PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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AL PROGRAMMA

 

Dibattito

 

Libero Majer - Grazie dottoressa Marzotto soprattutto per la concretezza dell’esperienza  che da anche a noi la speranza di poter arrivare a portare a termine  questo nostro progetto di “famiglie di appoggio” che, vediamo, è fattibile  oltre che necessario. Si può veramente attuare. 

C’è ora lo spazio per un breve dibattito, quantomeno per qualche domanda o  richiesta di chiarimento. La prof.ssa Selle, che è una “familiare” come noi, ci  guiderà in questo momento di confronto. 

 

Maria Grazia Selle - Quasi a premiarvi per la pazienza con cui avete seguito  tutta la prima parte molto piacevole ma molto robusta, abbiamo pensato anche,  come diceva Paola Fattor per le nostre ragazze, ad uno “spazio della parola”  anche per tutti noi. Quindi sulla base di quello che è stato detto, di quello che  abbiamo sentito dedichiamo questo spazio a richieste anche molto semplici e  a eventuali chiarimenti. 

Sono state dette tante cose come, ad esempio, sulla presenza delle coppie; se  c’è qualche domanda a proposito della presenza degli uomini nella nostra Casa  Famiglia di Venezia; è stata illustrata la gestione della vita comunitaria all’interno,  se ci sono chiarimenti o curiosità anche sui turni o semplicemente su  quello che si fa, sui luoghi protetti in cui, per esempio, si possono organizzare  gli incontri dei nostri bambini con i papà all’esterno, poi la ricerca di nuove  linee di scambio di esperienze di cui parlava Annalisa Davanzo e poi quest’ultimo  punto sulle famiglie di sostegno che, mi pare, interpelli molto tutti noi. 

 

Nicoletta De Lorenzi - Lavoro nella comunità di cui ha parlato la d.ssa  Marzotto. A me interessano due cose di quello che ho sentito: mi interessa  molto capire il lavoro che è stato fatto, che in parte è stato accennato dall’intervento  sia di Paola Fattor che di Maria Grazia Selle, perché alla partecipazione  del progetto educativo contribuiscano tutti ciascuno con la sua specificità,  i familiari per quello che sono, gli operatori per quello che sono, e mi interesserebbe  molto capire il percorso per arrivare a lavorare insieme in questa  direzione. E la seconda questione è: l’unica presenza maschile che noi abbiamo  avuto nella casa prima di introdurre l’esperienza delle famiglie sono stati  gli obiettori con esiti non sempre cosi positivi; allora mi interessava capire di  più questa presenza. 

 

Dott. Giuseppe Greppi - Rappresento il Centro Servizi del Volontariato. La  mia domanda è molto semplice. 

Siccome io provengo da una istituzione che è quasi similare a Casa Famiglia  San Pio X e conosco abbastanza bene tutto quello che riguarda la vita di una  casa di accoglienza, la mia curiosità e quindi la domanda è: i casi di insuccesso  che ci sono come possono o vengono gestiti? 

 

Luciana Michieli - Volevo chiedere una cosa alla d.ssa Marzotto. Io sono una  “familiare” di Casa Famiglia. Lei ha parlato del momento in cui la famiglia  accoglie una ragazza (mi sembra l’ultimo caso illustrato) ed ha conosciuto  anche il papà del bambino. Siccome noi abbiamo dei rapporti un po’ controversi  con quasi tutti i padri biologici dei bambini, come è stato vissuto da voi  questo avvicinamento? 

Cioè: il papa, dopo, è stata una presenza continua o ha avuto carattere occasionale  oppure successivamente si è ricostituito anche il nucleo familiare? 

 

Risponde Paola Fattor alla domanda di Nicoletta De Lorenzi sulla presenza  maschile in Casa Famiglia : 

La presenza maschile. Io non ho mai conosciuto gli obiettori che sono passati  per Casa Famiglia ma mi dicono che anche da noi hanno avuto effetti negativi  nel senso che ci sono stati innamoramenti e cose varie (dipendenti forse dall’età). 

L’attuale presenza maschile all’interno della Casa è molto significativa e molto  ricercata soprattutto dai bambini perché non appena vedono arrivare il marito  di qualcuna si appioppano alle loro gambe e lì si mettono a giocare. Mi sembra  che a loro piaccia anche molto essere presi in braccio, sentono che passa  qualcosa di diverso. 

Forse però la presenza maschile è significativa soprattutto, anche comunque,  per le donne perché vedono che possono esistere uomini “diversi”. 

