Francesca Bottai
Anna Maria Guidi
Antonia Izzi Rufo
Salvo Maggiore
Mauro Navona
Alfredo Panetta
Cristiana Paolini
Gaetano Perlongo
Claudio Pitzianti
Marco Saya
Alessandro Tacconi
Alessio Zanelli
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Veniero Scarselli e la sua poetica esplorazione:"Il
pianto d'Ulisse" e la "Ballata del Vecchio Capitano".Emozioni
di lettura.
Sgombro subito il campo dall'equivoco...del malinteso. Questa
non vuole essere (non é) una recensione: ci sono,in proposito,
gli addetti ai lavori, nelle dotte vesti dei critici militanti.
Volutamente titolo perciò "emozioni" questa mia
dedica,dedica appassionata di lettrice neofita, che intende così
testimoniare a Veniero Scarselli la stuporosa emozione, appunto,
suscitata dalle sue "riflessioni in versi" sull'inquieta,
implacata, umana materia, coatta e sofferente negli angusti confini
del proprio limite: dannazione e risorsa, perché tensione
al riscatto salvifico attraverso l'incessante esplorazione. Anche
senza il mestiere dell'esperienza, mi é bastato, in questo
percorso di lettura, ascoltare il sentire della mente, in viaggio
come e con Ulisse - un Ulisse giovinetto, di candido osare - nei
meandri del relitto ove attende, impotente e impigliato nel naufragio,
l'anima del Vecchio Capitano, affiocata ed assetata di salvezza:
una salvezza solidale di gesti e di parole per prendere il comando
della nave incagliata e "rimetterne la prora/ad Oriente,attraversare
l'Oceano.. .incontro all'agognata salvezza". "I versi
del poeta innamorato non contano", disse Flaiano, condannando
a morte i tanto diffusi reati dell'intimismo, solipsismo, lirismo
e tutti gli altri ismi consanguinei e conseguenti: reati che la
poetica esplorazione di Veniero Scarselli scaricano come inutile
zavorra, tesando le vele agli alisei d'una rotta esistenziale temeraria
e indomita al timone della barca. Esigenza del disagio, orza la
tentazione d'un idealismo hard-core, sul presupposto filosofico
del primo Berkeley, quasi un rifugio senza conforti di una passionale,
panica, intellettuale fisicità che riscatta, indiandosi nel
"cupio dissolvi", ogni sua eteronimica rappresentazione:ma
presto la tentazione smuta perentoria,entomologica osservazione
e oggettivata descrizione dall'interno di "all the thing",
cui Veniero Scarselli, di volta in volta, di circostanza in circostanza,
s'accompagna in simbiotica coalescenza. S'appiglia e s'impiglia
nella propria verità, il suo Ulisse - Ulisse metastorico,
non metafisico, uomo fatto di carne e sangue e di contraddizione,
disincagliando nell'occasione di salvezza la prigionia del Vecchio
Capitano dal "limbo di dolore" del naufragio: salvezza
dell'andare "come un nomade antico col suo gregge" in
un luogo ove seppellire il cuore, e "poi via/senza dolore/senza
più ricordare", ma implorando però alla calda,
amorosa nicchia d'una mano di non lasciarlo, come un bimbo che cede
alla fascinazione imperiosa del bosco e non lo ferma la paura dell'incognito
buio. La smania della risposta,quella che tiene ancora acceso "il
fioco lume" negli occhi del "teschio venerando" del
Capitano smorente, é il boomerang della speranza di sopravvivere,
epistemiologica coazione che ritorna sempre alla domanda nel "sollievo"
di quella speranza, rappresentato dal mortale viaggio in cui la
dànnazione alla conoscenza si libera dalla "notte del
letargo corporale", combattendo contro la "morsa degli
scogli","risvegliandosi" "con tremendi balzi/di
cavallo imbizzarrito" impennandosi "verso il cielo paurosamente"
e disperatamente cercando nella lotta l'approdo al mare: il riscatto
da "un cieco destino senz'anima" del "candido cigno/guarito
dell'antico dolore", pacificato nell'esaurimento del compito.
