CESENA - Sfreccia sulla sua sedia come un folletto
dell’allegria, con un entusiasmo e una voglia di vivere che molti
forse solo sognano. Mentre mi sorride si vede che Tonino pensa a New
York, alla Maratona, alle emozioni che ha provato classificandosi primo
tra i disabili italiani e 18° tra i 130 su handbike che provenivano
da tutto il mondo.In un certo senso la maratona di New York gli ha cambiato
un pò la vita, lo ha fatto sentire un vero e proprio protagonista
di un evento collettivo, che ha coinvolto oltre 36 mila atleti e un
numero sconfinato di cittadini, volontari, organizzatori. Quando è
partito dall’Italia, mercoledì 3 novembre, Tonino Comandini,
paralizzato agli arti inferiori dal 1992, aveva l’ambizione di
partecipare alla Maratona e di ottenere, magari anche un buon piazzamento.
Per questo si era allenato 4 volte la settimana, percorrendo circa 50
km ogni volta, indifferente alle condizioni climatiche: caldo, freddo,
stagioni bizzarre. Aveva simulato, grazie al suo allenatore, nonché
migliore amico Corrado Ceccaroni, il percorso di 42 km che avrebbe dovuto
compiere alla gara. Sperava, Tonino, di poter dimostrare a se stesso
e a tutti coloro che si trovano sulla sedia a rotelle che quando la
vita non ti aiuta, prima o poi arriva un momento in cui ci si può
mettere in gioco e dimostrare che l’essere umano è in grado
di risollevarsi e di andare avanti con una grinta che si pensava di
non aver mai avuto.“Partecipare alla maratona è stata una
esperienza straordinaria - racconta Tonino - fin dalla partenza da Malpensa
per raggiungere New York. Questo già il primo piacevole “esperimento”:
io e Corrado non avevamo mai volato. Poi l’arrivo, un po’
frastornato a causa del fuso. L’aeroporto distava da Central Park,
dove avevamo l’albergo, un’ora buona e così dal pullman
ho potuto vedere avvicinarsi la città, prima distante e poi maestosa,
con i suoi grattacieli, con le sue strade che parevano piste da bowling.
Fino al 7, giorno della gara, mi sono allenato, ho visitato la città
e ho incontrato altri atleti come me, in un clima di attesa ma di grande
accoglienza. Il giorno fatidico mi sono svegliato alle 4 del mattino,
perché il pullman ci aspettava poco prima delle 5 per portarci
al ponte di Verazzano, dove avrebbe preso il via la maratona. Lo spettacolo
che mi sono trovato davanti non lo dimenticherò mai: c’erano
stand e servizi per gli atleti, centinaia di volontari attenti a ogni
nostra esigenza, decine di poliziotti sulle moto posizionati a spina
di pesce per controllare la folla che. Alle 8 e mezza del mattino era
già tantissima, senza contare che in cielo 5 elicotteri delle
televisioni sorvolavano la zona. Mi sono allenato in un tratto apposito,
percorrendo circa 7 km, poi è arrivato il momento della partenza.
Appena ho sentito suonare l’inno americano mi sono caricato di
energia per la gioia di essere lì e poi noi disabili siamo partiti:
visto che il regolamento prevede che chi è sulla handbike abbia
un vantaggio di 30 minuti rispetto ai normodotati, ero proprio in prima
fila e la sensazione è stata fortissima. La gara è stata
molto dura, in quanto il percorso era ripido e pieno di buche, più
di quanto mi aspettassi, tanto che ho anche rischiato di “capottare”
con la bici. Tuttavia ho seguito il consiglio che avevo ricevuto: partire
con calma e giocare le mie carte nello sprint finale. E così
ho fatto: se all’inizio sono stato superato da circa una quarantina
di atleti, verso la fine ho rimontato e ho tagliato il traguardo dopo
1 ora e 53 minuti, con una media di 23 km orari”. E adesso, cosa
c’è in futuro? “Sono pronto per riprendere gli allenamenti
e per iscrivermi di nuovo, nel 2005, alla nuova edizione della Maratona
di New York”.