PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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Casa Famiglia San Pio X

 

Piero Martinengo – Responsabile Istituto Casa Famiglia San Pio X

“L’evoluzione nei mutamenti sociali”

 

Paola Fattor – Assistente sociale, responsabile dei percorsi educativi

“Obiettivi – Metodologia – Organizzazione”

 

Annalisa Davanzo – Psicologa, psicoanalista, supervisore esterno

“Le intuizioni e le specificità di Casa Famiglia”

Casa Famiglia San Pio X: l’evoluzione nei mutamenti sociali. 

di Piero Martinengo[1]

 

Voi che avete ricevuto e visto il depliant del convegno forse vi sarete chiesti  chi sono questi “familiari”, perché è un termine, nel contesto, poco chiaro:  “familiari di chi e per che cosa?”.

 

Credo che questa sia la singolare, straordinaria innovazione di Casa  Famiglia, attuata dal Patriarca Marco Cè con la collaborazione fattiva e determinante  di mons. Zardon, Responsabile della Pastorale per gli Sposi e la  Famiglia e di alcuni sposi della Diocesi di Venezia e cioè il tentativo, il desiderio,  l’obiettivo di vivere (uso tutte queste formule introduttive per significare  che questo è il progetto e che però è necessario verificare in quale misura si  riesce a raggiungerlo) l’amore coniugale dilatandolo a chi ha fatto esperienze  di coppia dolorose e non significative. 

 

I familiari, pertanto, sono delle coppie chiamate dal Patriarca Marco Cè a  gestire la Casa. Questi si sono posti l’obiettivo di assumere nella loro vita, non  solo nel loro tempo libero da cui la distinzione dal volontariato con tutte le sue  particolarità (non è una valutazione negativa solo che l’esperienza di Casa  Famiglia è altro) dicevo, assumendo nella loro vita le mamme e i bambini  ospiti di Casa Famiglia; diventando i loro “parenti” prossimi, inglobandoli  nella loro stessa famiglia biologica, cercando quindi di dilatare la cura, l’assistenza,  l’amore a chi è in una situazione di difficoltà nella creatività di un  amore vissuto come dono ricevuto e partecipato. É sempre presente, peraltro,   la consapevolezza che quel poco che si riesce a donare non deriva dalle proprie  capacità e quindi si cerca di parteciparlo con delicatezza: di essere strumenti  adeguati nel preparare queste persone ad un futuro migliore. 

 

Per questo dicevo che Casa Famiglia è un’iniziativa, un’esperienza singolare e straordinaria. Singolare perché si rifà alla coppia e non alla singolare persona,  non a delle coppie speciali, ma alla coppia in sé: di un uomo e una donna  che vivono il loro amore e l’amore per sé non può essere contenuto ma si diffonde  al di fuori della coppia, della famiglia; è per definizione creativo. 

 

Straordinaria, paradossalmente, perché si rifà alla quotidianità, non a situazioni  a episodi che si attuano in tempi e circostanze particolarissimi, ma piuttosto  nella quotidianità della propria famiglia e della condivisione della vita in  Casa Famiglia.

Straordinaria anche perché attuata da laici comuni, coppie, non “speciali”,  consacrate o altro. 

 

Innovativa perché introduce con questa impostazione la figura maschile che  in una comunità, l’abbiamo potuto accertare, è assolutamente necessaria, indispensabile  per certi versi essendo l’obiettivo di Casa Famiglia, come si è visto  dal depliant del convegno: la famiglia estesa. 

 

Le coppie perciò all’interno di questa Casa hanno status e ruoli significativi.  Ci sono i nonni, i parenti meno anziani, i più giovani, un po’ com’erano le  famiglie di una volta non certo perché in quelle situazioni non esistessero problemi  o venissero risolti con grande facilità, ma la diversità dei ruoli all’interno  consentiva una mediazione trasversale in cui molte volte trovavano spazio  tutte le persone anche quelle più in difficoltà. 

 

Oggi le coppie che gestiscono Casa Famiglia sono nove con l’apporto determinante,  insostituibile, qualificato, di un’equipe multiprofessionale costituita  dall’assistente sociale, dalla pedagogista, dalla psicologa, dall’educatrice  professionale, dalla laureata in scienze della formazione, tutte presenze chiamate  a condividere la gestione della Casa. Di fatto cosa si propone Casa  Famiglia, qual è il progetto? Quello di unificare l’ispirazione profonda di un  amore condiviso, l’esperienza della vita familiare, con la competenza professionale  su discipline diverse, nel tentativo di dare un servizio qualificato limitando,  per quanto possibile, l’area dell’errore. 

 

Andando a ritroso, per quanto attiene alla storia, ho cercato di individuare  quali sono le costanti di Casa Famiglia negli anni. 

 

Una è certamente la “carità” nelle diverse accezioni e modalità con cui è stata  capita e vissuta. 

Casa Famiglia è stata pensata nei primi anni del novecento dall’allora Patriarca  Giuseppe Sarto (poi San Pio X – c’è un bel quadro nella nostra cappella), sull’onda  delle grandi figure di carità sociale: da Giuseppe Cottolengo a Giovanni  Bosco, a Giuseppe Cafasso, ecc. e credo anche, a mio parere, pur non avendo  trovato dei documenti specifici ma piuttosto delle foto e altro materiale di vita  quotidiana che confermerebbero questa tesi, dal fenomeno di beghinaggio che  è sopravissuto fino a pochi decenni fa in Belgio e in Olanda. Le beghine,  appunto, che da noi hanno avuto una connotazione negativa, erano delle persone  che assumevano dei voti temporanei e si dedicavano alla preghiera, alle  opere di carità e a lavori manuali in particolare di cucito e ricamo e noi in Casa  Famiglia abbiamo dovizia di documentazione di questo tipo. Donne laiche,  anche quelle di Casa Famiglia, che hanno aperto la Casa e gestita per molti  anni prima di lasciarla a suore di vari ordini religiosi. 

 

Non bisogna ignorare inoltre una componente della vita sociale veneziana di  tradizione centenaria legata alle “Scuole”. Noi ci troviamo oggi nella Scuola  di San Giovanni Evangelista, una delle cinque Scuole Grandi, che erano incoraggiate  dal Patriarcato, a quei tempi non sempre in sintonia con il potere civile  e sostenute dal Doge e dal Gran Consiglio. Le scuole non solo svolgevano  un’attività riferita specificatamente alla professione ma avevano anche compiti  di protezione sociale, mediante la concessione di doti alle spose, di sussidi  ai malati, di assistenza, ecc.; presumibilmente tutti questi elementi erano presenti  al Patriarca Sarto.

 

  Queste riflessioni hanno indotto le persone di Casa Famiglia a chiedersi in che  modo e in quale misura, nel nostro tempo, si possa essere “provvidenza” per  chi è in difficoltà e si è individuato nella decisione di tenere un posto sempre  libero “di emergenza” che vorrebbe essere assimilato al concetto biblico del  “posto di Elia”, un posto, appunto, sempre disponibile a tavola per il viandante,  lo straniero, anche se queste sono categorie non propriamente in uso.  Tenere pertanto un posto libero per un nucleo in grave difficoltà: una piccola  riserva.

 

L’altra costante è l’attenzione alle persone. Il biglietto di saluto che Papa  Sarto ha inviato per l’apertura della Casa definisce le donne accolte  “Ricoverate” (con la R maiuscola). Mi è sembrato interessante questo termine  perché è un segno di rispetto e di attenzione per le donne e qualifica la Casa  in modo simile a come la si definisce ora: una tenda, una soluzione provvisoria  in cui trovare riparo e dove la persona si ricompone, come dirà poi Paola  Fattor.  Il Patriarca Roncalli, parlando delle ospiti dice:“Tutte sono buone e più buone  vogliono diventare”. É significativo questo guardare nel fondo della coscienza  di ciascuno e riconoscervi sempre una possibilità di riscatto e creando le  condizioni affinché questo possa verificarsi. Il Patriarca Cè, infine, quando ha  assegnato la Casa alle coppie di sposi ha affidato loro un solo compito:  “Vogliate bene a queste mamme e a questi bambini”. Perciò non grandi proclami, di santificazione, di fare battesimi in batteria o altro, quanto il segno  dell’amore accolto e partecipato. Non si può dimenticare in questo elenco i  patriarchi Urbani e Luciani, sempre molto attenti e presenti alla vita e alle  necessità della Casa. 

