L'Eterno Ritorno

In Nietzsche il pensiero dell’eterno ritorno compare per la prima volta nella Gaia scienza [341], del 1882, dove è presentato come l’annuncio di un demone: 

«Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»

Come Nietzsche stesso racconterà in Ecce homo (1887), questa idea lo colse nell’agosto del 1881 e costituisce, sempre secondo il medesimo racconto, la “concezione basilare” del Così parlò Zarathustra (1883-85), dove ad essa si fa riferimento nella terza parte dell’opera.  

Di eterno ritorno  Nietzsche parla in moltissimi testi, ne troviamo anticipazioni indirette in Utilità e danno della storia per la vita, in Schopenhauer come educatore, in La visione dionisiaca del mondo, in Sul pathos della verità, in La filosofia nell’epoca tragica dei greci, mentre passi più significativi sono nello Zarathustra, parte terza “La visione e l’enigma”:  

"Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano, infatti, mi saltò sulle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma proprio dove ci eravamo fermati era una porta carraia.

Guarda questa porta carraia! Nano! Continuai: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi sino alla fine.

Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. Si contraddicono a vicenda questi sentieri; sbattono la testa l'un l'altro: e qui, a questa porta carraia essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo". Ma chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?

Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".

Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse aver già percorso un’altra volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che “possono” accadere essere già accaduta, fatta, trascorsa una volta?

E se tutto è già esistito: che ne pensi tu, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra in modo tale che quest’attimo trae dietro di sé tutte le cose a venire? Dunque anche sé stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche questa lunga via “al di fuori” – deve camminare ancora una volta!

E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna, ed io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti – non possiamo esserci tutti stati un’altra volta? E ritornare a camminare in quell’altra via al di fuori, davanti a noi, in questa orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno?.
 

Successivamente, in modo forse più diretto, scrive in un frammento del 1888:

"Amici, io sono il maestro dell’eterno ritorno.

Ciò significa: io insegno che tutte le cose ritornano in eterno, ed anche voi con esse, e che voi siete già esistiti infinite volte, e tutte le cose insieme a voi: io insegno che vi è un grande, immane, anno del divenire, che quando è trascorso, quando ha finito di scorrere, viene sempre di nuovo capovolto come una clessidra: sicché tutti questi anni sono sempre uguali a sé stessi, nelle minime come nelle massime cose.

E a una persona che muore io direi: - Ecco, tu muori ora, e perisci, e sparisci: e non vi è nulla che rimanga di te come un “tu”, perché le anime sono mortali come lo sono i corpi.

Ma la stessa causa di forze che ti ha creato questa volta, ritornerà, e non potrà non crearti di nuovo: tu stesso, granello di polvere, appartieni alle cause da cui dipende il ritorno di tutte le cose.

E quando un giorno sarai nato di nuovo, non ti toccherà una vita migliore, o una vita simile, bensì la stessa identica vita che ora stai concludendo, nelle cose minime come nelle massime.

Questa dottrina non è stata ancora insegnata sulla terra: intendo dire, sulla terra com’è ora in questo grande anno .

Zarathustra è il profeta dell'eterno ritorno dell'uguale e insieme, è colui che annuncia l'oltreuomo. Capire il nesso tra questi due significati vuol dire capire la soluzione che Nietzsche propone del problema della liberazione. Soluzione del problema della liberazione significa infatti arrivare a pensare la possibilità di un uomo non più metafisico.

Importante  notare come il pensiero dell’ ”eterno ritorno” sia di derivazione dionisiaco-pitagorica, ovvero come esso sia acquisito, non originale, nonostante l’episodio della “folgorazione” di Sils Maria, di cui Nietzsche narra in una lettera a Peter Gast del 14 agosto 1881.

