Ultracentenarie
Società di
Ginnastica e Scherma del Panaro
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LA GLORIOSA
STORIA DEI 132 ANNI DELLA "PANARO"
di Sandro Bellei
La "Panaro" .Un fiore all'occhiello dello sport modenese. Conta 132
anni, ma a differenza di quelle simpatiche vecchiette che per vezzo, sapendo di
non dimostrarla per intero, si aumentano l'età, dichiara di essere più giovane
di quanto sia in realtà. I documenti attestano che fu fondata, nel giugno del
1870, da quattro studenti dell'Istituto Tecnico (Giuseppe Bertoni, Clemente Pullè,
Leone Segre ed Ermete Vandelli) con la denominazione di "Società Modenese
dei Dilettanti di Ginnastica".
In realtà, gia tre anni prima, nel maggio 1867, quegli stessi giovani,
cominciando a esercitarsi nel granaio di una vecchia casa in via Caselline,
avevano costituito un sodalizio con lo stesso nome. Lo si deduce dal numero
speciale del quotidiano cittadino "Il Panaro" che, nell'agosto 1904,
dedicando un'intera pagina al trionfo dei ginnasti modenesi a Mons in Belgio,
ricorda con un trafiletto il nome di quei pionieri. I quattro studenti, qualche
anno dopo la fondazione della società, nella domanda presentata al Ministero
della pubblica istruzione per organizzare corsi di ginnastica aperti a
insegnanti delle scuole elementari, spiegano chiaramente le motivazioni della
loro iniziativa: in quell'epoca la nostra città non aveva alcun ritrovo né
pubblico né privato ove si studiassero le discipline ginnastiche. L'idea
dello sport, come già da tempo l'intendevano gli inglesi, in Italia non era
neanche all'orizzonte. L'esercizio fisico era riservato ai militari o a qualche
"modernista" che l'aveva visto praticare all'estero. Anche il gioco
del calcio, o '"football" come era chiamato da tutti, fu importato
dall'Inghilterra. E il primo approdo fu Genova, dove nel 1893 nacque il "Genoa
Cricket and Football Club". Nell'autunno 1870, la societa' dei quattro
studenti ebbe la sua prima sede in due stanzette al pianterreno del fabbricato
dell'ex convento di Santa Margherita, all'angolo fra via Fonteraso e corso
Canalgrande, allora chiamate rispettivamente contrada del Fonte raso e corso del
Canal-grande.
Era stato quasi in quel punto che, quarant'anni prima, Francesco IV aveva fatto
puntare il cannone contro la prospiciente casa di Ciro Menotti. La carica di
presidente fu assunta prima dal conte Clemente Pullèe poi dal prof. Giuseppe
Bertoni, due dei reduci di quel gruppetto di ragazzi che andavano tutte le sere
a sfogare la loro energia d'adolescenti in via Caselline in casa di un certo
Golfieri. I primi anni di vita della società non furono facili. Nonostante
fosse inutilmente chiesto al Comune di costruire una palestra, come era già
accaduto in alcune città, nascevano altre società ginniche, la "Società
degli Studenti", con sede in rua Muro nell'attuale ex caserma Santa Chiara,
e la "Società Scacciapensieri", che aveva trovato una stanzetta
nel palazzo Stoffi di fronte di quello dei conti Forni. I problemi, però, non
erano rappresentati dalla concorrenza che stava nascendo (la "Panaro"
aveva già un centinaio di soci), ma dai contrastanti sull'indirizzo tecnico dei
programmi della ginnastica. Da tempo, la Federazione Ginnastica Italiana che era
nata a Venezia nel 1869, s'interrogava se l'indirizzo prevalente dovesse essere
quello "educativo", come sosteneva Giuseppe Bertoni, oppure quello
"acrobatico", privilegiato da Giusto Folloni che ebbe la prima
intuizione di chiamare questo tipo di esercizi "ginnastica libera".
