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Seminario Velocita 

13 Dicembre 2003 - Auditorium Fini

Le relazioni

Come allenare Le basi fisiologiche dell'allenamento della forza Fattori determinanti la velocità Metodo analitico
Metodo sensoriale Reazione complessa Tempo di reazione Bibliografia

Come allenare

Per sgomberare il campo da equivoci va innanzitutto ben precisata la differenza tra rapidità e velocità.

“La velocità non è una qualità fisica fondamentale, bensì una capacità derivata, dipendente dall’applicazione di una forza ed esclusivo effetto di quest’ultima. E’ la forza la qualità fisica fondamento della motricità dell’uomo, come causa dello spostamento dei gravi e della velocità che ad essi si vuole  fare acquisire”  (Vittori 1990). Sempre secondo Vittori e molti altri autori e metodologhi la rapidità può essere considerata come qualità fisica di base, quando venga intesa come la caratteristica che consente di muovere  rapidamente, uno o più segmenti del corpo liberi da sovraccarico o comunque rappresentanti un carico di entità ridottissima. Ad esempio la frequenza dei passi di uno sprinter in gara sarà rapportabile alla sua capacità di forza esplosiva e non alla sua capacità di far girare le gambe a vuoto senza che il peso del corpo gravi su di esse e senza che ci sia la necessità di avanzare cioè di spostare il peso del corpo stesso. Risulta in tal modo chiaro il collegamento tra la forza e la velocità di spostamento in rapporto alla resistenza da vincere.

La rapidità deve essere considerata come una qualità funzionale specifica del SNC, capace di regolare in modo molto efficace la funzione psicomotrice. Essa si manifesta in azioni che non solo non richiedono un importante impiego di forza e di conseguenza una ridotta spesa energetica, ma che devono anche essere di facile coordinazione ovviamente in rapporto al livello della capacità individuale.

Come riconosciuto dalla quasi totalità degli autori e ben evidenziato da Zatsiorski essa si manifesta secondo le seguenti modalità:

-         la reazione semplice o complessa ad un segnale

-         la velocità di esecuzione di un movimento semplice senza una significativa resistenza o di un movimento complesso ma ben conosciuto (vitesse gestuelle)

-         la frequenza di movimenti senza una significativa resistenza.

Il tempo di reazione è considerato come geneticamente prestabilito. Evolve seguendo un andamento cronologico ben definito e viene determinato essenzialmente da due fattori:

-         la regolazione dell’apparato neuromotorio (fattore percettivo)

-         la consistenza motrice dell’azione (fattore motorio).

Ma il secondo fattore, la consistenza motrice dell’azione, quello che più facilmente si può pensare di migliorare tende a coinvolgere la vitesse gestuelle cioè l’esecuzione del primo movimento e quindi si trova a metà strada tra tempo di reazione e l’esecuzione di un movimento semplice..

Come rimarcato dal prof. Bisciotti nel suo intervento, la consistenza motrice dell’azione, cioè il fattore propriamente motorio, può essere anticipato prevedendo quello che succederà in rapporto al tipo di movimento dell’avversario.

In movimenti complessi la riduzione del tempo di reazione dipende dalla coordinazione intramuscolare (ed intermuscolare) e cioè dal livello di automatizzazione  del movimento.

Il metodo analitico per il miglioramento del tempo di reazione semplice si basa sui seguenti accorgimenti:

-         la ripetizione più rapida possibile della reazione ad un segnale imprevisto, inatteso o ad un cambiamento dell’ambiente esterno

-         il miglioramento della vitesse gestuelle, cioè della rapidità del movimento da produrre (si tratta in pratica di agire sul fattore motorio)

-         la concentrazione sulle azioni da svolgere all’arrivo del segnale, e non sul segnale

-         il dosaggio della tensione muscolare

-         il dosaggio dell’attenzione.

Il metodo sensoriale per il miglioramento del tempo di reazione tende a stimolare la capacità di percepire brevissimi intervalli dell’ordine di pochi centesimi di secondo. Lo sviluppo del metodo avviene in tre fasi:

-         reazione la più rapida possibile e indicazione all’atleta del tempo impiegato

-         stima del tempo di reazione da parte dell’atleta e successiva indicazione del tempo impiegato

-         reazione in un determinato tempo stabilito precedentemente.

Le reazioni complesse prevedono generalmente due tipi di situazioni:

a)      la reazione ad un oggetto in movimento

b)      la reazione concernente una scelta.

Il primo caso è caratteristico dei giochi con la palla. Per esempio si possono prendere in considerazione le azioni che fa il portiere quando deve bloccare un tiro:

-         vedere la palla

-         valutare la direzione e la velocità di spostamento

-         scegliere un piano d’azione

-         realizzare questo piano.

Di queste quattro azioni quella che richiede un tempo più lungo è la prima che consiste nel fissare la palla. Per ridurre questo tempo nell’allenamento si tende progressivamente ad aumentare la velocità della palla e a ridurre la distanza di osservazione.

Nel secondo caso nell’ambito degli sport collettivi diventa importante la “anticipazione”.

Come dice Zatsiorski in tutte le azioni motorie si possono distinguere due fasi:

-         una fase preparatoria in cui l’atleta si “organizza”, si dispone in una determinata posizione, si prepara per effettuare l’azione vera e propria

-         una fase di esecuzione propriamente detta.

L’anticipazione consiste nel trarre delle informazioni da quello che avviene nella prima fase per prevedere la seconda e quindi muoversi in anticipo. E’ chiaro che una buona conoscenza delle caratteristiche e della gestualità dell’avversario costituiscono un valido  presupposto per arrivare a ciò. In tal modo si può ridurre il tempo di reazione complesso.

Un’ultima considerazione sul tempo di reazione complessa riguarda la relazione stretta tra la sua durata ed il grado di entropia  della situazione cioè con il grado di incertezza e quindi con il numero delle alternative possibili.

Se l’entropia è nulla il tempo di reazione complesso è uguale al tempo di reazione semplice.

Per concludere su questo argomento si può dire che tutti gli autori (da Zatsiorski a Weineck a Bauersfeld) considerano il tempo di reazione come un fattore genetico soprattutto per quanto riguarda la velocità di conduzione degli stimoli; e quindi il margine di miglioramento attraverso l’allenamento   è ridotto.

Ciò non toglie che sia nel caso dello sprinter con il riferimento al metodo sensoriale che in quello del portiere o del giocatore si possano svolgere esercizi del tipo di quelli indicati per ottenere un certo miglioramento. Nella maggior parte dei casi l’esercitazione riguardante il tempo di reazione è abbinata a quella tecnica che lo segue come per lo sprinter che parte o per il portiere che para.

Se il tempo di reazione non è legato alla forza, lo sono invece gli altri due fattori della rapidità e cioè sia la velocità di un singolo movimento che la frequenza, a meno che la resistenza da vincere sia minima (curva forza-velocità).