Durante quella passeggiata egli scoprì soltanto il modo di dare pratica applicazione al concetto pitagorico del “ritorno”, trasformandolo nello “eterno ritorno dell’uguale”. La cosa gli consentì, comunque, di ottenere l’importante risultato teorico di giustificare la critica al concetto del Dio intellettualmente antropomorfo (la morte di Dio) e da questa base cominciare a costruire il primo abbozzo tendenziale dell’uomo futuro.

In un passo del suo  libro Lou Salomè informa che al pensiero dell' “eterno ritorno” Nietzsche avrebbe voluto dare dimostrazione scientifica, essendo tuttavia dell’opinione che fosse possibile trovarne un fondamento scientificamente valido sulla base di studi scientifici e della teoria atomistica.

Fu allora che Nietzsche decise di studiare, per dieci anni, nell’università di Vienna o di Parigi, esclusivamente scienze naturali.

Solo dopo lunghi anni di assoluto silenzio, nel caso avesse ottenuto il paventato successo, avrebbe voluto presentarsi agli uomini come il maestro dello “eterno ritorno”.

Mazzino Montinari, nel testo “Cos’ha veramente detto Nietzsche”, riporta questo frammento ricavato dai quaderni nietzscheani del giugno-luglio 1885:

E volete sapere cos’è il “mondo” per me? Debbo mostrarvelo nel mio specchio? Questo mondo: una immensità di forza, senza principio, senza fine, una grandezza fissa, ferrea, di forza, che non diviene più grande, e nemmeno più piccola, che non si consuma, ma solamente si trasforma, come totalità immutabilmente della stessa grandezza, un bilancio senza spese e senza perdite, ma anche senza incremento, senza entrate, conchiuso nel “nulla” come dal suo confine, niente di evanescente, di dissipato, di esteso all’infinito, incastonato come una forza ben determinata in uno spazio determinato, e non in uno spazio da qualche parte “vuoto”, bensì come forza per ogni dove, come giuoco di forze e di onde energetiche, uno e “molto” al tempo stesso, che, mentre si accumula da un lato, dall’altro diminuisce, un mare di forze in sé stesse tempestose e fluttuanti, in eterna trasformazione, in eterno ricorso, con anni immani di ritorno, con flusso e riflusso delle sue forme, spingendole violentemente dalla semplicità alla più varia molteplicità, dalla quiete e dalla fissità, e dalla freddezza massime, all’incandescenza, alla sfrenatezza più selvaggia, massima contraddizione, per poi tornare dalla sovrabbondanza alla semplicità, dal giuoco delle contraddizioni, indietro, sino al piacere dell’unisono, in continua affermazione di sé stesso anche in questa identità dei suoi anni orbitali, e benedicente sé stesso come ciò che in eterno non può non ritornare, come un divenire che non conosce sazietà, fastidio, stanchezza – questo mio mondo dionisiaco, in eterna autocreazione, di eterna autodistruzione, questo mondo misterioso di volontà duplici, questo mio “al di là del bene e del male”, senza meta, a meno che nella felicità del circolo non sia una meta; senza volontà, a meno che un anello non abbia la buona volontà di sé stesso – volete voi un nome per questo mondo? Una soluzione per tutti gli enigmi? Una “luce” anche per voi che siete i più nascosti, i più forti, i più intrepidi, i più notturni?

Questo mondo è la volontà di potenza – e niente oltre a ciò!

E voi medesimi siete questa volontà di potenza – e niente oltre a ciò.

 

Questo frammento pone quindi identità fra “eterno ritorno” e “volontà di potenza”, identità vera, fisica, poiché qui lo “eterno ritorno” è inteso nel suo più semplice significato di “cerchio”, e la “volontà di potenza” nella sua espressione, ancora più comprensibile, di corporeità universale.

La diversa concezione del tempo che l’eterno ritorno implica ha a che fare con un altro elemento della filosofia nietzscheana di questo periodo e cioè con l’amor fati, il sì alla vita, che Nietzsche “teorizza” come sostanziale accettazione dell’insensatezza del divenire.