L'assemblea convocata per dirimere il dilemma il 7 dicembre 1874 fu subito calda
e si spaccò esattamente in due, 45 contro 45. Il presidente fece prevalere un
articolo dello statuto che, in questi casi, gli dava la possibilità di far
pendere il voto a suo favore. Fulloni e altri 26 soci abbandonarono la sala e
annunciarono la nascita di un'altra società. Si sarebbe chiamata "La
Fratellanza" e avrebbe attinto giovani anche dagli altri sodalizi che già
esistevano in città Il sodalizio del prof. Bertoni, che nel frattempo aveva
ottenuto dall'Istituto del Patronato dei Figli del Popolo l'uso di una vasta
sala ricavata nella parte superiore dell'ex chiesa di Santa Margherita, lasciò
la sua primitiva denominazione per assumere quella di "Società di
Ginnastica del Panaro". Un anno dopo, nel dicembre 1875, accolse nel suo
seno il "Circolo Schermistico Fanfulla" e il nome si completò
definitivamente in quello odierno di "Società di Ginnastica e Scherma del
Panaro".
Dal 1882, a Modena, ebbe
sede la Federazione Nazionale delle Società Ginnastiche Italiane, di cui i
modenesi avv. Pio Vecchi e prof. Giuseppe Bertoni furono presidente e segretario
fino al trasferimento della sede federale a Roma nel 1887. In quell'anno, la
presidenza onoraria della Panaro fu offerta al principe di Napoli, Vittorio
Emanuele, che la mantenne anche dopo l'avvento al trono, nel 1900.
Il sodalizio modenese, che con l'inizio del secolo affiancò alla sezione della
ginnastica anche quelle dell'atletica leggera e del ciclismo, operò sia al
servizio dell'educazione fisica dei giovani che in campo agonistico nazionale e
internazionale, dove raccolse successi clamorosi soprattutto a Marsiglia nel
1903 e a Mons nel 1904. L'atleta certamente maggiormente rappresentativo della
Panaro, il più grande ginnasta della sua epoca, è stato Alberto Braglia, la
cui vita può essere paragonata a una favola per aver vissuto la gloria degli
allori olimpici ma anche miseria e umiliazioni. Nei primi decenni del secolo
scorso, lo sport rappresentava un passatempo dopolavoristico. Gli sponsor e gli
ingaggi miliardari attuali non erano neanche lontanamente prevedibili. Per
emergere occorreva una volontà di ferro e un carattere d'acciaio. Braglia, nato
il 23 aprile 1883 in una famiglia modenese molto povera che abitava poco fuori
le mura, nel quartiere San Faustino, ragazzo taciturno anche perchè
balbuziente, non amava i contatti umani. Stranamente, furono proprio queste
caratteristiche a incanalare la sua forza esplosiva verso il lavoro in palestra,
prima alla "Fratellanza poi alla "Panaro", sotto la guida
dell'istruttore Carlo Frascaroli. Figlio di un muratore che si era trasferito da
Campogalliano in città per mantenere sei figli, garzone di fornaio di giorno e
atleta la sera, Alberto Braglia allenò il fisico e affinò il talento fino a
far diventare il suo corpo una vera e propria "macchina" per lo sport.
Dopo il trionfo di Mons, l'atleta modenese, nel 1906, in occasione dei
festeggiamenti per il decennale della prima Olimpiade, fu invitato ad Atene. La
sparuta comitiva italiana sembrava un'armata Brancaleone. Braglia, che era
accompagnato a sue spese da un amico, il capitano Giulio Formigini, si fece
notare dalla stampa perchè, durante la traversata da Brindisi ad Atena, soffrì
di mal di mare. Il malessere dell'atleta fu raccontato sul "Corriere della
sera" da Renato Simoni, che sarebbe poi diventato più noto come
commediografo. Coi piedi a terra, però, l'ex fornaio balbuziente tornò subito
padrone di sè stesso. A soli 23 anni, ottenne il primo successo internazionale
che lo impose all'attenzione del mondo. Vinse le medaglie d'oro sia nel
pentathlon ginnastico (sbarra, parallele, salto del cavallo in linea, anelli e
salto misto) che nell'esathlon (tutte le gare dell'altra prova più il salto al
cavallo trasversale). La notizia arrivò a Modena con un telegramma e il primo a
sapere della doppia vittoria fu il sindaco Luigi Albinelli, che predispose per
il ritorno di Braglia un ricevimento degno di un console romano. L'atleta era
formidabile, ma l'uomo molto semplice. A testimoniarlo bastano due episodi. Il
primo accadde quando tutta la città, con in testa le autorità e la fanfara,
attesero invano a lungo il ginnasta che aveva preso un treno sbagliato. Il
secondo, quando confessòdi aver gettato dal finestrino del treno ("perchè
si era sciupata") la corona d'alloro che il re di Grecia gli aveva posto
sul capo. Ma ancor di più: per modestia sciupò l'irripetibile occasione
offertagli da Vittorio Emanuele, che lo convocò al Quirinale per
conoscerlo e chiedergli di cosa potesse essere fatto chi aveva così
altamente onorato l'Italia.