A proposito della velocità di contrazione che sta alla base della velocità del movimento e della frequenza, alcuni autori, tra cui Cometti, ritengono che essa dipenda dai seguenti fattori:

-         velocità di liberazione del Ca++

-         tasso di ATP nel muscolo

-         percentuale di fibre rapide.

La velocità di liberazione del Ca++, dipende dall’intensità dell’impulso effettore e quindi della depolarizzazione della membrana cellulare.

Il tasso di ATP nel muscolo è più importante come indicatore della capacità del sistema anaerobico, che non della potenza. A questo proposito alcuni autori tra cui J.R. Lacour, ritengono invece come indice di capacità del sistema anaerobico la diminuzione del tasso di PC registrato alla fine dell’esercizio, corrispondente alle riserve utilizzate dal muscolo. Ma è l’attivazione dell’ATPasi, l’enzima di scissione, che determina la potenza del sistema anaerobico prevalentemente alattacido.

Un importante riferimento nell’analisi di questi due fattori (velocità del singolo movimento e frequenza, tra l’altro non necessariamente correlati con il tempo di reazione) va fatto all’azione del circuito di Renshaw che riduce, quasi inibisce l’inibizione reciproca cioè quella dell’antagonista al momento della contrazione dell’agonista. L’effetto negativo e protettivo di questo circuito avviene a livello di SNC e tende a desincronizzare le U.M. dell’agonista ed a far contrarre l’antagonista. Ma si tratta di una caratteristica del principiante,  senz’altro superata dall’atleta evoluto.

La velocità di un gesto (forma aciclica), la velocità di spostamento (una successione di gesti aciclici e ciclici), quella di corsa (gesti ciclici), riguarda tutte le specialità sportive e, dato che va sempre comunque spostato il corpo oltre ad eventuali attrezzi, sottintende inevitabilmente l’impiego della forza veloce. Per cui come allena la forza lo sprinter e come la può allenare, con lo stesso obiettivo cioè il miglioramento della velocità, un calciatore?

Vittori insieme ai suoi più stretti collaboratori  ha individuato una precisa metodologia  di  sviluppo della forza in tutti i suoi vari aspetti in funzione della velocità. Partendo dall’analisi del modello di  prestazione di qualsiasi attività che preveda una fase di accelerazione e di corsa lanciata. In  riferimento  all’utilizzo delle diverse espressioni della forza, è proposta la seguente distinzione:       -     espressione di forza attiva

-         espressione di forza reattiva

intendendo  la prima come effetto prodotto soltanto dall’accorciamento  della parte contrattile e  la seconda come effetto del ciclo stiramento-accorciamento cioè con l’utilizzo della componente  elastica in aggiunta  all’azione contrattile.

Schematizzando Vittori considera come facenti parte della forza attiva sia la forza massima dinamica  sia la forza esplosiva; e della forza reattiva sia la forza esplosiva-elastica sia la forza esplosiva-elastica-reattiva.

Questa distinzione è diversa da molte altre che tutti conoscono ma a mio avviso molto funzionale in relazione alla velocità.

 Per forza massima dinamica s’intende quella che serve per spostare con un solo movimento  il carico più elevato possibile senza limitazione di tempo. Viene definita dinamica solo per il fatto che non è isometrica.

Per forza esplosiva si intende quella sviluppata alla maggiore velocità consentita dalla resistenza da vincere (che può consistere  nel peso corporeo oppure in un sovraccarico oppure nella somma dei due o in un altro tipo di resistenza) partendo da una situazione statica in  modo che la contrazione  muscolare sia solo concentrica; esempio classico è quello della prima spinta dal blocco dello sprinter; nel calcio ritroviamo l’utilizzo di questa espressione di forza  nella parata del portiere partendo  da fermo ed in ogni tipo di scatto da parte di qualsiasi giocatore che parta da fermo.

Per forza esplosivo-elastica si intende la forza derivante dal ciclo stiramento-accorciamento che deriva cioè da un molleggio, da un prestiramento, da una fase eccentrica che precede la successiva fase concentrica. Entra in gioco il fenomeno della elasticità soprattutto tramite quella che è considerata  la CES,  la componente elastica in serie (quella in parallelo la CEP come sappiamo è deputata alla conservazione o meglio alla preservazione del sistema muscolo-tendineo) la quale è una qualità del muscolo che serve per immagazzinare energia restituendola, a costi energetici molto bassi, in sovrappiù (surplus) nella fase concentrica.

Questa forza esplosivo-elastica si evidenzia nella prima parte di accelerazione dopo la partenza  dai blocchi in cui il piegamento al ginocchio è ancora accentuato ed in  cui i tempi di appoggio sono ancora relativamente lunghi  (da 250-260/1000  di sec. Si passa a ~ 120-125/1000 sec. verso il 7° passo (cioè a 9-10 m. dalla partenza).

Nel calcio quella esplosivo-elastico è l’espressione più importante e più utilizzata dalla forza in funzione della velocità essendo la maggior parte degli scatti, compiuti dal giocatore, di breve durata (da pochissimi metri fino a 20-25 m.) con partenza in movimento.

L’ultima espressione considerata che è quella esplosiva-elastica riflessa, non è che una manifestazione di forza esplosivo-elastica con una fase di stiramento ridotto sia come tempo che come ampiezza articolare: in questo caso scatta il meccanismo riflesso dei fusi neuromuscolari che accrescono ulteriormente la risposta elastica soprattutto se l’effetto di questo meccanismo si inserisce nella fase concentrica; ne va dimenticato l’effetto della stiffness cioè della “durezza” del sistema artro-muscolare che apporta un ulteriore vantaggio alla risposta elastica. Del resto, come ha ben sottolineato  più volte il prof. Vittori nei suoi innumerevoli studi sullo sprint, sarebbe difficile spiegare il mantenimento di un’altissima velocità dalla fine dell’accelerazione al traguardo da parte del centometrista se non supponendo un forte intervento di quest’ultima espressione di forza che si estrinseca in quei pochi  millesimi di sec. (80-90) di durata dell’appoggio del piede a terra.

Per un giocatore di calcio all’apparenza quest’ultima espressione di forza può sembrare meno rilevante perché pochi ruoli prevedono l’eventualità di una fase lanciata della corsa veloce (in pratica solo i tornanti cioè quelli che giocano sulle fasce) e effettivamente questa eventualità si presenta poche volte  (al massimo 5-6 volte) durante una partita; ma non va dimenticata l’importanza della reattività in rapporto ai rapidi ed appena accennati mutamenti di direzione  in velocità  (Bosco..)

