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A sessant'anni dall'olocausto,
lo sterminio degli zingari rimane una storia tutta da scrivere.
L'ebraica Shoah in lingua romanés è Porrajmos ,
che similmente indica annientamento, distruzione, divoramento
. Cinquecentomila, forse un milione, furono i Rom e i Sinti sterminati
dai nazifascisti, a cui vanno aggiunti quelli uccisi in strada,
o comunque perseguitati nei territori occupati di tutta Europa.
L'assenza, nel nostro paese, di una esplicita legislazione razziale
relativa agli zingari non deve trarre in inganno: anche il fascismo
fu responsabile di persecuzioni e deportazioni, sia nei confronti
di Rom e Sinti insediati sul territorio nazionale, sia nei confronti
di quelli che si trovavano nei paesi occupati dal nostro esercito.
Il documentario apre sottolineando il rifiuto, la rimozione,
che molti anziani continuano ad opporre al tentativo dei più
giovani di indagare ed elaborare la memoria della Porrajmos.
Giorgio Bezzecchi, segretario nazionale dell'Opera Nomadi, Rom
hervato, sta studiando la persecuzione zingara. I suoi familiari
non parlano, se pure hanno vissuto la persecuzione sulla loro
pelle, a cominciare da Mirko, il padre, fino alla zia ormai morta,
al nonno, deportato in Germania e mai più tornato. Parlano
poco anche i Gagè, gli italiani, a tutti i livelli: istituzionale,
accademico, storico. I silenzi generano incubi, e Giorgio sogna
di incontrare alcuni perseguitati, che gli testimoniano le crudeltà
della guerra, della deportazione, dei lager. Un sogno che accresce
il desiderio di capire, e porta Bezzecchi a incontrare Giovanna
Boursier, una storica che si è occupata della Porrajmos
e che lo aiuta nella ricostruzione storica. La storiografia,
però, non è sufficiente a esprimere "cos'è
il dolore". Solo chi ha vissuto, forse, può fornire
un sentore.
Ecco quindi che a rendere vive le circostanze illustrate, intervengono
le memorie dei sopravvissuti: Dolores, Adelaide e Candida, tre
anziane Sinti che vivono a Mantova, aprono le testimonianze,
intercalate all'incontro fra la Boursier e Bezzecchi. È
poi la volta di Milenko, di sua sorella Maria e suo marito, Mate
- Rom hervati - i cui ricordi si fanno più precisi e drammatici,
anche perché i tre provengono da una zona disgraziata:
il confine fra Italia ed ex Jugoslavia.
Terminato l'incontro con la storica, Giorgio capisce che molto
va ancora fatto per sollevare la Porrajmos dall'oblio; comprende
meglio anche i silenzi dei suoi parenti di fronte a eventi tanto
paurosi. Anche perché, alla fine, Mirko decide non senza
sforzo di raccontare a tutta la famiglia la "sua" personale
Porrajmos.
Chiude il film l'intervento fuori campo di Renato Sarti, regista
e drammaturgo che da anni lavora sul recupero della memoria storica,
e che nella sede milanese dell'Opera Nomadi, devastata da un'incursione
neofascista la notte del 30 dicembre scorso, interpreta alcune
perle del peggior armamentario. razzista e del bestiario dei
pregiudizi di ieri e di oggi. Perché purtroppo, ancora
oggi, a distanza di tanti anni dal delirio eugenetico nazifascista,
quello dei Rom e dei Sinti è di gran lunga il gruppo etnico
maggiormente discriminato a livello sociale e razziale.
[da "www.altrocinema.it]
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