 

Un altro elemento costante è l’accoglienza delle persone degli strati sociali  più deboli. É scritto, infatti, nell’atto costitutivo, di accogliere “le ragazze  conosciute all’ospedale, cacciate di casa, raminghe per la città”. Un fenomeno  molto diffuso se dal 1910 al 1942 sono 2.642 le donne che hanno soggiornato  in Casa per periodo più o meno lunghi, più i bambini; in media 83 nuclei l’anno.  Dal luglio del 1951 al dicembre del 1971 è attivata una convenzione con il  Ministero di Grazia e Giustizia per accogliere donne partorienti o con bambini  piccoli in regime di detenzione alternativa: sono 425 in questi anni le  mamme ospitate. Ma ci siamo fermati al ’71, mentre in misura minore questa  accoglienza è continuata anche successivamente.  Altro elemento importante è l’adeguamento dell’attività della Casa ai  mutati contesti sociali. Nel 1962 viene inaugurato l’asilo nido, aperto anche  al quartiere, che consente ai bambini di Casa Famiglia di uscire da un’istituzione  chiusa, con utilità per tutti. Negli anni ’80 lo statuto viene modificato per  accogliere oltre alle ragazze madri anche “donne in difficoltà con bambini”. Il  fenomeno migratorio impone di conoscere usi, tradizioni e costumi di popoli  a noi più o meno vicini che arrivano nel nostro Paese e allora nel 2000 viene  realizzato un progetto pilota, finanziato dalla Regione che consente di effettuare  corsi di italiano per stranieri, seminari per operatori che lavorano in attività  similari nel Comune di Venezia e Mira, effettuati con la collaborazione di  mediatori culturali e d’intesa con l’Ufficio Immigrati del Comune di Venezia.  Due seminari, infine, per operatori ed ospiti aventi come oggetto la ricerca di  un lavoro e il reperimento di un alloggio. Il problema della casa è sempre di  difficile soluzione particolarmente a Venezia e la Casa, in questi 95 anni, non  ha mai ricevuto un alloggio dal Comune o altro Ente Pubblico. Fortunatamente  quest’anno ne ha concesso uno l’I.R.E, che ringraziamo moltissimo, sperando  che sia il primo di una assegnazione che si rinnovi di anno in anno. Anche la  Parrocchia di Mira aveva restaurato una casetta adiacente alla Canonica e ricavato  due miniappartamenti da concedere a nuclei in parziale autonomia. 

 

In questo excursus molto veloce della vita di Casa Famiglia bisogna almeno  accennare che non sono mancate le difficoltà nei diversi passaggi di gestione,  particolarmente negli anni ’70 e quando il gruppo di consacrate di Sammartini,  che fa capo alla Comunità di don Giuseppe Rossetti di Contesole, ha dovuto lasciare la Casa per assumere l’incarico di gestire una casa di accoglienza per  malati terminali di AIDS a Bologna. In questa circostanza, in un primo tempo,  si era cercata una coppia che fosse stanziale in Casa e fortunatamente non è  stata trovata (perché sarebbe scoppiata dopo poco tempo. La Provvidenza  opera in tanti modi, anche apparentemente contradditori). 

Preziosa è stata poi la decisione di Olga Belloni che si è opposta alla chiusura  della Casa assumendo la responsabilità della gestione. Poi un po’ alla volta si  è subentrati tutti noi. 

 

Infine, da qualche tempo, sono state avviate delle sperimentazioni di attività di  sostegno di rete all’uscita dei nuclei ospitati. Questo è un tema importante del  nostro Convegno che se non viene affrontato adeguatamente, con la collaborazione  di tutti i soggetti interessati, vanifica il paziente e fruttuoso lavoro svolto  in comunità. 

 

Vorrei finire con una citazione, anche per alzare un pochino il tono del mio  intervento, del Patriarca Marco Cè: “Per me questa Casa può divenire un luogo  simbolico ma non nel senso puramente idealistico, un luogo che è una realtà  fatta di persone concrete, con le loro qualità e i loro difetti, una realtà vera,  simbolo di una umanità che vuole rigenerarsi, riprendere a camminare”. 

 

Libero Majer – Grazie al dr. Martinengo. La parola ora passa a Paola Fattor.  Paola Fattor è assistente sociale ed è responsabile dei progetti educativi all’interno  di Casa Famiglia. Parlerà, quindi, di obiettivi, metodologie e organizzazione  nell’ambito, appunto, della Casa. 

 

CASA FAMIGLIA: OBIETTIVI METODOLOGIA ORGANIZZAZIONE 

di Paola Fattor[2]

 

Mi è stato affidato il compito di raccontarvi gli aspetti tecnici e metodologici  della Casa. Un compito assai delicato perché potrei trattenervi qui per parecchie  ore e raccontarvi come una casa così modesta, così apparentemente semplice.  sia invece assai complessa. Per vostra fortuna, anzi direi per mia fortuna,  ho soltanto poco tempo a mia disposizione, pertanto cercherò di cogliere  gli elementi essenziali che vi consentano di capire chi siamo e cosa attuiamo.  IN ALCUNI DOCUMENTI COSTITUTIVI DELLA CASA HO RITROVATO  QUESTA AFFERMAZIONE CHE BEN RAPPRESENTA E TRASMETTE  IL VALORE DI CASA FAMIGLIA: 

 

CASA FAMIGLIA È UNA COMUNITÀ DECISA A VIVERE E  AD ORGANIZZARSI SECONDO LO STILE DI UNA FAMIGLIA  ESTESA, NELLA QUALE VENGONO INTESSUTE  RELAZIONI UMANE SIGNIFICATIVE E DOVE VIENE  MESSA AL CENTRO L’UNICITA’ E L’IRRIPETIBILITA’  DELLA PERSONA UMANA. 

 

Nel corso del mio intervento ci sarà modo di capire ed approfondire questi  contenuti e per farlo seguiremo un percorso che ci consentirà di entrare sempre  più all’interno della nostra Casa. Il primo passo ci conduce ad affrontare  alcuni obiettivi, valori e principi che definiscono le fondamenta della  struttura. 

Per semplicità direi che gli OBIETTIVI che danno fondamento ad un lavoro  quotidiano e ci indicano le LINEE OPERATIVE da seguire possono essere  sostanzialmente tre: 

 

1.    ACCOGLIERE DONNE, MADRI CON FIGLI E FUTURE  MAMME IN DIFFICOLTA’ SIA DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO  CHE SOCIALE, PER POTER OFFRIRE UN’OPPORTUNITÀ NELLA QUALE LA DONNA E/O IL BAMBINO  POSSANO RITROVARE LA LORO DIMENSIONE, IL  LORO SPAZIO VITALE. 

 

Nel nostro lavoro quotidiano è indispensabile ricordare che le persone, adulte  o minori che siano, devono esser accolte nella loro globalità, nella loro complessità. 

In questo modo ci sembra possibile porre l’attenzione ai diversi aspetti portati  da una donna: la promozione della donna stessa, il recupero della propria  identità e della propria storia, le relazioni con i “compagni di vita” o comunque  con i padri dei loro figli, il suo ruolo nel mondo del lavoro, ed infine l’attenzione  alla maternità, al rapporto genitoriale, all’ accudimento e alla tutela  dei figli. Questi ultimi aspetti, considerati certamente prioritari nel lavoro di  tutti i giorni non devono e non possono prescindere da un costante ed attento  spazio che la donna deve poter avere per trovare risorse, risposte ed infine  capacità di scelta rispetto alle sue ipotesi di vita. Intendo dire che tendenzialmente  queste donne si riconoscono come unico ruolo quello di essere madri;  infatti, spesso le donne che arrivano nella nostra struttura si presentano a tutti,  indistintamente, in un unico modo…Buongiorno sono la madre di… soltanto  dopo un paziente e graduale lavoro la donna può ritrovare la propria identità e  presentarsi agli altri con il proprio nome di nascita. 