In  questo modo cioè considerando le varie espressioni di forza attiva e reattiva si giunge alla costruzione di un modello di prestazione per lo sprinter che non è biomeccanico  inteso in senso lato (cioè non riguarda la biomeccanica della corsa pur influenzandola e determinandola) ma è un modello di biomeccanica  muscolare in quanto delinea il tipo di intervento delle espressioni di forza che caratterizzano  i vari momenti della competizione.

In altri sport in particolare nel calcio, la velocità consiste in pratica in una serie ripetuta, con intervalli variabili, di accelerazioni più o meno lunghe ma quasi mai complete, raramente con partenza da fermo ma spesso con cambi di direzione, per cui facendo riferimento alle espressioni di forza antecedentemente considerate diventa più difficile  modellizzarle, ma più importanti risultano quella esplosiva-elastica, quella esplosiva peculiare del portiere e quella esplosiva-elastica-reattiva soprattutto  per i rapidi cambi di direzione. In un gesto caratteristico come quello del calciare interviene, oltre alla capacità generale di forza che dà stabilità ed equilibrio all’azione, anche la capacità di forza esplosiva elastica specifica di un determinato gruppo muscolare quale quello degli estensori della gamba sulla coscia, in quanto da essa dipende la velocità del movimento e di conseguenza la velocità che si imprime alla palla.

La differenza sostanziale  tra la preparazione dello sprinter e quella di un calciatore  in rapporto allo sviluppo della forza in funzione della velocità, sta nella disponibiltà di tempo e di energie completamente differente. Vedremo in seguito come per uno sprinter individuati i mezzi più idonei, da quelli generali   a quelli più specifici, per ottenere il risultato voluto e cioè incrementare la forza in funzione della velocità, questi vengono programmati e personalizzati con una logica precisa.  Tutto ciò è molto più difficile da realizzare per sport come il calcio che, per forza di cose,  per i calendari agonistici, perché la gamma delle capacità fisiche e tecniche è ampia, non danno modo all’allenatore e al preparatore  fisico di organizzare un lavoro preciso diretto in tal senso: ed il risultato è semplice: la capacità di accelerazione che in fondo rappresenta poi la velocità per questi giocatori non migliora  quasi mai a parte  il periodo dell’accrescimento. Come ha avuto modo di affermare il prof. Bisciotti si arriva a stimolare la forza nel modo  più diretto cercando soluzioni che spesso soltanto “scimiottano” le esercitazioni vere e sistematiche dello sviluppo della forza veloce. A questo  proposito in seguito all’esperienza personalmente  condotta nell’ambito del calcio in particolare, posso testimoniare come soltanto la resistenza  specifica tenda a migliorare perché rappresenta in effetti la capacità regolarmente sollecitata attraverso tutti i tipi di gioco.

Passiamo ad esaminare come sollecitare e sviluppare le espressioni di forza  precedentemente elencate e quali mezzi usare allo scopo e come controllarne l’andamento.

Il gesto principalmente  preso in esame è quello del piegamento e dell’estensione delle gambe che può essere utilizzato in diversi modi soprattutto in rapporto alla velocità esecutiva ed al carico sollevato:

-         per la forza massima dinamica si tratterà di eseguire lo squat completo cioè dalla massima accosciata all’estensione  completa  delle gambe con il carico aggiuntivo (bilanciere) più elevato (il carico che consente in teoria una sola ripetizione). La velocità di  movimento sarà molto bassa; l’espressione di forza prevede solo  una fase concentrica. Lo sprinter di qualità arriva a sollevare un sovraccarico pari al doppio del peso corporeo. Il  calciatore non fa mai questo esercizio.

Nota importante di Vittori: la correlazione tra la forza massima dinamica e le altre espressioni di forza dipende dalla incidenza della capacità contrattile che è molto alta nella forza esplosiva  e decisamente  più bassa in quella esplosiva-elastica-riflessa.

-         per la forza esplosiva  l’esercizio consiste nell’estensione più veloce possibile  delle gambe con partenza  da fermo dalla posizione di ½ squat utilizzando sovraccarichi differenti che consentono   anche l’eventuale stacco da terra: in questo esercizio oltre alla capacità contrattile interviene la capacità di sincronizzazione della contrazione delle fibre al fine di avere un massiccio reclutamento istantaneo (coordinazione intramuscolare). Questo tipo di esercizio viene utilizzato anche dal calciatore soprattutto nella forma che prevede l’esecuzione con  balzo (quindi con un basso sovraccarico).

-         L’espressione di forza esplosiva-elastica  è stimolata dall’uso dell’esercizio dello squat-continuo del ½ squat continuo e del ½ squat  jump continuo che presuppongono ovviamente l’uso dell’energia elastica: questa è la particolarità che li distingue dall’esercizio  precedente. Il reclutamento è progressivo per quanto riguarda le U.M. soprattutto se il carico è elevato ed il piegamento profondo. In un movimento balistico ad alta velocità sono soprattutto le fibre veloci ad essere reclutate. Il ½ squat continuo ed il ½ squat jump continuo sono gli esercizi che più di altri vengono utilizzati dal calciatore.

-         Ancora più rivolto nella direzione dell’espressione  di forza esplosiva-elastica-reattiva è l’esercizio del ½ squat   molleggiato jump che prevede un leggero molleggio alla fine della fase eccentrica; questo molleggio di ridotta ampiezza provoca un breve  stiramento degli elementi elastici ed una risposta riflessa più importante di quella esplosiva-elastica: si  ricrea, per avere un riferimento tecnico, la situazione  della fase lanciata della corsa dove la forza esplosiva-elastica-riflessa diventa molto importante e decisiva per il mantenimento della velocità e dove appunto il molleggio alla caviglia e al ginocchio sono minimi; nella stessa situazione si trova il calciatore che in fase lanciata esegue un rapido cambio di direzione. Per sviluppare la forza esplosiva-elastica-reattiva sono utilizzati anche altri esercizi che comportano esecuzioni rapide quali la divaricata sagittale con balzo sul posto ed i saltelli a piedi paralleli ed a gambe tese, con sovraccarichi non elevati. Questi ultimi sono quelli più usati dal calciatore.

Altri esercizi con sovraccarico per lo sviluppo della forza in funzione della velocità usati regolarmente dai velocisti ed in misura minore dai calciatori sono le divaricate-sagittali in avanzamento, il passo saltato lo step e alcune varianti del ½ squat quale quella su un solo arto, per quanto riguarda le esercitazioni in forma globale. Quelle invece di tipo settoriale (molleggio sugli avampiedi a gambe tese e piegate a carico naturale o alle macchine standing-calf o sitting-calf – leg estension – leg curl – adductor e abductor) più usate dai calciatori che dai velocisti sono indirizzate a colmare degli scompensi e quindi a riequilibrare e a prevenire oppure rispondono ad esigenze specifiche quali l’esercizio della leg-estension in rapporto all’azione del calciare. In questo caso le modalità esecutive saranno indirizzate alla ricerca della massima potenza. L’esercizio di squat e di ½ squat in tutte le forme indicate può essere svolto all’occorrenza alla pressa orizzontale con un effetto quasi simile.