Qualcuno ha visto in questo pensiero qualcosa di inquietante, di terribile: una esistenza così com’è, senza senso e scopo, ma inevitabilmente tornante, senza un finale, nel nulla: “l’eterno ritorno”. E’ questa la forma più estrema di nichilismo: il nulla eterno!  

In realtà non è così: Nietzsche vuole semplicemente dimostrare con l'eterno ritorno, la morte di Dio. Grazie all'eterno ritorno l'uomo si trova ad essere parte integrante del ciclo della vita e della materia, nel quale non c'è spazio per cose inconsistenti ed inesistenti quali Dio, anima, ecc. L'uomo non è quell'essere privilegiato che tutti hanno sempre creduto, ma è parte integrante del ciclo della vita.

Ma Nietzsche va ancora oltre:  in opposizione alla teologia cristiana,  attraverso il pensiero dell’”eterno ritorno” e l’affermazione della “morte di Dio”, nega la possibilità di dare un giudizio morale o di valore agli uomini, liberandoli dal ricatto della felicità eterna. 

Forse questo aforisma, il 341esimo de La Gaia Scienza chiarisce il significato dell' eterno ritorno dell' eguale.

"se un giorno o una notte un demone strisciasse dentro la tua più solitaria solitudine e ti dicesse: "questa vita, questo che adesso tu vivi ed hai vissuto, dovrai viverla ancora una volta e un numero infinito di volte; e non vi sarà niente di nuovo, ma tutto ritornerà, ogni dolore e ogni piacere, ogni pensiero ed ogni sospiro, ogni cosa piccola o grande, e tutto nello stesso ordine... anche questo ragno, e questo chiaro di luna tra gli alberi, ed anche questo momento, ed io stesso" […] Non ti getteresti per terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? […] Se quel pensiero si impadronisse di te, farebbe di te un altro da quello che sei. Di fronte a tutte le cose ti porresti la domanda: "Vuoi questo di nuovo e per innumerabili volte? ", e questa domanda graverebbe come un peso tremendo su ogni tuo atto".


Ed all' annuncio dell' eterno ritorno l' uomo normale si dispera, e lo sente come un peso enorme, più grande di lui, travolto da un ineluttabile destino è invaso dal terrore; l'oltreuomo invece accoglie entusiasticamente questa prospettiva, poiché ha accettato totalmente la vita e ne gioisce come se non avesse mai udito cosa più divina: quindi la reazione all' eterno ritorno segna la demarcazione tra l' uomo e il superuomo.
Questa teoria riporta in auge concezioni classiche del tempo come ciclico, contrapposte a quella dominante della Cristianità, che crede il tempo una linea retta a senso unico: ciò per Nietzsche porta a considerare ogni attimo figlio parricida del precedente, secondo un processo che Vattimo ha denominato "struttura edipica del tempo", ovviamente il valore dell' attimo in questione diviene poco rilevante e conseguentemente chi lo vive non può viverlo in piena felicità, sapendo che esso è irripetibile.
Ma pensare invece all' attimo come ripetituro e perciò immortale significa innanzitutto considerare il senso dell' essere intrinseco dell' essere stesso, e non ad esso estraniato, attendendo al lato dionisiaco dell' esistenza, vuol dire poi doversi disporre a vivere la vita come coincidenza di essere e di senso, e di chiuderla in un circolo di felicità.
L' uomo occidentale che conosciamo, attanagliato da dubbi esistenziali e convinto della scissione fra essere e senso di esso, non è in grado di concepire tale prospettiva; per lui il tempo è una tensione angosciosa verso un compimento sempre al di là da venire: solo l'oltreuomo può godere della vita come gioco creativo e sensato in sè, per questo la teoria dell' eterno ritorno rappresenta il massimo grado dell' accettazione della vita in sè, ovvero la massima espressione dell'oltreuomo.