 

É possibile poi porre attenzione allo sviluppo del bambino perché possa  essere equilibrato in tutti i suoi aspetti valutando e potenziando le sue capacità,  le sue risorse, la sua capacità di costruire legami sociali affettivamente  importanti, offrendo (dove sia possibile)la possibilità di mantenere i rapporti  con gli altri soggetti della famiglia d’origine (padre, nonni, zii). 

 

2.    ACCOGLIERE OGNI PERSONA, NEL RISPETTO DELLA  SUA UNICITA’, A PRESCINDERE DALLA SUA APPARTENENZA  RELIGIOSA, ETNICA O RAZZIALE. 

 

Viene posto l’accento sulla nostra capacità di saper accogliere la diversità, di  entrare in relazione con abitudini e stili di vita sostanzialmente diversi tra loro.  Nel tempo, inoltre, il gruppo dei familiari ha ben definito il proprio ruolo  soprattutto in merito al loro essere cristiani che accolgono, infatti, le coppie di  sposi vivono la loro fede senza imporla o proporla, semplicemente la vivono!  e soprattutto trasmettono il significato della gratuità – concetto per certi versi  temuto e incomprensibile per le ospiti. 

 

3.    ACCOMPAGNARE QUESTI NUCLEI VERSO UNA VITA  AUTONOMA E SOCIALE, PONENDO L’ATTENZIONE  ALLE ESIGENZE SPECIFICHE E DIVERSIFICATE TRA  ADULTI E BAMBINI; SEMPRE ATTENTI A NON CREARE  UNA CONDIZIONE ASSISTENZIALISTICA. 

 

A questo punto si entra nel vivo della questione, dove ogni soggetto adulto  accolto deve mettere in gioco la sua volontà, la sua voglia di uscire da una  dimensione “di rischio, di incertezza e di precarietà”. Entrano in gioco le risorse  della persona, ma anche quelle della Casa e del Servizio inviante. Si costruiscono  progetti e si definiscono i tempi. Ritengo che uno dei primi e più significativi  passi verso l’autonomia sia rappresentato dalla possibilità di offrire  alle persone accolte di sperimentarsi nelle dinamiche delle relazioni e dei legami  che si vengono a creare all’interno della Casa ed in particolare tra le ospiti.  Da parte nostra deve esser messa in atto la capacità e la costanza di dare  significato a quanto può accadere, per far scoprire e sperimentare che possono  esserci più soluzioni davanti ad uno stesso problema, che ad esempio in  situazioni di difficoltà e di incomprensioni non esiste l’unica soluzione di picchiarsi  e chiudere le comunicazioni! Si tratta, dunque, di un accompagnamento  lento e paziente (dove possibile), ma significativo e costruttivo. 

 

É anche per questo motivo che da alcuni anni è stato avviato un “gruppo  mamme” proprio con l’intento di offrire uno spazio di parola e di confronto  tra persone adulte. Uno spazio dato alla parola che consente di far emergere  un pensiero, delle emozioni, ecc. Nel gruppo affrontiamo dei “mini-progetti”  della durata di tre, quattro incontri, concernenti tematiche e “questioni” di particolare  interesse per le persone che vi partecipano. Attraverso questo spazio,  con il tempo, le donne percepiscono che i loro bambini non devono necessariamente  essere il tramite del loro stato emozionale, dei loro pensieri e del loro  agire ed i bambini a loro volta devono avere il loro spazio. 

Uno dei “mini-progetti” attuati in questo gruppo si trova all’ interno della cartellina  ed è quel libretto colorato dal titolo: “Le storie dell’ arcobaleno”. 

É ciò che alcune mamme hanno saputo esprimere di un loro vissuto, dopo  alcuni anni di inserimento e di terapia psicologica. Il tempo impiegato per  dedicarsi a se stesse le ha portate a dar spazio a pensieri, riflessioni e azioni  estremamente ricche di significati. Non tutte le mamme-donne erano pronte ad  inventare e raccontare una storia o se l’ avevano preparata non erano ancora  pronte per inserirla nel libretto e quindi renderla pubblica. Abbiamo raccolto  quel che si poteva. Spero vi piaccia, ma ricordate che in ogni storia ritroverete  il vissuto di una persona che ha dovuto faticare molto per poter spiegare a  se stessa ed al proprio bambino alcune situazioni complesse e dolorose. É per  questo motivo che ad un certo punto abbiamo detto: “Usiamo la parola e la  favola per raccontare ai bambini queste situazioni e condizioni di vita”.  (É stato realizzato in modo artigianale, ma speriamo di poterlo stampare e  divulgare maggiormente perché riteniamo possa essere utilizzato da altre persone  che si trovano a vivere situazioni simili.) 

 

Vediamo ora di addentrarci in quella che potremo considerare la nostra guida  rispetto al significato che possono acquisire anche le più piccole azioni di ogni  giorno. Abbiamo in effetti sperimentato da tempo quanto può essere terapeutica  una quotidianità pensata e programmata a partire dalle esigenze di ogni  singolo soggetto in relazione a quelle degli altri e del gruppo comunitario.     

Casa Famiglia vuol essere:

 

• il luogo dell’ accoglienza, dell’ascolto, della “tenerezza e della fermezza”  materna e paterna, vissute nella quotidianità. Tenerezza perché è un  luogo dove la maternità e la tenera età dei bambini che vengono accolti  porta necessariamente a vivere questo sentimento. Ma la tenerezza anche  nei confronti delle mamme che tante volte a noi sembrano proprio delle  bambine perché hanno l’opportunità di riprendere un loro vissuto proprio  dalla loro tenera età: le accompagniamo a diventare “grandi”, dapprima  adolescenti e poi anche, magari, adulte; 

 

• il luogo del recupero dei nodi problematici e della ricollocazione nella storia,  nell’ambiente sociale, nella famiglia di origine: il momento della  maternità e della relazione con i propri figli spesso porta con sé e fa riaffiorare  il vissuto e la sofferenza, anzi le carenze ed i buchi relazionali sperimentati  dalle donne-mamme; 

 

• il luogo in cui si stende il “progetto personale” in accordo con i servizi  invianti, e sempre a partire dal sentire e dalla volontà della persona interessata.  Ciò avviene in seguito alla individuazione di RISORSE PERSONALI  ( SOCIALI, CULTURALI ECONOMICHE ECC.) ed in seguito alla  scoperta e valorizzazione delle POTENZIALITA’ PERSONALI DI  MAMME E BAMBINI. A volte sembra di doverle cercare con un lumicino  in una soffitta buia e piena di pezzi accatastati in modo confuso, pezzi  rotti e trascurati. Ma alla fine si trovano in tutte le persone, troviamo tuttavia  ciò che possiedono e da lì si parte con estrema pazienza, rispettando i  ritmi e i tempi di ogni singolo individuo. Tutti sono portatori di queste  potenzialità e, a nostro avviso, è da lì che si può partire; 

 

• il luogo dove appare fondante la dimensione della tutela e della promozione  della persona, ma soprattutto quella educativo-formativa delle  mamme e dei loro bambini, le quali più precisamente scopriranno di trovarsi  impegnate su di un duplice fronte auto-educativo ed etero-educativo; 

 

• il luogo della protezione dei più piccoli in attesa che le loro mamme, ed  eventualmente i loro papà, abbiano ritrovato o trovato  (perché mai avuto)  un certo benessere psico-fisico-relazionale; Casa Famiglia vuole essere  luogo in cui si pone la massima attenzione allo stato di salute globale dei  bambini attivando dove e se necessario gli opportuni sostegni; 

 

• il luogo dell’apprendimento e della trasmissione,della valorizzazione e  dell’accettazione della diversità. Partiamo dalla consapevolezza che le  mamme per prime devono fare esperienza di accoglienza, di cura, di ascolto,  di relazioni significative. Solo se sperimenteranno su di sè l’importanza  di vivere relazioni e legami significativi potranno a loro volta viverli  nella relazione con i propri figli. 