La proposta del prof. Bisciotti per il calciatore riguarda un utilizzo di questi mezzi con il metodo del contrasto passando cioè da esecuzioni forzatamente più lente ad altre più dinamiche; di ciò e di come sono utilizzati sia dal velocista che dal calciatore, e cioè in quale momento della preparazione, in quale combinazione ed in quale quantità si vedrà trattando della periodizzazione e della programmazione.

Lo sviluppo di queste espressioni di forza in funzione della velocità (esplosiva/esplosiva-elastica/esplosiva-elastica-riflessa) può essere controllato attraverso alcuni test ideati da Bosco, i cui valori possono essere raffrontati tra loro test di sprint sul terreno e per i velocisti con i tempi realizzati in gara.

Dai mezzi di forza generale si può passare all’esame dei mezzi di forza speciale per lo sviluppo della velocità. Essi sono:

-         balzi orizzontali (alternati, successivi, simultanei) (espl/espl-el/espl-el-rifl)

-         corsa balzata (espl-el-rifl)

-         balzi verticali su ostacoli (alti, medi) (espl-el/espl-el-rifl)

-         skip con o senza cavigliere (espl-el)

Ogni mezzo richiede una particolareggiata descrizione. Tutti sono usati dal velocista, solo alcuni dal calciatore che ha meno tempo ed energie da dedicare in questo senso.

Dei mezzi elencati egli fa uso dei balzi orizzontali corti (fino all’ottuplo) dei balzi sugli ostacoli (medi e bassi) e dello skip senza cavigliera, quelli cioè più indirizzati verso la forza esplosiva-elastica che non quelli di forza esplosiva-elastica-riflessa.

Dai mezzi di forza speciale si passa a quelli di forza specifica:

-         traino

-         corsa balzata con rilevamento del tempo e del numero dei balzi

-         corsa ampia con rilevamento del tempo e del numero dei passi

-         sprint con partenza da in piedi su 30-50-80-100 metri con cintura zavorrata.

Queste esercitazioni rappresentano un ulteriore anello di congiunzione tra lo sviluppo della forza e la velocità e contengono elementi importanti dello sprint. Di tutte queste esercitazioni il calciatore utilizza il traino.

L’allenamento dello sprint non si basa esclusivamente sulle esercitazioni di forza generale e speciale. Un altro capitolo importante riguarda la resistenza alla velocità che per lo sprinter consiste nel mantenimento della velocità raggiunta per tutto l’arco della gara o comunque nel contenimento del decremento. Questo problema è di tipo prevalentemente metabolico ed il tipo di metabolismo spazia nell’ambito dell’anaerobico dall’alattacido al lattacido o meglio alla luce delle odierne conoscenze dal moderatamente lattacido al fortemente lattacido a seconda delle distanze percorse, dell’intensità (cioè della percentuale di velocità, tra l’altro sempre elevata), del tempo di recupero (comunque incompleto) e del totale della distanza coperta (cioè della somma delle singole distanze). Senza parlare della velocità prolungata (400m.), ma avendo come riferimento la distanza classica dello sprint cioè quella dei 100 metri le prove utilizzate sono divisibili in due gruppi:

-         quelle cosiddette brevi che vanno dai 60 ai 100 metri

-         quelle lunghe dai 150 ai 250/300 metri.

Lo scopo delle prove brevi è quello di stimolare il rapido processo di ricostituzione dell’ATP attraverso la scissione della PC per mezzo dell’aumento di depositi e/o attraverso una migliore attivazione enzimatica: l’obiettivo si raggiunge con serie di ripetizioni di prove dapprima brevi (60m.) poi mano a mano che aumenta la “tenuta” più lunghe (fino a 80 e 100m.) senza che si riduca la velocità. Queste prove che sono corse ad una velocità che va dal 90% - 92% al 95% - 96% prevedono recuperi incompleti (dell’ordine dei 2’ – 3’) proprio per mettere in crisi il succitato metabolismo al fine di provocare l’effetto della supercompensazione. Si tratta di un’esercitazione generalmente ben assorbita dal velocista e che dà come risultato anche l’incremento della velocità in assoluto oltre al conseguimento dell’obiettivo primario la resistenza alla velocità. L’aumento della distanza (da 60 a 80 e anche a 100 m.) fa sì che il numero delle ripetizioni e delle serie diminuisca. Questa esercitazione può essere abbinata anche alle prove più lunghe di capacità lattacida.

Le prove più lunghe (da 150 metri in poi) hanno come  obiettivo la capacità dell’organismo a sviluppare alte velocità contemporaneamente alla crescente elevazione dell’acidità nel muscolo dovuta alla produzione di lattato più o meno rapida a seconda dell’intensità delle prove e del loro numero, della combinazione e del recupero.

La metodica di sviluppo di questo mezzo denominato abitualmente come “prove lunghe” di cap latt prevede l’esecuzione dapprima in serie e poi come prove ripetute delle succitate distanze. Nelle prove in serie l’accumulo del lattato è più lento e progressivo; nelle “ripetute” è più rapido e per questo motivo esse sono da considerare più specifiche.

Nel calcio non si può parlare di resistenza alla velocità perché nel 95% dei tratti di corsa effettuati da un calciatore non si arriva neppure a completare un’accelerazione oppure quando il tratto è più lungo consiste in un succedersi di fasi acceleranti e deceleranti associate a cambi di direzione, a finte, a gesti tecnici più specifici nel caso in cui il giocatore sia in possesso di palla. Inoltre va sottolineato che, data la variabilità del gioco, il succedersi nel tempo di queste fasi è impossibile da prevedere. Sta di fatto che se un giocatore è in grado di reiterare queste accelerazioni con brevi intervalli di recupero, e se è in grado di fare ciò con la stessa efficacia fino al termine della partita dimostra di possedere una resistenza specifica molto elevata, quella in pratica che ogni allenatore desidererebbe da ogni giocatore. Per cui quella che va ricercata è proprio questa qualità di reiterare accelerazioni con brevi tempi di recupero.

Al fine di non “rubare” troppo tempo all’allenamento tecnico-tattico la metodologia per lo sviluppo della velocità e quella della resistenza specifica tendono a fondersi in una comprendente prove di 10-20-30 metri in serie corpose di ripetizioni (es. 12-15 prove per serie) con recuperi brevi (30”) tra le prove, e ampi (5’-6’) tra le serie e con un impegno elevato (oltre il 90%).

Un supporto a queste prove che possono essere considerate specifiche viene da prove più lunghe di 100 e 50metri  anch’esse corse in serie di ripetizioni ad un ritmo pari all’80% - 85% sempre con recuperi incompleti  (es.10 x 100m. + 10 x 50m. con recupero di 30”/40” tra le prove e di 5’/6’ tra le serie).