Braglia, emozionato, rispose a monosillabi alle domande del re e seppe dire
soltanto che avrebbe voluto un posto d'operaio alla Manifattura dei tabacchi di
Modena. Ovviamente, fu subito accontentato. Due anni dopo, a Londra, si tennero
le vere Olimpiadi. Braglia diede spettacolo. Al cavallo con maniglie, prima
dell'esercizio, staccò i due sostegni ed eseguì ugualmente la prova in
assoluta naturalezza. Vinse ai quattro attrezzi, creando uno stile e adoperando
tecniche che sono un riferimento anche per gli atleti d'oggi. Insomma, un
trionfo, ma con la gloria non si sbarca il lunario.
Tornato in Italia, sull'esempio del carpigiano Dorando Pietri, vincitore morale
della maratona di Londra, che guadagnava parecchio correndo in ogni continente
contro vari campioni, l'atleta si esibì prima con un gruppo acrobatico
modenese, la "Famiglia Panciroli", poi esordì il 23 aprile 1910 al
Teatro Storchi di Modena in uno spettacolo tutto suo denominato "La
torpedine umana". Braglia s'infilava in un carrello fissato a un binario
che dalla galleria a gradoni del teatro scorreva fino al palcoscenico in forte
pendenza. Breve risalita, poi due ganci d'acciaio bloccavano di colpo
l'abitacolo e l'atleta, lanciato nel vuoto per forza d'inerzia, afferrava un
trapezio pendente dal graticcio della soffitta posto a notevole altezza. Il
numero era pericoloso ma, come nei circhi, esisteva una rete di protezione.
Nonostante ciò, benchè assistito dal fratello Giovanni, dopo l'insuccesso del
debutto, alla seconda esibizione gli occorse un grave incidente che lo costrinse
all'inattività per quasi due anni. Le ferree regole dell'epoca sul
professionismo imposero alla Federazione, dopo una breve indagine, di
squalificare Braglia con l'accusa di professionismo. La sua popolarità,
tuttavia, era tale da farlo riabilitare in vista delle Olimpiadi di Stoccolma
del 1912.
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In
Svezia sbalordì gli spettatori, che disertavano le altre gare
appena si spargeva la voce che Braglia stava per esibirsi.
L'atleta modenese ottenne, per un giudizio più complessivo, che
alla sua prova assistessero tutti e tre i giudici, che a quei
tempi erano dislocati accanto ai vari attrezzi. Al termine gli
assegnarono la vittoria senza punteggio. Col megafono,
l'altoparlante di quei tempi, si spiegò al pubblico che
qualunque verdetto avrebbe sminuito la sua prestazione.
"Noi non possiamo giudicare questo campione" ammisero
i giudici tra le entusiastiche ovazioni. L'atleta che aveva
trionfato ai giochi olimpici, però, dovette scendere a Monaco
di Baviera dalla vettura di terza classe del treno. Tra lui e i
tre compagni di viaggio, avevano in tasca appena tre lire e
sessanta centesimi. Con gli ultimi spiccioli, Braglia dovette
telefonare a un amico di Spilamberto, che si recò
immediatamente a prelevare gli atleti nella città tedesca. Qui
li portò in un ristorante dove furono riconosciuti e trattati
con gli onori del caso. Dopo il terzo successo olimpico, Braglia
si diede al teatro. Sul "Corriere dei piccoli"
trionfavano due personaggi dovuti alla matita dell'abilissimo
Sto (pseudonimo che nascondeva l'attore Sergio Tofano),
Fortunello e Cirillino, che l'atleta portò in scena insieme con
un bambino di sette anni. Lo spettacolo prevedeva che il
ragazzino, allenato dallo stesso Braglia, uscisse da una
valigetta, poi si arrampicasse in cima a una scopa, mentre l'ex
campione compiva difficili evoluzioni sempre tenendo in mano
l'attrezzo a mo'di sbarra. Il fortunato show ebbe gran successo.