Faccio un esempio: una signora qualche anno fa, era convinta che tutti gli  uomini di Casa Famiglia fossero gay per il semplice fatto che non picchiavano,  non bestemmiavano e parlavano… e questo la dice lunga… 

Loro non hanno mai pensato di poter cercare un uomo diverso da quelli che  avevano sempre incontrato. Per cui non è nuova la storia di donne che hanno  avuto tre, quattro, cinque relazioni e con ognuna di queste figli, nuovi bambini  ma con uomini che, sostanzialmente, erano sempre simili. 

Quindi aprire un po’ il pensiero ad un desiderio di qualcosa di diverso, di poter “meritarsi” qualcosa di diverso, è anche questo l’inizio di un percorso. 

Per quanto riguarda i tempi per cercare di integrare le specificità degli interventi  della presenza in Casa Famiglia tra gli operatori e i “familiari” penso che  sostanzialmente non abbiamo qualcosa di definito se non il fatto che sono previste  delle riunioni in cui ci si confronta, si pensa, come dicevo prima, facendo  spazio dentro di noi, nel nostro pensiero a un qualcosa che ci viene chiesto,  ad una situazione che ci viene proposta e questo spazio devono farlo sia i  “familiari” che gli operatori mantenendo fermo il proprio ruolo specifico di  “familiare” e operatore. Esistono, poi, dei momenti di scambio di pensiero, di  riflessione dove ci si confronta continuamente, quasi quotidianamente su alcune  questioni e si sente che familiari e operatori portano qualcosa di diverso,  ognuno con la propria specificità e diversità. 

Allora l’unica soluzione che abbiamo trovato, oltre all’appoggio della d.ssa  Annalisa Davanzo, è quella di fermarsi e pensare di non prendere decisioni  affrettate, di fare delle proposte, di tentare delle strade sapendo che possono  esserci dei fallimenti perché davanti a situazioni così complesse mai ci può  passare per la testa di dire:”abbiamo la soluzione, sicuramente la cosa andrà a  buon fine, sicuramente abbiamo trovato la strada giusta”. Sono tentativi, bisogna  vedere anche come queste persone rispondono al nostro stare vicino, alle  nostre proposte. 

 

Maria Grazia Selle - volevo aggiungere che abbiamo un incontro settimanale  di coordinamento che indubbiamente, oltre a fare il punto della situazione,  diventa veramente quasi un laboratorio di idee, di scambi tra “familiari” e operatori.  Il fatto, poi, di essere in turno giornaliero quasi sempre “familiari” e  operatori insieme ci porta ad affrontare determinate situazioni e automaticamente  ad uno scambio di idee; è un lavoro continuo, molto lento, spesso faticoso  ma che qualche risultato sembra darlo. 

 

Risponde Paola Fattor alla domanda del dr. Greppi su come gestire i casi  d’insuccesso : 

Ogni volta in un modo diverso perché non c’è un insuccesso uguale all’altro.  E ce ne sono sempre. L’unica cosa che abbiamo imparato per tutti gli insuccessi  che ci sono ogni giorno, negli anni, nella storia delle persone è che forse  bisogna imparare a leggerli. Allora all’inizio ci sembrano degli insuccessi e se  diciamo:”Mamma mia, abbiamo sbagliato tutto anche questa volta? Da dove  cominciamo? Adesso come facciamo? Non abbiamo più risorse, abbiamo già  provato tutto!” abbiamo chiuso. Invece ci fermiamo, ci mettiamo a pensare con  la d.ssa Davanzo, a rivedere le cose, come ci siamo mossi, cos’è accaduto, qual  è stato l’elemento scatenante e a dare significato a quanto  è successo. 

Cominciando a dare significato agli eventi che sembrano fallimenti scopriamo  che sono o richieste di aiuto o richieste di un percorso diverso, richieste di  qualcosa che loro non erano ancora riuscite ad esplicitare. E allora si ricomincia  o si passa la mano a qualcun altro. 

 

Risponde Costanza Marzotto alla domanda di Luciana Michieli sul tema  dell’incontro con i padri : 

Chiede una madre delle famiglie volontarie veneziane “ Siccome noi abbiamo  dei rapporti un po’ controversi con quasi tutti i padri biologici dei bambini,  come è stato vissuto da voi questo avvicinamento?” 

A questo proposito la risposta operativa è svariata: alcuni padri riprendono a  frequentare il bambino in modo spontaneo o in un luogo protetto con la presenza  di un operatore, con o senza la prescrizione del giudice, oppure dopo un  po’ di tentativi scompaiono dall’orbita quotidiana della madre e del bambino. 