Parallelamente alle prove di 10-20-30 metri, stanno quelle di va e vieni sulle stesse distanze con cambi di direzione e di senso (alcune serie di 6-10 tratti più o meno lunghi) ed anche le variazioni di velocità (6-8 passi veloci + 10-12 passi lenti in serie di 10-12 variazioni). Non va inoltre  dimenticato un particolare tipo di “intermittente”, quello più breve (es.: 5” rapidi + 15” lenti …) che risulta poco aerobico ma molto specifico.

Mi pare opportuna una precisazione a questo riguardo: pensare che la velocità quella che serve al calciatore, cioè questa capacità di accelerare sul breve, di cambiare direzione, senso, di arrestarsi e ripartire, possa migliorare ripetendo le esercitazioni di corsa proposte è corretto, nel senso che  migliora la coordinazione intra ed intermuscolare e tutto ciò rende i movimenti più economici e più efficaci; ma l’entità di questo miglioramento è veramente minima. D’altro canto si ha una risposta supercompensativa a livello biochimico quando le ripetizioni sono a recupero incompleto, per cui sicuramente  con questi tipi di mezzi, associati ad altri consistenti in esercitazioni tecnico-tattiche opportunamente mirate si può avere un buon incremento della resistenza specifica. Per migliorare la capacità di accelerazione e la velocità in assoluto, cosa tra l’altro abbastanza rara tra i calciatori che abbiano raggiunto la maturità, è indispensabile che alle spalle di questo lavoro di sprint ripetuti, di va e vieni, di variazioni di velocità, stia un sistematico allenamento della forza in senso generale (sovraccarico) e speciale (balzi-andature-traino-salite ecc).

La difficoltà è quella di sviluppare questo tipo di allenamento nella fase di preparazione e successivamente in quella agonistica con metodicità: e tutto ciò non è per mancanza di volontà o di tempo ma perché questa parte di allenamento toglie spazio ed energie a quello tecnico-tattico e lo condiziona negativamente limitandone lo sviluppo. A questo proposito sta prendendo piede tra i giocatori  l’utilizzo del periodo di transizione (in pratica il mese di vacanza) per svolgere appunto esercitazioni di carattere generale e speciale.

Nell’allenamento dello sprinter invece la velocità (non la resistenza alla velocità) viene stimolata attraverso esercitazioni tecniche di partenze e accelerazioni, ma soprattutto attraverso prove singole con recupero completo di 60-80-100 e 150 metri. La differenza  tra queste diverse distanze è basilare: mentre i 60 metri possono essere corsi al massimo delle possibilità senza alcun tipo di economia o di tattica, a partire dai 100 metri diventa importante la distribuzione dello sforzo che non consente mai di arrivare al 100% delle possibilità ma che consente di ottenere il miglior rendimento. Nell’analisi dei mezzi per lo sviluppo della velocità occupano un ruolo importante anche gli esercizi preatletici sotto forma di andature elastiche e rapide che spesso sono parte integrante della fase di riscaldamento di una seduta. Esse sono importanti sia per il velocista che per il calciatore seppure possano cambiare alcune modalità di esecuzione.

 

 

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Le basi fisiologiche dell'allenamento della forza

LE BASI FISIOLOGICHE DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

 

Bisciotti Gian Nicola  Ph.D.

 Consulente Scientifico Internazionale FC, Milano (I)

Dipartimento "Entraînement et performance" , Facoltà di Scienze dello Sport, Università Claude Bernard, Lione (F).

Scuola Universitaria Interfacoltà di Scienze Motorie, Torino (I)

  L’aumento delle capacità di forza è legato a fattori, sia di tipo strutturale che nervoso, oltre che a parametri direttamente connessi con le proprietà elastiche del complesso muscolo tendineo. Per poter comprendere meglio le basi neurofisiologiche che sono alla base dell’incremento delle capacità di forza del muscolo scheletrico, prenderemo ora brevemente in esame i tre fattori sopra indicati, considerando anche il  loro diverso “peso” nell’ambito della metodologia dell’allenamento rivolta all’incremento della forza.

Figura 1: i meccanismi che determinano la produzione di forza

 I fattori strutturali

I fattori di ordine strutturale possono essere suddivisi in tre categorie principali, la prima delle quali comprende i fattori legati all’ipertrofia muscolare, la seconda quelli connessi alla tipologia delle fibre, mentre la terza riguarda i parametri correlati alla struttura sarcomerale del muscolo.

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Il fattore ipertrofico

 L‘ipertrofia muscolare, è correlata a numerose cause di cui le principali sono:

 -         L’aumento del volume delle miofibrille

-         L’aumento del numero delle miofibrille all’interno del muscolo

-         L’aumento di tessuto connettivo

-         L’aumento della vascolarizzazione

-         Il possibile aumento del numero delle fibre, meccanismo conosciuto con il nome di iperplasia. L’iperplasia, anche se accertata sull’animale, è ancora motivo di discussione e di pareri contrastanti  per ciò che riguarda l’uomo.

 La sezione muscolare traversa del muscolo scheletrico (Cross Sectional Area, CSA), è direttamente correlata alla forza estrinsecabile da quest’ultimo. In altre parole, maggiore è il volume del muscolo, maggiore risulterà la forza che quest’ultimo può produrre. Questo concetto è facilmente capibile se facciamo un esempio molto poco “fisiologico” ma senz’altro delucidante in proposito. Se noi prendiamo un vecchio, ed ormai quasi più utilizzato, estensore a molle, riusciremmo facilmente ad estenderlo se lo utilizziamo con una sola molla, ma se cominciamo ad aggiungere via via più molle, l’estenderlo ci risulterà sempre più difficoltoso. L’estensore infatti con l’aggiunta di una molla dopo l’altra, opporrà sempre maggior resistenza, ossia, “umanizzando il concetto” diverrà sempre più forte grazie all’aggiunta in parallelo (uno di fianco all’altro) dei suoi elementi, le molle appunto. Nel muscolo scheletrico avviene, più o meno la stessa cosa, l’aumento in volume (ipertrofia), o come alcuni Autori sostengono anche nel numero (iperplasia) dei suoi elementi, (le fibre) che si verifica in parallelo, proprio come nel caso dell’estensore, permetterà un aumento della produzione di forza da parte del muscolo stesso. Questa forte correlazione che si riscontra tra il volume del muscolo e le sue capacità contrattili, è però riscontabile sino ad un certo limite d’ipertrofia. Oltre un certo limite infatti il volume muscolare può continuare ad aumentare ma le capacità di forza da parte del muscolo cresceranno in modo molto meno evidente. Questo fenomeno è ben evidente nel caso dei culturisti, che sono appunto gli “specialisti” dell’ipertrofia, atleti senza dubbio forti ma comunque meno forti di altri, come ad esempio i sollevatori di peso, che possiedono delle masse muscolari meno ipertrofiche. Questo appiattimento della curva che descrive la relazione tra volume muscolare forza, è dovuto principalmente al fatto che, oltre un certo limite di volume muscolare, i muscoli pennati e bipennati (muscoli nei quali le fibre si inseriscono obliquamente rispetto all’asse centrale come le piume sull’ala di un uccello, da qui il loro nome) subiscono un forte cambiamento dell’angolo di pennazione, che diviene sempre più sfavorevole, limitando le possibilità di espressione di forza da parte del muscolo. 