S'io fossi un critico, dall'intelletto e la penna coronate d'alloro,
svezzato in lunghe filiere di frequentazioni ed interpretazioni
(in altalena come turiboli sempre odorosi d'incenso, spesso autoincenso)
sarei ora in seria difficoltà: troppo facile, scontato,apparentare
la mirabile, poetica esplorazione di Veniero Scarselli a Novalis,
in particolare il Novalis di Geistliche Lieder... comunque riduttivo
e claudicante l'apparentamento, ché davvero questa solida
progettaziòne poetica sfugge, anche nell'ardimento d'un travagliato
riflettere in lasse che scuotono e sciolgono il canto in epica pietas,
ad ogni tentativo di confronto da similitudine. Veniero Scarselli
si conferma in ogni strofa "preso dalla foga della conoscenza"
che non gli concede tregua, guidandolo "ciecamente per mano"
attraverso la discesa "verso il centro della Terra", "con
fede temeraria/ giù per botole anguste e labirinti",
"nelle viscere più nascoste", fino al cuore del
"regno del Silenzio": il sacello ove "finalmente
le immagini/fedeli della Vita oltre la Morte si confondono "in
un'estasi indicibile" portando "al luogo d'una luce suprema",
piena "d'Amore e di Grazia", "come quella dolcissima
della Madre". E' in questa lassa del poema, preludio al ritorno,
"fra le umili fatiche quotidiane", "ad un porto terreno",
che l'Ulisse di carne e sangue e di contraddizione travalica la
soglia del Mistero nel suo candido, fanciullino osare distillando
il veleno dell'iniquità della morte nello stupore della "sua
amorosa/inimmaginabile dolcezza". Ma per poter ritornare fra
gli "ignari popoli della Terra", "a godere di giorni
felici", é imperativo per quell'Ulisse, consumare una
parte di quel suo "piccolo tempo mortale" fuggendo dall'Itaca
e dalla condizione stabile di cittadino, anche se illustre,nel pelago
di marosi inesplorati, sbarcando in arcipelaghi immoti di bianchissimi
scogli e stagnanti silenzi, errando a remi sciolti ebbro in orge
di luce e d'animalesco amore con la Terra, la Grande Madre, a sua
immagine e somiglianza plasmato: la naturale, comune"cifra"
che distingue l'uomo dagli altri animali nella autocoscienza di
morte che tutti ci dispera e annienta, in Veniero Scarselli diviene
unica e irripetibile key word, chiave d'accesso e di penetrazione
di questo suo mondo e "modus" allegorico/ onirico, ferocemente
lirico come un affresco di Jeronimus Bosch. Ognuno di noi va verso
la propria verità attraverso l'apertura della singola parabola:
quella di Veniero Scarselli passa per l'arco d'una inusitata disposizione
ad una fisicità abbagliante e straniante, voluttuosamente
dolorosa, carnalmente umorale. E' onnivora fagìa quella che
trae ed attrae il suo canto di tzigano (e Titano) che canta solitario
-nella sconsolata e sconsolante tesi di Monod- la sua inutile
canzone sotto un cielo di stelle indifferente, é strenua
ed estrema coalescenza con la Vita, fusione e contaminazione, dunque,
in intima, sensuale commistione di sangue, saliva, sudore, lacrime,
paura, tensione e dolore: una celebrazione in un tutt'uno che comprende
e trascende la Morte. In fondo, la forza e la grandezza di Veniero
Scarselli é proprio in questa temeraria umiltà di
costringersi all'annientamento rifiutando l'inerzia d'ogni approdo,
con la vela fuggiasca del viaggiatore che ha "smarrito la via
delle stelle", per contrastare l'avanzata del delirio,"intanato
in una buca/come un serpe", infuocato dal sole, disseccato
dalla sete, attendendo la liberazione della notte lontano dall'oasi
ove,se tutto "splende e verdeggia", è solo ingannevole
apparenza. Allora davvero il riscatto, non la risposta, é
nel folle volo dei remi del pensiero che tesa le vele nell'incessante
movimento che é già voluttà,mezzo di trasfigurazione
e trasfigurante contatto, commemorazione e appropriazione dell'inconoscibile
assoluto, cui tende con le bocche d'un sentire spalancato di sensi
disponibili. Fu detto "Prendete e mangiatene tutti.Questo é
il mio corpo e il mio sangue offerto in sacrificio, per voi":
offertorio offerto in effabile premio e sublime castigo a l"umanità"dell'uomo.
Veniero Scarselli riceve e assimila alla sua "cifra" questo
offertorio, sorbendolo nel calice d'una perpetrata, epica, magniloquente
dissacrazione, per consacrarlo nell'iniziazione ad un patto nuovo:
dove la tensione alla salvezza molla gli ormeggi, dopo tanto travagliato
inquisire, in una pietas consapevole e solidale, amorosa e paterna,
pacificata infine per tutto quell'"ignaro popolo degli uomini"
affranto dal peso e dal silenzio d'acciaio della divinità.
Tratta e attratta dalla procellosa fascinazione di questa poesia,troppo
mi sono dilungata, ma qui non-concludo, grata se chi più
di me molti ha mezzi e meno limiti, dalla presente, emozionata dedica
, saprà trarre materia per più esperte discese nei
gironi di questa navigazione ove, naufraga, la colpa d'esistere
va alla sua foce "sì come rota ch'igualmente é
mossa" da quell'"Amor che move il sole e l'altre stelle".
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