Scrive Paul Valéry nel 1919:
"La bufera è appena passata […]. Il Pensiero è in effetti crudelmente colpito; si lamenta nel cuore degli uomini di pensiero, e giudica se stesso con tristezza. Dubita profondamente di se stesso."
La prima guerra mondiale non è la prima causa della crisi del pensiero: è un momento di un processo che ha avuto inizio negli ultimi anni dell’Ottocento e di cui ancora oggi non si può individuare una fine.
Il secolo scorso è il secolo delle certezze, della fede positivista in un mondo completamente dominabile; fino al secolo scorso il razionalismo domina ogni campo del sapere: dalla scienza alla politica, dalla filosofia all’economia, dal diritto all’etica.
Citiamo ancora Valéry:
"Il mondo moderno, in tutta la sua forza, possessore di un capitale tecnico veramente prodigioso, completamente imbevuto di metodi positivi, nonostante tutto non è stato in grado di crearsi né una politica, né una morale, né un ideale, né delle leggi civili o penali che siano in armonia con i modi di vita che lui stesso ha creato, o anche con i modi di pensare che la diffusione universale e lo sviluppo di una certa mentalità scientifica impongono poco per volta a tutti gli uomini."
Non si può pensare che da un giorno all’altro siano crollate tutte le secolari convinzioni dell’umanità: col passare del tempo esse si sono però rivelate sempre più inadeguate.
In campo scientifico si giunge, con la teoria della relatività di
Albert Einstein, alla negazione dell’assolutezza delle categorie di spazio e tempo, che per secoli era stata data per scontata e aveva influenzato, oltre alla scienza, anche e in maniera notevole la filosofia e, dunque, ogni aspetto della cultura.Lo stesso effetto hanno la scoperta dell’inconscio e gli studi condotti da
Sigmund Freud, che portano alla teoria della scomposizione psicanalitica della personalità. Vale a dire che vengono rivoluzionate la visione del mondo e quella della stessa natura della mente umana.
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