 

Figura 2: oltre un certo grado di ipertrofia nei muscoli pennati o bipennati (come quello rappresentato in figura) si verifica un cambiamento dell’angolo di pennazione (l’angolo con il quale le fibre si inseriscono sulla parte centrale del ventre muscolare), che divine via via più sfavorevole, in tal modo la forza trasmessa al tendine non aumenta più in modo lineare rispetto all’incremento della massa muscolare come è osservabile dal grafico riportato in figura 3.

 

Figura 3: il rapporto tra forza ed ipertrofia si presenta lineare sino ad un certo grado di aumento della massa muscolare, al di questo è osservabile un punto di deflessione che indica come l’aumento di massa muscolare non sia più correlato ad un proporzionale aumento di forza.

 Il fenomeno ipertrofico è legato ad una forte deplezione delle scorte energetiche muscolari, ragione per cui il tempo di contrazione, ossia di lavoro, all’interno di ogni serie deve essere relativamente lungo, dell’ordine di 20-25 secondi, ed il recupero non del tutto completo, circa 1’-1’30’’. L’entità ideale del carico ad utilizzare è di circa il 70% del carico massimale, con questo tipo di resistenza è infatti possibile eseguire circa 10 ripetizioni, ad una velocità molto “controllata”, per un lavoro totale di circa 20 secondi, la pausa di 1’ –1’30’’ si rivela in queste condizioni ideale, non permette infatti un recupero completo per ciò che riguarda i substrati energetici ma è comunque sufficiente per permettere una successiva serie di lavoro. Molti autori indicano in 10 il numero ideale di serie atte ad un aumento dell’ipertofia muscolare, tuttavia altri sottolineano il fatto che, soprattutto per ciò che riguarda i “piccoli” gruppi muscolari (come ad esempio bicipiti o tricipiti), tale numero potrebbe essere eccessivo, sarebbe quindi preferibile un lavoro ad “alta intensità” con recuperi ridotti ma che comporti un numero minore di serie, in genere al massimo sei.

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La tipologia delle fibre

 Come è noto le fibre rapide (FT), soprattutto le glicolitiche pure (FTb) posseggono una maggior capacita contrattile rispetto alle fibre di tipo ossidativo (ST). La forza prodotta durante una contrazione di tipo tetanico da parte di una fibra di tipo ST, è infatti dell’ordine di circa 140 mg contro i circa 700 che possono essere prodotti da una fibra di tipo FTb. Per questo motivo le Unità Motorie (UM) composte da fibre ST possono esercitare una tensione dell’ordine di 2-13 g, mentre le UM composte da fibre FTb sono in grado di produrre dai 30 ai 130 g di tensione. Inoltre come abbiamo prima ricordato a proposito dell’ipertrofia muscolare, è importante ricordare che mettere metabolicamente in “crisi” il sistema muscolare, ossia effettuare une forte deplezione dei suoi substrati energetici in tempi brevi con alta intensità di lavoro,  significa operare in pieno sistema anaerobico lattacido. Per tutti questi motivi, sia l’ipertrofia muscolare, che le capacità di forza massimale (soprattutto nel caso in cui un alta percentuale di forza debba essere prodotta in tempi brevi, ossia in condizioni di “fora esplosiva”), sono fortemente legate alla tipologia delle fibre, una maggiore percentuale di fibre rapide costituisce in questo senso un indiscutibile vantaggio. Il cambiamento della tipologia delle fibre, soprattutto per ciò che riguarda la possibile trasformazione di fibre di tipo ST in FT, si rivelà però molto improbabile anche se alcuni recenti studi in questo campo sembrerebbero provare il contrario (Andersen e a Agard, 2000).

La strutturazione sarcomerale del muscolo

 Da tempo è noto come un  muscolo immobilizzato in una posizione allungata, andrebbe incontro ad un aumento del numero dei propri sarcomeri in serie (Goldspink, 1985). Alla luce di questi dati è ragionevole avanzare l’ipotesi che un lavoro muscolare effettuato nel rispetto della massima escursione articolare, possa sortire degli effetti simili, provocando un aumento in serie dei sarcomeri dei muscoli sollecitati. D’altro canto è pensabile anche il contrario, ossia che lavorando sistematicamente con escursioni articolari incomplete, il muscolo vada incontro ad una diminuzione dei propri sarcomeri in serie. L’aumento del numero dei sarcomeri in serie, costituirebbe un fattore molto importante per la capacità di velocità di contrazione del muscolo, se infatti le forze di un muscolo si sommano in parallelo (come abbiamo visto nell’esempio dell’estensore) è altrettanto vero che le velocità si sommano in serie: maggiore è il numero dei sarcomeri, maggiore risulterà la capacità di accorciamento del muscolo. Questo tipo di adattamento risulterebbe di fondamentale importanza soprattutto nell’aumento della capacità di forza veloce ed esplosiva del muscolo, non a caso alcuni recenti lavori riportano di come le fibre del muscolo quadricipite dei velocisti di alto livello siano  più lunghe rispetto a quelle dei sedentari. Per poter cercare di forzare l’adattamento muscolare in tal senso occorre quindi effettuare gli esercizi di potenziamento muscolare cercando di osservare il più ampio range di escursione articolare possibile.

 

Figura 4: schema riassuntivo dei fattori strutturali che determinano la produzione di forza da parte del muscolo scheletrico.

 I fattori  Nervosi

 

I fattori nervosi sono essenzialmente riconducibili al tipo di reclutamento seguito dai diversi tipi di fibre muscolari durante il movimento naturale. Un'interpretazione "classica" dei principi fisiologici che reggono il reclutamento delle fibre, è data dalla legge di Henneman e coll. (1965) la quale enuncia, come, indipendentemente dal tipo e dalla velocità del movimento considerato, le prime fibre ad essere reclutate, siano quelle  a contrazione lenta.

 Questa interpretazione, è stata confortata in seguito anche dai risultati ottenuti da Costill (1980), che, come è possibile notare anche nello schema seguente, mostrano come un movimento effettuato contro una resistenza esterna di debole entità, comporti un reclutamento selettivo delle fibre di tipo ST, mente un movimento effettuato contro un carico esterno medio , richieda anche  l'intervento delle fibre di tipo FTa e come infine, un movimento effettuato contro un carico esterno di notevole entità richieda l'intervento di tutti e tre  i tipi di fibre.