Il significato alla diversità prima di tutto lo diamo noi come familiari e  come operatori: ci rendiamo conto quanto sia fondante accettare per primi  le nostre diversità tra familiari, operatori e volontari. Siamo diversi come  età, come esperienze, come competenze e come valori di cui siamo portatori.  Tutto questo dovrebbe agevolare la nostra capacità ad accogliere ogni  persona nella diversità che porta con sé; 

 

• il luogo in cui si valorizzano i legami con i diversi componenti della  famiglia d’origine, dove possibile. Ci sembra importante tenere sempre  presente che le persone accolte nella nostra Casa lasciano all’esterno qualcuno,  qualcosa: una storia e delle abitudini ben consolidate, forse una casa  e degli oggetti; i bambini “lasciano i loro papà” e a volte i loro nonni ed  amici. In qualche modo, durante questo percorso, devono e/o possono  imparare a “farsene qualcosa” di quello che hanno lasciato fuori, vedere  cosa si può recuperare e/o “perdonare”; 

 

• il luogo, infine, dell’ ”equilibrio” tra il soggetto e gruppo comunitario.  Credo che una gran parte delle risorse delle operatrici e dei familiari sia  dedicato tutti i giorni, dalla mattina quando ci si sveglia fino alla sera  quando si va a letto, a questo principio, perché le persone accolte vorrebbero  venissero rispettati esclusivamente i propri diritti, le proprie esigenze,  e che tutti capissero i propri malumori. La signora della porta accanto,  invece, vorrebbe esattamente la stessa cosa, tuttavia ha orari che non  sono compatibili con le esigenze della sua vicina, ha bambini di età diverse  ecc…Capite bene come i litigi possono essere la linfa vitale di ogni  giorno. 

La sfida nostra è proprio quella di rendere significativo ogni momento  della giornata e trasmettere quanto sia utile e fattibile imparare a parlarsi,  imparare a rispettarsi, imparare e sapere che in alcuni momenti gli altri ti  disturbano, ma è possibile sopportarlo. Qualcosa si può fare sapendo che  ogni volta non è necessario buttare all’aria la propria vita.    

 

 

Affronteremo ora gli aspetti riguardanti la nostra organizzazione, che è un ente  religioso, evidenziando che per giungere alla definizione attuale si è lavorato  e riflettuto per diversi anni. 

 

• Importanza nel tempo, dell’attuale delegato patriarcale, che ha saputo  far fronte alle difficoltà ed ai cambiamenti culturali e strutturali degli ultimi  decenni. É un uomo, un sacerdote convinto che nella famiglia troviamo  tanta ricchezza, forse anche a partire dagli aspetti che si connotano  come elementi di difficoltà o di fragilità. Nella famiglia tutti possono trovare  o dovrebbero trovare il proprio spazio vitale ed affettivo. Il delegato  patriarcale ha rapporti principalmente con il gruppo dei familiari. 

 

Il gruppo dei familiari è costituito da coppie che gratuitamente si sono  assunte la responsabilità di gestire questa Casa, sono coppie come tante ma  che hanno capito di poter affrontare questo oneroso impegno condividendo  le responsabilità e le fatiche ed identificandosi in un gruppo. Come ben  si può vedere dallo schema il gruppo dei familiari “sta attorno”, offre gli  aspetti rassicuranti e protettivi, proprio come una mamma ed un papà, offrono l’opportunità di vivere dunque in un clima familiare. 

Il gruppo, ad un certo punto del percorso, ha compreso che, per poter  garantire nel tempo la loro presenza e considerando come prioritaria e  necessaria la loro vita personale e familiare, è indispensabile che gli incarichi  siano suddivisi e ridistribuiti in base alle competenze e alle disponibilità  di ciascuno (Presidente, Responsabile della Casa Famiglia,  Responsabile dell’ Asilo nido, Coordinatore amministrativo, ecc.) 

Il gruppo dei familiari porta, dunque, in Casa Famiglia la propria esperienza  di vita, ma ha stabilito che per rendere più completo ed efficace il servizio  offerto alle persone accolte è necessario avvalersi del supporto di un  gruppo di operatrici. 

 

• Il gruppo delle operatrici da alcuni anni è composto da differenti professionalità  (Assistente Sociale, Pedagogista, Psicologa, Educatrici,  Operatrici Socio Sanitarie) in quanto si è compreso che era indispensabile  affrontare la complessità e la delicatezza delle situazioni accolte con maggiori  strumenti ed integrazione di competenze. 

É un gruppo di operatrici un po’ anomalo in quanto siamo riuscite a definire  la necessità di saper affrontare la quotidianità, con tutto ciò che ne  compete, al di là del proprio titolo di studio, mantenendo nel contempo la  valenza e l’indispensabilità di portare ogni giorno la propria specifica preparazione  professionale dentro i progetti dei singoli nuclei accolti.

Questo  stile organizzativo ci consente di rendere terapeutica la quotidianità, ci  consente di osservare, valutare e sostenere le diverse situazioni a partire da  momenti di vita aderenti alla realtà e di utilizzare strumenti, contesti e  modalità adeguate alle capacità ed alle esigenze delle persone accolte.  Il gruppo delle operatrici, unitamente alla coordinatrice e responsabile dei  percorsi educativi sono il fulcro della  vita quotidiana, sono la stabilità professionale e relazionale che offre opportunità terapeutiche.

 

• Questi due gruppi hanno una propria specifica identità. Sono generalmente  coesi ma non chiusi.  Sono uno accanto all’altro e uno dentro l’altro. Per  garantire una buona qualità operativa e relazionale sono state individuate  modalità e tempi di collaborazione (equipe, coordinamenti, ecc.) e di condivisione  rispetto allo stile di vita della Casa ed ai progetti da attuare, vi è,  dunque, un intreccio tra esperienza di vita familiare e competenza professionale. 

 

• La preziosa supervisione esterna, attuata da una psicologa, viene realizzata  periodicamente e consente riflessioni, approfondimenti, messa in  discussione delle sicurezze delle operatrici quanto dei familiari. Offre uno  spazio prezioso, appunto, di pensiero e di parola su quanto si sta vivendo  ed attuando. 

 

• Ai volontari che entrano a far parte dei progetti e rispondono a delle esigenze  di Casa Famiglia vengono proposte attività specifiche e limitate, ma  indispensabili per un buon funzionamento di tutta la struttura (Banco alimentare,  traslochi, attività ludico ricreative con bambini e mamme ecc.). 

 

• Infine, da molti anni la Casa ha avviato un Asilo nido aperto al territorio   di Venezia, ma nel quale vengono riservati alcuni posti per i bambini accolti  nella Casa. Per il bambino è un’occasione di vivere in un ambiente positivo  per la propria crescita evolutiva, mentre per la mamma è l’occasione  di sperimentarsi in una fattibile separazione dal bambino in vista di un proprio  progetto personale.