Braglia s'esibì davanti ai reali d'Inghilterra, allo zar e in
una tournée di quattro anni negli Stati Uniti che gli fruttava
500 dollari a settimana. Rientrato in Italia, comprò un podere,
alcune case e in seguito un bar a Bologna. Nel 1930, divenne
allenatore della nazionale di ginnastica, contribuendo alle
quattro medaglie d'oro azzurre conquistate alle Olimpiadi di Los
Angeles. Le vicissitudini della vita e la guerra fecero girare
la ruota della fortuna per Braglia, costretto a vendere tutto.
Il bar fu distrutto e l'inflazione ridusse a zero i suoi
risparmi. Restò nello sport ancora qualche anno, poi il Comune
di Modena gli assegnò un piccolo mensile, che poi gli fu tolto
nel 1950. A 67 anni, fu ricoverato in un ospizio per anziani,
dimenticato da tutti. Un giornalista, però, gridò allo
scandalo e la Panaro s'interessò perché il Comune gli desse un
piccolo stipendio in cambio delle funzioni di custode di quella
stessa palestra che portava già il suo nome. Poco dopo la
decisione del Coni di versargli una modesta pensione, Alberto
Braglia morì il 5 febbraio 1954 dopo un breve ricovero
all'ospedale in seguito alla trombosi che l'aveva colpito
qualche mese prima. Poco dopo la decisione del Coni di versargli
una modesta pensione, a immeritato riconoscimento della sua
eccezionale carriera di ginnasta (a quei tempi, purtroppo, non
esisteva ancora la Legge Bacchelli), Alberto Braglia morì il 5
febbraio 1954 in seguito alla trombosi che l'aveva colpito
qualche mese prima. In città il cordoglio fu enorme, ma sempre
inferiore alla consapevolezza di non aver impedito che un simile
"eroe" sportivo fosse stato dimenticato nei suoi
ultimi anni di vita. Eppure, grazie al suo esempio, la
"Panaro" aveva potuto schierare alle Olimpiadi anche
altri atleti di valore, da Serafino Mazzarocchi (terzo nel 1912
nel concorso individuale a Stoccolma, dove con Braglia e Alfredo
Gollini vince l'oro nel concorso generale a squadre) a Otello
Capitani, da Pietro Stradi ad Arnaldo Andreoli, da Roberto
Ferrari a Otello Ternelli. Gli anni successivi videro un enorme
sviluppo dello sport e della "Panaro". Dispiace dover
riassumere in poche righe, per mancanza di spazio, questi anni
gloriosi. Furono contrappuntati dai successi nell'atletica
leggera di Armando Poggioli (azzurro nel disco e nel martello
alle Olimpiadi di Parigi 1924, ad Amsterdam nel 1928, dove fu
quarto nel martello a pochi centimetri dal bronzo e a Los
Angeles nel 1932), nella lotta greco-romana dal peso massimo
Adelmo Bulgarelli e nel sollevamento pesi da Ermanno Pignatti,
entrambi vincitori della medaglia di bronzo nel 1956 a
Melbourne. Nel 1970, il centenario della società fu
solennizzato con una lunga serie di manifestazioni organizzate
dal presidente e dai suoi numerosi collaboratori. La
"Panaro" compiva un secolo di vita. Aveva ottenuto
risultati prestigiosi, ma si prefiggeva di aggiungerne altri al
già glorioso albo d'oro. Con Daniele Giovanardi, specialista
dei 400 ostacoli fra i migliori che abbia vantato l'Italia con
Morale e Frinolli, partecipò alle Olimpiadi di Monaco.
L'atleta, fratello di Carlo Giovanardi, attuale Ministro per i
rapporti col Parlamento, oggi stimatissimo Primario del Pronto
soccorso del Policlinico, partecipò alla staffetta 4x400 con
Puosi, Cellerino e Bello.