 

 


 


 

 

 

 

 

 

Figura 5: il reclutamento delle fibre in funzione dell'intensità del carico (da Costill, 1979, modificato).

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Tuttavia la legge di Henneman, è stata rimessa in discussione da numerosi Autori, nel caso in cui il movimento venga eseguito in modo balistico.

Per movimento balistico, si intende un movimento nel quale, la forza prodotta sia direttamente proporzionale all'accelerazione generata, secondo l'equazione  F = M ·a, nella quale F è la forza espressa in N, M la massa espressa in kg ed a l'accelerazione espressa in m · s-2) e tale forza tenda al valore massimale.

In questo caso, le unità motorie rapide potrebbero essere reclutate direttamente, senza l'intervento delle unità motorie costituite da fibre a contrazione lenta (Grimby e Hannertz, 1977).

L'esempio del salto, in questo caso è abbastanza delucidante, in effetti durante un salto la forza espressa è pari a circa il 40% della forza massimale isometrica del soggetto, tuttavia, la forte attività elettromiografica registrabile durante questo tipo di movimento, indica un reclutamento selettivo delle fibre a contrazione rapida.

Dobbiamo comunque sottolineare, che le opinioni in questo ambito divergono notevolmente , altri Autori infatti, riferiscono come la legge di Henneman sia rispettata anche durante un movimento di tipo balistico, (Desmet e Godaux, 1980), mentre altri ancora, ritengono che questo principio di reclutamento sia rispettato solo nel caso di gruppi muscolari aventi, biomeccanicamente, più funzioni, unicamente nell'espletamento delle proprie funzione principali (Cometti, 1988).

Altri due aspetti concernenti la regolazione di tipo nervoso della produzione di forza sono costituiti dalla sincronizzazione delle unità motorie nell’effettuazione del gesto e dalla coordinazione intermuscolare che si esplica nel gesto stesso. Anche in quest’ambito esistono delle possibili metodologie di allenamento, come lo stato-dinamico oppure il bulgaro orientato-modificato, che purtroppo per ragioni di spazio non possiamo che ricordare senza purtroppo poter entrare nei dettagli.

 

Figura 6: schema riassuntivo dei fattori nervosi implicati nella produzione di forza

 

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Le proprieta’ elastiche del complesso muscolo-tendineo

 

Il complesso  muscolo-tendineo umano possiede notevoli proprietà elastiche, infatti  nella fase eccentrica del movimento, soprattutto il tendine, immagazzina energia elastica, che poi restituisce, sotto forma di lavoro meccanico, nella successiva fase concentrica.

Durante la fase eccentrica della corsa ad esempio, il tendine di Achille, viene allungato di circa il 6%, pari a circa 1.5 cm rispetto alla sua lunghezza iniziale, e restituisce circa il 90% dell'energia elastica potenziale immagazzinata, sotto forma di lavoro meccanico, nella successiva fase concentrica del movimento.

In tal modo il rendimento muscolare passa dal 25% ad oltre il 40%, l'energia elastica costituisce infatti energia "metabolicamente gratuita", per questo motivo riveste un ruolo essenziale, sia nel potenziamento, che nell'economia del gesto del  muscolo stesso. 

Il fatto di eseguire un movimento attraverso un ciclo stiramento-accorciamento (SSC), ottiene  come  risultato un aumento della forza, della velocità e della potenza espressa durante la fase concentrica dello stesso. L’aumento di questi tre parametri è in ultima analisi il vero significato del termine di “restituzione di energia elastica”. Oltre che con il lavoro pliometrico, le capacità di immagazzinamento e restituzione di energia elastica da parte del complesso muscolo-tendineo, possono venir allenate attraverso l’utilizzo di carichi pari a circa il 30-35% del valore di forza massimale dell’atleta, effettuati alla più alta velocità esecutiva possibile.

 

Figura 7: schema riassuntivo dei fattori elastici che concorrono alla produzione di forza nel muscolo scheletrico. Oltre al fenomeno elastico vero e proprio occorre ricordare anche il ruolo svolto dal riflesso miotattico da stiramento.

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Quale e quanta forza per il calciatore?

 Di quale tipo di forza e di quanto allenamento di forza necessità il calciatore? In primo luogo direi che il modello prestativo del calciatore è molto lontano da quello del lottatore o del lanciatore di peso, tipologie atletiche che necessitano di notevole forza massimale e di altrettanto importanti capacità di forza esplosiva. Non vedrei perciò una grande necessità di metodologie di allenamento della forza molto “spinte”, come ad esempio il metodo eccentrico oppure il Pletnev (la combinazione di tre o quattro diversi regimi di contrazione). Questi tipi di allenamento richiedono una “vissuto atletico”, in termini di esperienza di allenamento con i sovraccarichi, che non fanno certamente parte del background della maggior parte dei giocatori e direi che tutto sommato i benefici che si possono tratte da questi tipi di lavoro, in termini di miglioramento della prestazione calcistica, non sono proporzionali ai potenziali rischi rappresentati dal possibile eccessivo sovraccarico funzionale. Per il calciatore che voglia avvicinarsi all’allenamento della forza con l’utilizzo dei sovraccarichi, consiglierei un approccio graduale e soprattutto metodologicamente razionale articolato in 3 tappe.

 1° tappa:  definibile come di “consolidamento tecnico e di condizionamento muscolare generale”. Si tratta in questo periodo, che può variare da 4 a 6 settimane, di acquisire una buona tecnica esecutiva di tutte le esercitazioni proposte nel piano di lavoro, nonché di conseguire un condizionamento muscolare di base che permetta in seguito di affrontare più agevolmente i lavori più specialistici. La metodologia di lavoro di questo primo periodo, che possiamo definire come propedeutico, è senz’altro da basarsi sulla contrazione concentrica, effettuata a velocità controllata allo scopo di sensibilizzare il movimento ed il gruppo muscolare interessato. Giudicherei errato, in chi si avvicina per la prima volta alla pratica dell’allenamento di muscolazione, ricercare subito un movimento esplosivo, si rischierebbe di cadere in una cattiva esecuzione tecnica dell’esercizio, accompagnata da una scarsa “sensibilità” muscolare nei confronti dello stesso.

 2° tappa : dopo aver acquisito una buona padronanza esecutiva degli esercizi, unita ad un altrettanto soddisfacente sensibilità muscolare ed ad un buon consolidamento dei carichi utilizzati nelle esercitazioni stesse, si può introdurre l’utilizzazione di metodiche che pongano l’accento sulla forza esplosiva. Particolarmente adatti a questo scopo vedrei il metodo bulgaro, il metodo a contrasto, oppure un metodo di incremento classico della potenza che vede l’utilizzo di carichi pari a circa il 50% del carico massimale, eseguiti a velocità massimale, in questo caso la serie viene interrotta non appena la velocità esecutiva tende a calare visibilmente, oppure ancor meglio se l’intera serie viene “monitorizzata” grazie ad un apparecchiatura i grado di fornire in tempo reale la potenza espressa.