Nel caso in particolare il padre dopo aver conosciuto la famiglia d’appoggio  l’ha rivista in alcune occasioni, ma la madre ha sempre fatto da filtro, ovvero  ha tenuto per se il legame con i famigliari d’appoggio, ha potuto parlare con  loro anche di quest’uomo. 

Noi sappiamo che la funzione paterna è una questione assai complessa e questi  personaggi non escono mai dalla scena delle madri nubili e dei loro figlioli.  Rosetta in un colloquio raccontava come François, il padre naturale della  prima figlia, non frequenta la bambina, ma è “rimasto l’uomo della sua vita”  pur avendo avuto altri incontri. 

Vediamo quali possono essere le modalità di presenza simbolica del padre  nella vita di queste persone. Per meglio affrontare la questione faccio riferimento  allo strumento grafico simbolico denominato genogramma, da noi  utilizzato per conoscere le ragazze. Si tratta di una specie di albero genealogico,  dove su un foglio con simboli convenzionali, si collocano i membri di  più generazioni che fanno parte del corpo familiare e si tracciano le relazioni  tra loro. 

Da questa rappresentazione grafica appare evidente che un bambino per crescere  ha bisogno di sentirsi all’interno di una relazione triadica e non bipolare,  di non essere un oggetto totalmente a disposizione della madre, ma di  appartenere anche ad altri e la madre a sua volta ha bisogno di essere amata  anche da altri che non solo dal figlioletto. Come diceva in una delle conferenze  preparatorie M.T Maiocchi, “c’è una buona relazione del bambino con la  madre, cioè c’è una buona funzione paterna, quando c’è un posto che il padre  tiene in modo importante non per l’assidua sua presenza, ma per il fatto che  la madre in qualche modo è distolta dall’occuparsi in maniera esclusiva del  bambino”.

Nel raffigurare le famiglie d’origine, possono apparire sulla scena altri attori  importanti per la vita della ragazza e dei suoi figli, e può essere messa parola  su eventi significativi per i soggetti implicati. Sempre attraverso il disegno le  madri possono collocare i padri dei loro figli, alla giusta distanza possibile, ma  non cancellarli.

La vicinanza con la famiglia d’appoggio ed il vedere degli uomini che non picchiano,  ma che si comportano in modo variegato, permette alle ragazze che  hanno esperienze spesso drammatiche con l’altro sesso, di confrontarsi con  nuovi modelli relazionali; inoltre attraverso il racconto della loro vicenda,  possono riavvicinarsi in modo “virtuale” alle figure paterne dei loro figli, scoprire  il loro valore nella propria storia, e trasmettere ai figli il senso di appartenenza  anche ad un’altra stirpe. Senza censurare queste figure, le famiglie  d’appoggio autorizzano a nominare il padre del bambino e permettono così  alla donna di scegliere, se tornare ad abitare con lui, o “mollarlo” definitivamente,  optando per nuove modalità di rapporto con l’altro sesso. 

Le vicende di queste persone sono a volte tragiche e ripetono modalità di rapporto  che le ha viste vittime di violenza nella famiglia d’origine, poi in quella  d’elezione, senza riuscire a conoscere altre modalità di relazione uomo donna. 

L’incontro con “famiglie altre” all’interno delle quali è presente la fede e la  carità, può aprire nella ragazza “appoggiata” la speranza, la virtù teologale più  piccola delle tre sorelle, ma che le tiene per mano. Come scrive il grande poeta  Charles Péguy [1]  ”la speranza non va da sé. Per sperare, bambina mia, bisogna  essere molto felici, bisogna avere ottenuto, ricevuto una grande grazia.[ …] la  speranza vede quello che sarà. ”. 

 

Libero Majer – Riprendiamo i lavori del convegno con l’intervento del prof.  Andreoli. Il prof. Andreoli è conosciuto a livello internazionale, laureato in  medicina, specializzato in neurologia e psichiatria è uno dei più autorevoli  studiosi della psiche. Alterna attività medica a quella di narratore, scrittore.  Inoltre è un attento osservatore dei fatti di attualità, quelli in cui sono protagonisti  la famiglia e i giovani. Per meglio rappresentare l’interesse che per il  prof. Andreoli riveste tale realtà vorrei citare solo alcune righe della sua recente  pubblicazione “Lettera alla tua famiglia” in cui egli stesso si riferisce  testualmente “un padre e un marito dentro a una famiglia senza la quale mi riesce  difficile immaginare come vivere”. Il prof. Andreoli ci parlerà di “Società  del successo e frammentazione del clima familiare”. 

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[1] C. Péguy, I misteri, Jaca Book, Milano 1978, pag. 167 .