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FERMIAMO L'EOLICO
 

 

disarmiamo la mano di chi attenta alla nostra storia.

Dal resoconto del Senato della Repubblica in occasione del dibattito sulla legge 431, (nota come Legge Galasso – 1985) si legge:

La cosiddetta bellezza della natura è in realtà il prodotto dell’intelligenza, del pensiero e del lavoro umano: è un immenso libro, un palinsesto in cui sono scritti millenni di storia”.

E, a Rocchetta S. Antonio, questo palinsesto, amministratori ignavi si apprestano- con il prossimo consiglio comunale - a svenderlo: tanto non è il loro: chi se ne frega se le amene colline del Carapelle acquistano l’aspetto terrorizzante di un paesaggio alieno e spettrale? Io penso che la realizzazione delle centrali ha come primo, più vistoso ed evidente effetto, la devastazione irreversibile dei valori paesaggistici e panoramici. Tale impatto viene notevolmente amplificato dal fatto che gli impianti, progettati, furbescamente, separatamente, vengono poi spesso aggregati in aree di confine tra più comuni. Un esempio drammatico in tal senso è rappresentato dal confine tra le regioni Campania, Puglia e Molise.

Dobbiamo sapere che l´eolico importa modelli di sviluppo d’altri continenti dove venivano installate centrali in aree desertiche e spazi sterminati, mentre da noi tali siti interessano i  contrafforti dei rilievi montuosi delle quote medie o basse, nel cuore di quello che è il paesaggio dei pascoli, degli spazi aperti e dell’attività agraria che sono la configurazione del paesaggio ereditata da un lontanissimo passato.

Così, oggi, vediamo molte Amministrazioni pubbliche avvallano ed autorizzano la distruzione dei beni naturalistici senza tener nel giusto conto il DPCM 3 settembre 1999, che per l’installazione degli impianti per la produzione d’energia eolica che ricadono anche al di fuori di un’area protetta la regione competente ha l’obbligo di effettuare la valutazione d’assoggettabilità alla VIA, detta anche “screening preliminare”.

In assenza di un’attività di pianificazione e di controllo amministrativo, la presenza di questi apparati industriali determina, infatti, un effetto di dequalificazione ambientale, economica e sociale del territorio, che colpisce anche il settore agricolo, le cui produzioni di qualità si legano sempre più ai luoghi d’origine e alle caratteristiche paesaggistiche, e che trova o potrebbe trovare nell’attività agrituristica o in un opportuno parco subappenninico un’importante fonte di reddito proprio delle aree marginali. Perché in epoca di globalizzazione lo sviluppo deve essere, anzi è obbligatoriamente, legato alla vocazione del territorio.

A chi fa bene allora l’eolico? Certamente fa bene all’industria dell’eolico perché grazie ad incentivi ed aiuti sostanziosi governativi produce quasi a costo zero. I grandi perdenti sono le popolazioni locali. Anche perché gli amministratori non sono in grado di proteggere adeguatamente gli interessi delle popolazioni che rappresentano. E i proprietari dei terreni spesso non hanno la giusta esperienza per difendere i propri interessi in modo adeguato contro chi sviluppa le centrali eoliche con proposte di contratto svantaggiose per loro.

Quindi la ricerca di luoghi per installare le centrali eoliche muove da un interesse affaristico. La normativa del Decreto CIP6 del ‘96 ha triplicato il costo dell’energia prodotta dall’eolico da circa 50-60 L/kWh, alle attuali 140 L/kWh. Producendo a 120 Lire e rivendendo a 140 Lire si ottiene subito un margine di profitto di 20 Lire. Ma il vero buisnees  è collegato ai Certificati Verdi: ogni produttore d’elettricità in Italia che produrre il 2% della  produzione totale annuale mediante fonti rinnovabili ha in premio i “certificati verdi”: ogni 100 MWh, si ha diritto a 1 Certificato Verde. Ma questi certificati possono essere ceduti ai produttori d’energia convenzionale (es. Enel) attraverso la “borsa dell’energia elettrica” e scambiati secondo le regole del mercato. Dall’incontro tra la domanda e l’offerta si determina il prezzo dei Certificati Verdi. Quest’anno il prezzo è di circa 140 L/kWh. Questo si va ad aggiungere al prezzo per la vendita dell’elettricità alla rete (140 lire), per cui, in conclusione, il produttore d’energia  eolica realizza circa 280 L/kWh contro una spesa di circa 120 L/kWh.

Allora ecco l’affare ed ecco spiegato il motivo del boom eolico: il ricavo, al netto delle spese di produzione, si aggira pertanto intorno alle 160 L/kWh ed anche se da tale cifra si devono detrarre alcune spese di tasse e di royalties per i proprietari dei terreni e per le amministrazioni compiacenti (tra l’1% ed il 2%), il profitto netto realizzato rimane notevole. E siccome la vita di un impianto è di circa 25 anni, fatti i conti, i proprietari dell’eolico azzerano i costi nei primi 8 anni e i restanti 17 anni  sarebbero di puro profitto.

Come si vede, ce n’è per tutti: imprenditori ed enti locali. Enti locali che affascinati dalla sindrome del 2% sulla produzione dell’eolico (quota che va, o dovrebbe spettare, alle amministrazioni), acriticamente supinamente o molti interessati, accettano la localizzazione di un parco eolico nel proprio Comune. Le amministrazioni locali non sapendo programmare il proprio sviluppo offrono in sacrificio ciò che non è loro: il patrimonio pubblico. Profittando di un piatto di lenticchie o provvigioni.  E’ così che si legano la corsa ad accaparrarsi siti ed autorizzazioni da parte delle imprese e la disponibilità politica  degli amministratori, indifferenti all’assurdità ambientale di certe localizzazioni. Compiendo una vera e propria svolta epocale verso il peggio.

Perciò io penso che occorre superare un vuoto culturale, politico e gestionale che vede il paesaggio, comprensivo della nostra identità, sacrificato ad ogni nuovo bisogno o affare.

Non è accettabile che, come invece è diventata prassi usuale, la localizzazione degli impianti sia decisa solo in base a contrattazioni tra le ditte produttrici ed i comuni interessati, che spesso svendono per pochi soldi i valori ambientali più espressivi dei nostri territori.

Credo che, a questo punto, di fronte all’evidenza di un triste bilancio ora si tratta di salvare ciò che resta del paesaggio e della nostra storia. Quello che oggi serve al territorio è realizzare un modello di sviluppo legato al turismo sostenibile nell’ambito di un nuovo Sistema Turistico Locale.

 E siccome il bene naturalistico e paesaggistico con la costruzione dei nuovi “mulini a vento” va irrimediabilmente perduto, è necessario che i cittadini e le organizzazioni siano disposti a manifestare il loro dissenso contro questi politici che banalizzano ciò che resta della nostra identità.

Ed ecco perché Noi chiediamo a quest’amministrazione di fermare le pale eoliche, prima che distruggano il nostro patrimonio storico e paesaggistico(dopo aver devastato il centro storico con catrame e cemento) palinsesto in cui sono scritti millenni della nostra  storia.

           empaticamente, FENINNO VITO                 

 
 

- la repubblica di tersite -