 

IL NOSTRO METODO

 

Vorrei presentarvi ora, il nostro metodo di lavoro evitando di farvi un elenco  infinito di obiettivi e modalità operative, quanto piuttosto accompagnarvi nelle  “stanze” delle dinamiche e dei vissuti, dei pensieri e delle scelte raccontandovi,  poi, un ipotetico inserimento.  Il nostro metodo si sviluppa a partire dagli obiettivi, dai principi ispiratori, tuttavia  siamo certi che tale metodo può e potrà essere efficace soltanto se si considerano  come fondanti alcuni presupposti di partenza: 

 

• le mamme e i bambini accolti in Casa Famiglia, congiuntamente con quanto  hanno lasciato all’esterno ( legami affettivi, abitudini, sicurezze) necessitano  di tempi e spazi appropriati, di essere accolti in un ambiente che  sappia con serenità, fermezza e pazienza attendere i ritmi di crescita di  ogni singolo individuo in una costante attenzione volta a portare alla luce  il meglio della persona accolta; 

 

• l’accoglienza di un nucleo mamma - bambino - “altro esterno” si fonda su  di un PROGETTO PERSONALE che è la formulazione di un percorso  possibile e concretamente attuabile, che richiede fatica, costanza e capacità  di affrontare fallimenti, dolori, delusioni e soprattutto soddisfazioni,  senza nessuna certezza per quanto riguarda i risultati; 

 

• Casa Famiglia può essere un passaggio, più o meno significativo, per i  bambini e le mamme accolte, ma resta comunque un passaggio, pertanto  deve esser vissuto e trasmesso come parte di un sistema ben più complesso.  Casa Famiglia si inserisce in un contesto territoriale socio-culturale e  legislativo, i progetti hanno come cornice i progetti stabiliti dai servizi  invianti e il progetto stesso della Casa. E nella realtà di ogni giorno, ciò  che si può realmente fare è di aver presente tutto questo, compreso il P.E.I.  ma quotidianamente o periodicamente lavorare su micro-progetti verificabili  a breve termine. La verifica è la base del nostro lavoro. 

 

Casa Famiglia, infatti, non vuole offrire tutte le risposte alle esigenze che via  via possono presentarsi, ma essere nel territorio, essere aperta al territorio. 

 

Tutto ciò non l’affronteremo in questa sede perché il tempo sta passando. Ciò  che mi interessa raccontarvi è che il metodo e il percorso previsto all’interno  della nostra Casa si suddivide in quattro fasi

 

IL NOSTRO METODO

PREVEDE UNO SVILUPPO PROGETTUALE SU QUATTRO FASI

 

PRIMA FASE: ACCOGLIENZA 

 

• FAR SPAZIO DENTRO  OGNUNO DI NOI 

 

• OSSERVAZIONE,  AFFIANCAMENTO 

 

• PROGETTO INDIVIDUALE DI  MASSIMA 

 

• DEFINIZIONE DI RUOLI 

 

• PAROLA CHIAVE: “CALMA E  RIFLESSIONE”   

 

 

 

SECONDA FASE: INSERIMENTO 

 

• POSSONO EMERGERE  PENSIERI DOLOROSI 

 

• DEFINIZIONE E  CONDIVISIONE DI UN  PROGETTO DI VITA FUTURO 

 

• PERCORSO DI AUTONOMIA E  SOSTEGNO NELLA TENUTA  DELLE SCELTE 

 

• ATTENZIONE ALLO SVILUPPO  DEL BAMBINO ED ALLA  RELAZIONE CON I GENITORI 

 

• PAROLA CHIAVE: CHIAREZZA  E TENUTA

 

TERZA FASE: DIMISSIONI  

 

• SI TRATTA DI NUOVO  PASSAGGIO CARICO DI  PAURE E ASPETTATIVE

 

• NEL PROGETTO  CONSIDERARE IL  CAMBIAMENTO DEI RUOLI E  DEI COMPITI DEI SOGGETTI  COINVOLTI 

 

• PAROLA CHIAVE:  GRADUALITÀ   

   

 

QUARTA FASE:  AFFIANCAMENTO A DOMICILIO  

 

• ELASTICITÀ TRA DENTRO E  “FUORI” E TENUTA DEI  RAPPORTI 

 

• IL PROGETTO DEVE TENER  CONTO DELLA CONDIZIONE DI  FRAGILITÀ 

 

• ( ASSOCIAZIONE “AMICI DI  CASA FAMIGLIA”) 

 

• PAROLA CHIAVE: LEGAMI 

 

 

La prima fase riguarda il momento dell’accoglienza è un momento che  richiede particolare attenzione, delicatezza e fermezza, perché le persone che  entrano nella Casa tremano di paura, non sanno che cosa aspettarsi e chi siano  mai queste persone che li hanno voluti accogliere, ma sanno che cosa hanno  lasciato. Hanno forse chiesto aiuto in un certo momento della loro vita ma  quando entrano non sono poi così certe di aver compiuto il giusto passo.

É la fase della massima attenzione alla relazione mamma/bambino ed alle  esigenze specifiche del bambino stesso. 

 

La seconda fase, la fase dell’inserimento, è la fase più densa, e carica di  significativi passaggi, è la fase in cui si cominciano a concretizzare veramente  le scelte: i progetti non sono più progetti di massima, non sono fatti soltanto  di belle parole, sono “fatti”. Il progetto di vita delle persone comincia a definirsi  come un qualcosa di concreto seppur con tutti i momenti di difficoltà che  possono esserci.

 

La terza fase è quella delle dimissioni ed è una fase altrettanto delicata quanto  quella dell’accoglienza dove si rimettono in gioco tutte le paure, si prevede  un’altra volta un momento di passaggio da dentro a fuori e con nuove incertezze. 

 

La quarta fase, l’affiancamento a domicilio, è una fase che abbiamo individuato  negli ultimi due anni perché ci si è resi conto che comunque chi esce può  essere molto solo e/o molto fragile. Sappiamo che entrano da noi donne portatrici  di una grande fragilità e per quanto possano lavorare su se stesse in due,  tre o quattro anni non possono sicuramente arrivare ad acquisire tutte le capacità  necessarie per poter vivere totalmente autonome. La vita per loro è difficile  (visto anche quanto richiesto attualmente dalla società in genere) e dobbiamo  fare in modo, tentiamo di fare in modo di sostenerle, di supportarle perché  le difficoltà della vita non rendano difficile la continuazione del percorso.  Un percorso che, a nostro avviso, continua per tutta la vita delle donne e dei  bambini. 

 

A questo punto accenno soltanto al fatto che proprio per tentare di inventare  qualcosa di nuovo che possa essere di utilità alla continuazione dei percorsi di  queste persone che passano all’interno della nostra Casa è stata fondata da  pochi giorni l’ASSOCIAZIONE AMICI DI CASA FAMIGLIA ONLUS  che ha l’intento di riuscire ad inventare, a creare qualcosa di nuovo e di utile  per poter far sì che le mamme, i bambini, i loro papà se ci sono possano continuare  a vivere insieme. 

 

I PUNTI DI FORZA

DEL NOSTRO METODO DII LAVORO

 

IL LAVORO DI GRUPPO, L’INTRECCIO DI COMPETENZE ED IL  SOSTEGNO RECIPROCO CONSENTONO DI AFFRONTARE ANCHE LE  SITUAZIONI PIU’ DIFFICILI; CONSENTONO DI LEGGERE E VALUTARE LE  SITUAZIONI LIMITANDO I RISCHI DELLA NOSTRA SOGGETTIVITÀ. 

 

LA SUPERVISIONE COSTANTE PERMETTE DI DARE SIGNIFICATO A  COMPORTAMENTI A VOLTE INSPIEGABILI CONSENTE DI GUARDARE LE  SITUAZIONI ANCHE DA ANGOLAZIONI DIVERSE  CONSENTE DI RIFLETTERE SUL NOSTRO MODO DI AGIRE E PENSARE 

 

LA DISPONIBILITÀ AD ACCOGLIERE TIROCINANTI CONSENTE DI  ESSERE IN ATTEGGIAMENTO DI OSSERVAZIONE NELLA CAPACITÀ DI  CONIUGARE TEORIA E PRASSI 

 

 

• Il lavoro di gruppo e l’intreccio di competenze tra familiari, operatori, tra  i diversi operatori, tra le diverse professionalità, tra le diversità personali,  tra le soggettività che portiamo. Un punto di forza è il sostegno reciproco.  Alle volte è importante anche dirci: “Guarda, io non ce la faccio più a  sostenere questa situazione, te la passo; in un qualche modo sostienila tu e  io mi occupo d’altro”. Il lavorare in gruppo limita anche i rischi della  nostra soggettività. 