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Fu in questo periodo,
agli inizi degli anni 70 che, in collaborazione con la Virtus di Bologna, nacque
l'idea di creare a Pavullo un Centro estivo per la ginnastica. Da quella fucina
sarebbero poi usciti tanti giovani e brillanti allievi della Panaro In quegli
stessi anni, la società potè finalmente rinnovare la vecchia sede di via
Fonteraso, dove per qualche tempo Alberto Braglia aveva dovuto subire
l'umiliazione di fare il custode della palestra intitolata al suo leggendario
nome. Il periodo di maggiore espansione sportiva della società coincise con le
presidenze di Alfredo Corradini (1961-19759 e di Fausto Arata (1975-1985), che
si superarono per far entrare nel cuore dei modenesi un sodalizio dalle
tradizioni così illustri. Quando, per ragioni di lavoro, Arata dovette lasciare
la presidenza, il suo posto fu preso dall?avv. Franco Zurlini, che s'assunse la
gran responsabilitàdi continuare nella scia di chi aveva saputo dare una grande
svolta anche d'immagine alla "Panaro". I risultati non mancarono
ugualmente, e non solo nella ginnastica. Stefano Boschi, fiorettista di razza,
dopo una lunga gavetta, si laureò più volte campione italiano. Nel 1981, dopo
i Campionati mondiali militari, s'impose alle Universiadi. Ciò era il frutto
d'una tradizione schermistica sempre stata presente nel blasone della
"Panaro" e che aveva avuto in Vera Mantovani un'atleta più volte
azzurra e in Bruno e Vittorio Cucchiara, figli d'un gran maestro come Elio,
appassionati istruttori e dirigenti. Dopo una breve parentesi di chi scrive,
successiva alla presidenza Zurlini, al vertice della società giunse Paolo
Malavolti, grande sportivo, che era sempre stato, anche in passato, l'effettiva
guida, tecnica e morale della "Panaro". Con lui e il passaggio della
società nella sede di via Sadoleto, che s'affiancava a quella di piazza
Cittadella, gli atleti della ginnastica, della scherma e della lotta ripresero
ad affermarsi anche a livello nazionale. Furono gli anni d'oro di grandi
ginnasti come Marcello Barbieri, campione italiano ed europeo, poi sfortunata
riserva alle Olimpiadi di Barcellona, di Domenico Giangregorio e di Andrea
Anceschi, legittimi eredi della gloriosa tradizione iniziata da Alberto Braglia
e continuata da Otello Ternelli, che allo sport offrì in seguito la sua
passione anche come assessore. Fu, questo, il momento magico d'un abilissimo
istruttore come Ermanno Barbieri, purtroppo prematuramente scomparso quando
poteva ancora offrire tutta la sua grande esperienza alla ginnastica modenese.
Verso la fine degli anni 90, la "Panaro", grazie alla sponsorizzazione
del Pastificio di Carlo Rossi, ha potuto avvalersi nella sua già forte squadra
di ginnastica di un fuoriclasse come Juri Chechi, che ha consentito alla società
modenese di toccare di nuovo vertici nazionali. Con l'avvento, al termine della
presidenza Malavolti, di Ormes Corradini, l'ultracentenaria società sportiva si
è posta il traguardo d'essere considerata da tutti gli sportivi un fiore
all'occhiello della città. Del resto, un sodalizio che nei suoi 130 anni di
vita si è interessato di tante discipline (ginnastica, scherma, lotta,
sollevamento pesi, atletica leggera, judo, calcio, pugilato, nuoto, tuffi,
pallanuoto, tiro a segno, pattinaggio a rotelle, pallavolo e basket) può ben
andar fiero del premio che il Coni gli ha assegnato di recente a Roma.
Simboleggia da solo i 42 campionati italiani, ma soprattutto gli 8
"ori"e i 3 "bronzo" olimpici, conquistati nel corso di una
lunga storia cui diedero inizio il 17 maggio 1867 quattro studenti di un
istituto tecnico cittadino, Giuseppe Bertoni, Clemente Pullè, Leone Segre ed
Ermete Vandelli
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