A latere di questo tipo di lavoro vedrei come ottimo complemento un programma di trasformazione in forza speciale, a base di balzi andature elastiche , sprint, e/o di forza specifica basato su gesti tecnici come il calciare, il colpire di testa ecc.

 3° tappa: contestualmente alla seconda tappa, che prevede l’introduzione di metodologie di lavoro atte all’allenamento della forza esplosiva con conseguente trasformazione in forza speciale e/o specifica, occorre introdurre un secondo tipo di lavoro che ponga l’accento sulla resistenza alla forza veloce. Ricordate quanto detto nell’articolo apparso su questa stessa rivista nel numero di marzo 2001 intitolato “Come salvarsi dal terremoto”? Mi sembrano particolarmente indicati a questo scopo i circuiti di tipo “intermittente-forza” impostati sulla falsariga di quelli riportati nell’articolo in questione. A questo punto qualcuno potrebbe sollevare un’eccezione più che legittima ossia: con questo tipo di lavoro non si allena né la potenza aerobica né la forza. Verissimo ma altrettanto vero è il fatto che la potenza aerobica merita sempre e comunque un posto ben preciso nel microciclo settimanale di allenamento e che la forza dovrebbe venir già allenata  singolarmente ed in modo specifico con la metodologia illustrata alla 2° tappa, onde per cui “l’intermittente-forza” non è un melange mal riuscito tra forza e potenza aerobica  ma, al contrario, un ottimo metodo per allenare la forza veloce in regime di fatica, concetto che farà anche storcere il naso ai puristi dell’allenamento, ma che aimè per loro , ricalca esattamente quello che fisiologicamente avviene in situazione di gioco.

 Per chi volesse approfondire

 

Henneman E., Somjen G., Carpenter DO. Functional significance of cell size in spinal motoneurons. J Neurophysiol. 28: 555-560, 1965.

 

Grimby L., Hannertz J. Firing rate and recruitement order of toe extensor motor units in different modes of voluntary contraction. Journal of Physiology. 264: 865-878, 1977.

 

 

Costill DL., Coyle EF., Fink FW., Lesmes GR., Witzman FA. Adaptation in skeletal muscle following strenght training. J Appl. Physiol. Respirat. Environ. Exerc. Physiol. 46: 69-)), 1979.

 

 

 

Andersen J., Agard D. Myosyn heavy chain IIX overshoot in human skeletal muscle. Muscle & Nerve. 23(7): 1095-1104, Luglio 2000.

 

 

Goldspink G. Malleability of the motor system: a comparative approach. Journal of Exeperimental Biology. 115: 375-391, 1985.

 

 

 

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Fattori determinanti la velocità

FATTORI DETERMINANTI

 LA RAPIDITA’

 -       REAZIONE SEMPLICE O COMPLESSA AD

UN SEGNALE                                                 

 

-       VELOCITA’ DI ESECUZIONE DI UN MOVIMENTO

SEMPLICE SENZA UNA SIGNIFICATIVA

RESISTENZA O DI UN MOVIMENTO COMPLESSO

MA BEN CONOSCIUTO

 

-       FREQUENZA DEI MOVIMENTI SENZA

SIGNIFICATIVA RESISTENZA

 

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Metodo analitico

IL METODO ANALITICO PER IL MIGLIORAMENTO DEL TEMPO DI

REAZIONE SEMPLICE SI BASA SUI SEGUENTI ACCORGIMENTI:

  

-        RIPETIZIONE PIU’ RAPIDA POSSIBILE DELLA REAZIONE AD UN

SEGNALE IMPREVISTO, INATTESO O AD UN CAMBIAMENTO

DELL’AMBIENTE ESTERNO

 

-        MIGLIORAMENTO DELLA RAPIDITA’ DEL MOVIMENTO

DA PRODURRE (FATTORE MOTORIO = VITESSE GESTUELLE)

 

-        LA CONCENTRAZIONE SULLA/E AZIONE/I DA SVOLGERE

ALL’ARRIVO DEL SEGNALE, E NON SUL SEGNALE

 

-        DOSAGGIO DELLA TENSIONE MUSCOLARE

 

-   DOSAGGIO DELL’ATTENZIONE

 

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Metodo sensoriale

METODO SENSORIALE PER LO SVILUPPO DEL TEMPO DI REAZIONE SEMPLICE:

 

-       REAZIONE LA PIU’ RAPIDA POSSIBILE E

INDICAZIONE ALL’ATLETA DEL TEMPO

IMPIEGATO

 

-       STIMA DEL TEMPO DI REAZIONE DA PARTE

DELL’ATLETA E SUCCESSIVA INDICAZIONE

DEL TEMPO IMPIEGATO

 

-       REAZIONE IN UN DETERMINATO TEMPO

STABILITO PRECEDENTEMENTE

 

 

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Reazione complessa

REAZIONE COMPLESSA

 

-      REAZIONE AD UN OGGETTO IN MOVIMENTO

 

-      REAZIONE CONCERNENTE UNA SCELTA                     

 

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Tempo di reazione

IL TEMPO DI REAZIONE E’ DETERMINATO DA 2 FATTORI:

 

-           REGOLAZIONE DELL’APPARATO

NEUROMOTORIO

(FATTORE PERCETTIVO)

 

-           CONSISTENZA MOTRICE

DELL’AZIONE

(FATTORE MOTORIO)

 

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Bibliografia

BIBLIOGRAFIA

 

 

-          L’entrainement de la vitesse – G. Cometti – Faculté des Sciences du Sport – UFR STAPS DIJON – Université de Bourgogne 2001

-          Le gare di velocità – C. Vittori e coll. – Centro Studi e Ricerche FIDAL Roma 1995

-          L’allenamento della condizione fisica del calciatore – C. Vittori – Centro Promozione Immagine ed. 1988

-          Metodologia di allenamento delle diverse espressioni di forza utilizzate nelle prestazioni di sprint – R. Bonomi – S.d.S. Divisione ricerca – Rieti 1998

-          Il raccordo tra lo sviluppo della forza e lo sviluppo della volontà – A. Donati – Centro Studi e Ricerche FIDAL Roma 1996

-          Interaction force – vitesse –  C. Gaudino  - SUISM  Torino 2002

-          La velocità e la rapidità dei movimenti sportivi – Y.V. Verkhoshansky – Centro Studi e Ricerche FIDAL Roma 1996

-          Analyse phisiologique de quelques qualités utilisées lors du sprint – J.R. Lacour – Congress of the European Athletics Coaches Association – Roma 1996

 

 

 

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Aggiornato il: 01 gennaio 2005