 

• La supervisione costante che permette di dare significato a comportamenti  a volte inspiegabili, consente di guardare le situazioni anche da angolazioni  diverse, consente soprattutto (e lo sottolineo) di riflettere sul nostro  modo di agire e di pensare.

 

• Infine la disponibilità ad accogliere tirocinanti consente di essere in atteggiamento  di osservazione nella capacità di coniugare teoria e prassi.   

 

LA STORIA DI UN IPOTETICO INSERIMENTO

É lunedì mattina, e come ogni lunedì sorgono nuovi problemi, le situazioni sembrano complicarsi... ma bisogna stare calmi perché sicuramente arriveran­no altre novità... Infatti verso la tarda mattinata ricevo una telefonata di un' assistente sociale di un piccolo Comune del Piemonte, mi chiede se abbiamo disponibilità di posto e quali siano le nostre modalità di procedere. Avrebbe la necessità di collocare al più presto una mamma al 5° mese di gravidanza e con un altro bambino di 2 anni circa. La donna è stata ripetutamente picchiata dal marito ed ora vorrebbe che qualcuno la aiutasse perché non le è più possibile vivere in questo modo... soprattutto ora che ci sono i bambini. A seguito della telefonata e della RICHIESTA DI INSERIMENTO tra il gruppo dei familiari e delle operatrici inizia a svilupparsi un pensiero intorno a questa situazione. Il Consiglio dovrà prendere una decisione!

Nell' incontro del giovedì alla presenza della psicologa che ci fa supervisione, il Consiglio prende la sua decisione valutando gli elementi conosciuti attraver­so una prima relazione e tenendo presenti sia le situazioni delle altre ospiti e le nuove dinamiche che potrebbero venire a crearsi, sia le nostre risorse.

La DECISIONE viene presa: il nucleo verrà accolto.

I primi pensieri intorno a questa nuova situazione iniziano a concretizzarsi:

bisogna far spazio dentro ognuno di noi perché arriveranno delle persone non ancora conosciute; mille domande sorgono spontanee, ma per il momento non è nostro interesse conoscere esattamente tutta la loro storia...chissà piuttosto in quali condizioni saranno...la signora ha solo 23 anni.

Le altre mamme vengono informate dell'arrivo di queste persone... sono curiose, vorrebbero sapere tante cose, ma a loro non resta che iniziare a far entrare nei loro discorsi il nuovo nucleo... loro sanno cosa vuol dire, ci sono già passate...

Ci prendiamo cura dello spazio in cui dovranno vivere (camera, ecc). Concordiamo le modalità e i tempi di ingresso.

LA SIGNORA, IL BAMBINO ED IL PANCIONE ENTRANO accompagna­ti dalla loro assistente sociale.

Le facciamo conoscere la casa, le spieghiamo le regole che dovrà rispettare e le opportunità che potrà avere. La signora è triste... deve lasciare la sua casa, da oggi sa di esser sola ad affrontare tutto... il padre e la madre di lei non capi­scono... Il bambino, al contrario, dopo un primo momento di diffidenza ha ini­ziato a giocare.

CONCORDIAMO CON LA SIGNORA E L’ASSISTENTE SOCIALE cosa e come le potrà esser utile questo tempo e questo percorso.

Pian pianino iniziano a conoscere la casa e chi ci abita, a conoscere i luoghi e dove si trovano le cose, dopo po' di tempo la signora partecipa al gruppo delle mamme ed il bambino frequenta l'asilo...

Il bimbo non ha più il viso così contratto, lo sguardo ora è più sereno...

Ma la mamma è triste: è sempre arrabbiata con noi e non più tanto con il mari­to che la picchiava e la maltrattava, ma forse...(desidera tornare da lui).

E il pancione, ogni tanto ci pensa, ma ancora il bambino non è uscito !

Stabiliamo di AFFIANCARLA: ci sembra opportuno che una delle solite operatrici armai specializzate in questo delicato compito se ne prenda cura. Sarà per la madre una sorta di maternage e per i due bambini sarà punto di riferi­mento e potrà svolgere il ruolo del terzo nelle loro relazioni. Tutti noi invece sosterremo la nostra collega. Sarà un affìancamento che tra alcuni mesi andrà riducendosi, quando la madre sarà in grado di affrontare realmente le esigen­ze di tutti e tre.

...e il padre, telefona tutti i giorni, promette a tutti che è stata l'ultima volta, ma è anche colpa della moglie se lui la picchiava.

Si consiglia di stare tranquilli e prendere un po' di tempo, poi si vedrà.

La situazione esplode: il padre viene a trovare il bambino ed ha un atteggia­mento piuttosto aggressivo e violento nei confronti della moglie... e il bambi­no, sì è presente, ma è piccolo e non capisce.. (dicono i genitori).

Il bimbo quel giorno non mangia e non ride.

Durante il periodo dell'inserimento tanti saranno i momenti positivi e quelli negativi, la signora deve ora ammettere che non ha più paura di notte, non deve più proteggersi con il piccolo... e i suoi genitori non sanno dove sia, ma certamente non se ne preoccupano: è così da sempre !

La bambina nasce e l'operatrice che la segue, insieme ad altre operatrici non l'hanno mai lasciata sola nei momenti cruciali... ha voluto che qualcuno fosse con lei anche al momento del parto.

I bimbi crescono e la signora, per il momento, non deve preoccuparsi di cer­care un lavoro, perciò ha tempo per dedicarsi a se stessa... sente di aver biso­gno di una persona che sappia aiutarla perché sta male, è confusa, è angoscia­ta dal futuro...e ricorda di quando lei era piccola...

In tutto questo la condivisione della quotidianità, le discussioni con le altre mamme, gli altri bambini... svolgono la loro funzione terapeutica e così, si imparano molte cose... Infatti, la signora ha imparato a dire ciò che non le piace, non ci riesce sempre, ma si sente più forte.

I bimbi sono entrambi all'asilo, si apre un baratro: ora dovrà render conto a se stessa delle sue capacità... entra in crisi vorrebbe tornare dal marito.

Continua, fortunatamente, la terapia psicologica e nel frattempo le proponia­mo uno stage lavorativo.

Sono poche ore ma ora non riesce a gestire tutto... a volte non "vede i bambini" se non quando piangono...In questo periodo offriamo la massima attenzio­ne ai bambini, in attesa che la mamma superi questo momento, perché pen­siamo abbia le potenzialità per farcela.

Finisce lo stage, trova lavoro, tra mille peripezie accantona una somma.

I bimbi (secondo le valutazione e le schede di osservazione) crescono bene.

INIZIA A SCORGERSI IL MOMENTO DELL' USCITA

La signora aveva sempre detto alla sua assistente sociale che sarebbe rimasta nella nostra casa per un tempo molto breve, ed invece erano passati alcuni anni...ma avevamo sempre concordato, sulla base di quanto emergeva, che era opportuno fare le cose con gradualità e riflessione.

Nel tempo erano state definite le modalità di incontro tra padre e figli: in un luogo protetto e secondo accordi prestabiliti... ma la lontananza, gli impegni erano stati dei buoni alibi per il padre che non sapeva invece come affrontare questa situazione...

La signora ha così tanta paura... quasi quasi le verrebbe la tentazione di vede­re se il marito è cambiato, se i nonni sono cambiati.

Ci prova, ma nulla è cambiato, non le resta che proseguire per la sua strada.

Il nuovo passaggio dovrà essere graduale, le separazioni dovranno essere affrontate: la signora ed i bambini dovranno avere la certezza che i nuovi lega­mi non verranno meno, cambieranno soltanto nei tempi e nelle modalità di incontro.

CI OFFRONO UN APPARTAMENTO ad affitto agevolato; è situato proprio nelle vicinanze del luogo di lavoro della signora, conosciamo bene la zona ed i Familiari tentano di individuare delle persone che possano costruire nuovi legami con la signora ed i suoi figli.

