavano loro davanti all'altezza della vita, e all'altezza della testa carrelli scorrevoli e piani inclinati recavano le parti premontate. Migliore tempo d'assemblaggio: 93 minuti per unità.

Henry ne fu contentissimo: "Economizza 10 passi al giorno per ciascuno dei tuoi 12.000 dipendenti e avrai risparmiato 80 chilometri di spostamenti inutili e di energie sprecate". Nel 1912-1913 la produzione raddoppiò, e raddoppiò ancora l'anno successivo, mentre la forza lavoro veniva ridotta.

(fonte la repubblica.it 28 novembre 2008)

 

(La repubblica di tersite, 30 novembre 2008)

 

link collegato:

  Crisi economica: le due facce del capitalismo

- la repubblica di tersite -