É TUTTO PRONTO: la barca, il furgoncino, la casa, la scuola...

Apparentemente non manca nulla... ma come farò pensa la signora... alla sera quando i bambini saranno a letto, con chi parlerò, con chi discuterò e mi riappacificherò? E quando starò male e quando i soldi non mi basteranno e se la nuova assistente sociale non mi seguirà come "LA MIA ASSISTENTE" di adesso?

Tante sono le preoccupazioni per la signora, radicate sono le abitudini di vita dei bambini... la piccolina in particolare ha sempre vissuto in mezzo a tanta gente che le voleva bene... Dobbiamo capire chi garantirà il benessere dei bambini in quei momenti in cui la signora dovrà affrontare difficoltà pratiche o psico-relazionali.

DEVONO USCIRE! Potremmo predisporre degli interventi che possano garantire la "possibilità di tenuta" di quanto raggiunto dai singoli componenti del nucleo e degli obiettivi futuri.

Sì! Anche per questo nucleo ci sembra fondamentale avviare il solito PERCORSO DI AFFIANCAMENTO sarà la solita operatrice a garantire un certo sostegno a domicilio, sarà la Casa a lasciare sempre le porte aperte.

I bambini ormai sono cresciuti, la signora è un po' invecchiata, sembra stanca, ma non ha più quel portamento curvo, quello sguardo fìsso verso i nostri piedi che aveva al momento dell'ingresso.

 

 

Concludo il mio intervento illustrandovi schematicamente e sinteticamente i seguenti progetti specifici:

PROGETTI SPECIFICI

Sono stati avviati allo scopo di offrire necessari punti di appoggio in vista di una attenzione alla globalità della persona

Asilo nido

Centro estivo     

aperti al territorio

 

Fondo casa e lavoro

Utilizzato anche

per eventuali terapie

 

Gestione di   appartamenti privati  

 

 

Associazione

"Amici di Casa Famiglia Onius"       

 

  Prossima apertura "Casetta"

4      appartamenti e sala polifunzionale  

 

 

 

• Centro estivo per i bambini che frequentano il nostro asilo nido: da alcuni anni vengono utilizzate le risorse dell'asilo nido per offrire ai bambini, anche durante i mesi estivi, una certa tranquillità e stabilità affettiva e ludico-ricreativa, senza scordare le opportunità offerte ai genitori di poter continuare a lavorare evitando altre complicazioni organizzative ed economiche.

• Fondo casa e lavoro: prevede l'accantonamento di un fondo (costituito attraverso offerte e donazioni) da utilizzare in vista di una prospettiva di uscita "autonoma" dalla nostra casa. Negli ultimi anni si è pensato che alla base di un buon progetto di autonomia deve esser prevista la capacità di affrontare quanto richiesto da un inserimento lavorativo e di gestione di un appartamento e di una vita autonoma. Pertanto il miglior utilizzo a volte consiste nel sostenere le spese necessarie ad una terapia psicologica.

• Gestione di appartamenti: sempre negli ultimi anni abbiamo ricevuto l’offerta, da parte di alcuni privati cittadini, di appartamenti, ad affìtti agevolati e contenuti, disponibili per i nuclei mamma-bambino. Il nostro com­pito consiste nel guidare, sostenere ed accompagnare queste persone in questo nuovo percorso di vita ed, ovviamente, di gestione degli apparta­menti stessi.

• Ristrutturazione "casetta": è stata da tempo avviata la ristrutturazione di un edifìcio, adiacente a quello di Casa Famiglia, ma non si conosce ancora la data di ultimazione dei lavori. In tale struttura sono previsti quattro mini­appartamenti da destinare a donne con bambini in situazioni di "disagio contenuto", che abbiano alcune capacità di autonomia. É prevista, inoltre, la predisposizione di una sala polifunzionale da destinare ad attività diver­se (corsi formativi, attività ricreative, ecc.) aperte al territorio.

• Associazione "Amici di Casa Famiglia Onlus": in questi giorni ha visto la nascita questa nuova associazione pensata per far fronte ad esigenze speci­fiche delle persone accolte nella nostra Casa. Si tratta di dare risposta soprattutto alle difficoltà ed alle solitudini che generalmente si trovano a dover affrontare le persone che escono da Casa Famiglia.

Libero Majer - Diamo ora la parola alla dott.ssa Annalisa Davanzo. La dott.ssa Davanzo è psicologa, psicoanalista, svolge funzione di supervisio­ne esterna nell'ambito di Casa Famiglia.

É una attività e una funzione che per noi è molto utile e apprezzata consen­tendoci di verifìcare costantemente i nostri comportamenti, il nostro modo di porsi nei confronti delle nostre ospiti e di capire anche meglio quello che sono gli atteggiamenti delle mamme che ospitiamo.  

 

INTUIZIONI E SPECIFICITÀ' DI CASA FAMIGLIA

di Annalisa Davanzo[3]

Casa Famiglia è un'emanazione della Diocesi di Venezia, c'è una cappella consacrata, e c'è un delegato del Patriarca che partecipa sia al consiglio di amministrazione che alla riunione congiunta di operatori e familiari; parteci­pa, non presiede, perché la specificità di questo luogo, rara se non unica, è il fatto che la religione cristiana ha "scelto" di esserci facendo valere non i principi dogmatici della dottrina, ma i principi evangelici che si congiungono, e forse promuovono, di sicuro motivano, i principi etici del legame sociale. E questi valori li fa valere non in declamazioni, ma nella loro pratica concreta, quotidiana, in corpore vivo, nel vivo corpo dei suoi martiri, gli sposi.

Martiri nel senso etimologico di promemoria vivente, di ricordarci qualcosa con la loro presenza. E che cosa ci ricordano con questa loro presenza? pre­senza diversa, personalizzata, ciascuno con il suo carattere e la sua storia? che si può, non si deve ma si può, vivere facendo per amore, con gioia, quello che si deve comunque fare per forza, per necessità, per vivere alla meglio, qui ed ora, se non si vuole entrare in rotta di collisione col mondo, dato che questo, per la stragrande maggioranza della popolazione, fatti salvi i potenti della terra, vuol dire soccombere, e le nostre ragazze sono tra questi, e quello che dovrebbero, e possono, imparare a Casa Famiglia è niente di meno che a stare nel mondo, loro e i loro bambini.

Qualunque consesso civile si costituisce per permettere agli esseri umani di vivere insieme, più o meno piacevolmente, dato che i vantaggi che si ricavano dall'aggregazione, e che sono vantaggi vitali, hanno un loro costo nelle limi­tazioni della nostra libertà, in primo luogo la libertà di seguire semplicemente gli estri come si presentano, Freud direbbe seguire il principio di piacere, che vorrebbe tutto e subito, come i bambini piccoli che appena si presenta uno sti­molo non aspetterebbero neanche mezzo secondo. Se poi accettano di mangia­re e di evacuare quando glielo chiediamo noi, è perché ci amano, siamo diven­tati parte della loro vita, parte di loro.

L'amore nasce nell'ambito, sanamente, egoistico del narcisismo primario, e ne porta per sempre il segno. Quando diciamo "questo mi piace, questo non mi piace", che si tratti di cosa o di persona, è perché ci ritroviamo qualcosa di nostro, e infatti è invalso il modo di dire: mi piace a pelle, o a naso, a istinto, e infatti è l'entità sensibile, cioè dei sensi, a decidere..

Veniamo attirati oltre l'interesse dell'unità narcisistica dal miraggio di rifare uno, un uno più grande e più ricco con il nostro complementare, uno + uno = uno. É la coppia come copula.

É una dimensione importante, che ci vuole, è anche una conquista, perché ci sono dei soggetti, e qualcuno ne abbiamo incontrato anche a Casa Famiglia, che restano nella fase precedente che non ho nominato, ma il bambino che ha fretta di eliminare lo stimolo, che non riesce ad aspettare nessun tempo, ha anche la capacità di allucinare la comparsa immediata dell'oggetto di soddi­sfacimento, e di appagarsene, solo che è una condotta mortifera, perché l'al­lucinazione non cambia in niente il suo bisogno, e dopo averci sbattuto la testa è punto e a capo.

Ma, nella maggior parte, lo sviluppo psico-affettivo delle ragazze che passano da noi è arrivata alla coppia-copula, anche col bambino, o nella capacità di fare un'alleanza con un'altra ragazza, ma non è andata oltre e non sa andare oltre l'uno, il mio, e del resto questo è un dato in grande estensione nella cultura imperante, che è una cultura di isolamento, dal quale si esce per un giro di gio­stra, che è poi quasi sempre un autoscontro.

Come si arriva all'amore per la differenza, che ci fa interessare all'altro in quanto diverso, lasciandogli la sua esistenza anche al di fuori di me? Qui c'è spazio per tante ipotesi, ma quello che è verificato da 30.000 anni di storia umana, ma soprattutto è verificato drammaticamente nella cultura e nella pato­logia odierna, è che in questo punto c'è un salto di qualità, uno scarto in cui qualcuno può situare Dio, ma non solo, Lacan ci mette la funzione del Nome del Padre, e comunque è vitale situarci un ideale forte, fosse pure la marxiana divinizzazione dell'uomo sociale, perché comunque lo scarto c'è e non si colma da solo, e superarlo non è una cosa che si insegna o si impara, ma si trasmette.

L'amore per l'altro ci viene dal di fuori, ci viene dato, come un dono, o come un prestito che apre un debito verso quelli che vengono dopo, e che, quindi, non è mai saldato una volta per tutte.

Io e tutti i volontari del mondo siamo a dimostrare che si può amare anche nella distanza, non senza il sospetto che, più che l'altro, si ami proprio la distanza. Ora, l'inaudito dell'insegnamento cristiano, su cui l'etica sociale tace, è che si ami il vicino, il prossimo a te.

Gli sposi ce l'hanno fatta, ce la fanno, a mettere insieme il "questo mi piace, e non un altro" e il "questo lo amo come altro", come ogni altro. É una cosa rara, non necessariamente cristiana, ma certo si fonda su una fede così grande nell'uomo, nel senso di fede nella sua capacità di elaborare il legame sociale in un modo che saldi insieme il particolare e l'universale, una fede così profonda da aprire nella pratica sociale quasi un'area di sacralità, perché è davvero sacro il patto che garantisce, di fronte all'istituzione, religiosa o civi­le, la continuazione della specie umana, parlante e pensante, che garantisce cioè la trasmissione del valore dei soggetti, non del loro numero.

Questa trasmissione non solo ammette ma anzi richiede la diversità, e per que­sto, fatte salve alcune, poche regole fondamentali, il fatto che ciascuna coppia le segua o le trasgredisca a suo modo non solo non nuoce allo spirito della casa, ma ne è la vera risorsa. La sola cosa che hanno in comune è la capacità di sostenere nel tempo quel prezioso equilibrio di slancio e di rigore, di pas­sione e di rispetto, di trasgressione e di legge, che diventa desiderabile e pos­sibile anche per le ragazze, per sé e per i loro figli.

Questo equilibrio non è raggiunto una volta per sempre, è il frutto di un lavo­ro quotidiano che nella coppia può restare inconsapevole ma nell'istituzione, in cui si sono impegnati, si manifesta nel continuo interrogarsi e ricercare le condotte più adeguate. Per esempio, si è manifestato nel desiderio di farsi accompagnare da delle figure professionalmente preparate a trattare il disagio psico-affettivo, costruendo un'equipe che agisce con una competenza psicolo­gica scientifica che è completamente "altra" rispetto alla loro, competenza che è per cosi dire, una competenza di psicologia "applicata", vissuta, e proprio per questo ha instaurato nella Casa uno stile, di vita e di lavoro, che costitui­sce una sorta di filtro, tanto più preciso in quanto impalpabile, rispetto agli esperti professionali, un limite con cui nessun provvedimento può evitare di fare i conti, e questo filtro agisce non solo sugli esperti ( il che spiega la qua­lità straordinaria del gruppo di operatrici) ma anche sulle coppie stesse, perché non basta sposarsi in chiesa per costituire una coppia di sposi cristiani, e non basta neanche desiderare di diventarlo, la Casa è una scuola di vita dura nel mettere alla prova gli ideali altruistici, perché non si tratta di volere il bene degli altri, ma di volergli bene.

Qui possiamo vedere in atto l'intuizione che consente l'amore per l'altro pro­prio al suo nascere.

Qual è l'atto che trasmette al soggetto piccolo, al bambino, il senso del suo valore, del valore della sua propria esistenza di soggetto in quanto tale, di sog­getto nuovo e originale, anche diverso da ogni aspettativa? Mentre la considerazione narcisistica di sé passa negli atti in cui la madre risponde al bambino con la padronanza di chi pensa "tu sei mio, so cosa ti ci vuole per star bene, ce l'ho e te lo dò, quello che ti manca ", il valore di esi­stenza dell'altro passa nell'atto in cui la madre non risponde, sospende la risposta ad un'esitazione, della serie "O no?", se non volesse quella cosa lì che penso io, se volesse qualcos'altro? cosa puoi volere, piccolo? e cerca altre cose, altre risposte possibili, che rompono LA RISPOSTA in tante diverse offerte che sono altrettanti atti d'amore.

Ebbene, i nostri sposi se lo sono chiesto. Il loro mandato, dal Cardinale Cè era semplicemente, e genialmente, "Voéghe ben", ma questo bene, su cui peral­tro sapevano di poter contare, lo hanno subito interrogato: gli avrebbe sugge­rito le cose giuste da fare? avrebbero saputo capire quei soggetti, avrebbero saputo aiutarli a superare una sofferenza sempre più o meno traumatica, basta­va quello che avevano dato ai loro figli? Alle ragazze hanno scelto di offrire non solo un affetto, ma anche delle competenze, l'assistente sociale, la psico­loga, le educatrici, reinstaurando nella sua essenza, aldilà degli oggetti con­tingenti, l'atto con cui ciascuna coppia si era costituita prima e poi conferma­ta nella genitorialità. L'atto che riconosce nell'altro non solo un simile a me, contiguo a me, ma anche un mistero, mai totalmente esauribile, mai davvero conoscibile, e questo è così difficile da accettare perché rispettare il mistero dell'altro vuol dire accettare di essere, noi stessi, un mistero, per gli altri ma anche per noi.

Come diceva Freud, il soggetto non è padrone neanche in casa propria, può solo abitare la casa dell'Altro, la Casa Famiglia, appunto, e per questo il segno che le ospiti sono pronte ad uscirne non è quando friggono per andarsene, "casa mia, casa mia", ma quando ci stanno, infine, davvero bene.

 

Libero Majer - Grazie ad Annalisa Davanzo che ringrazio anche a nome degli altri "familiari" perché ha illustrato le motivazioni del nostro operare in Casa Famiglia. Proseguiamo ora con l'intervento di Costanza Marzotto. La dott.ssa Costanza Marzotto è psicologa e responsabile della formazione presso il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia della Università Cattolica di Milano. Abbiamo visto prima quanto sia delicato e importante seguire le nostre mamme nel momento del passaggio dalla vita nella struttura protetta al percorso di autonomia al di fuori della Casa. La dott.ssa Marzotto ci presenterà ora un'esperienza di famiglia di appoggio che è stata realizzata nella vicina Regione Lombardia.

segue>  

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[1] Responsabile dell'Istituto Casa Famiglia San Pio X di Venezia

[2] Assistente Sociale – Responsabile dei percorsi educativi dell’Istituto Casa Famiglia  San Pio X di Venezia.

[3] Psicologa, psicoanalista, supervisore esterno dell'Istituto Casa Famiglia San Pio X di Venezia