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“In villos abeunt vestes,
in crura lacerti: fit lupus
et veteris servat vestigia formae”
“Le vesti si convertono in peli,
le braccia in gambe: Diviene lupo,
ma conserva traccia del pristino aspetto”

(Ovidio, Le Metamorfosi, libro I, 236-237)

Il tema della metamorfosi è diffuso in tutto il patrimonio mitologico del mondo, e parlando di miti non possiamo non pensare alla letteratura classica: soltanto in greco e in latino sono state scritte ben sette opere dal titolo “Le Metamorfosi”. Di queste, le due più significative sono certamente “Le Metamorfosi” di Ovidio (43 a.C. -17 d.C.) e quelle di Apuleio (125 d.C. -180 d.C.).

Il breve proemio dell’opera di Ovidio espone l’ampio progetto che egli si è posto: raccontare le “trasformazioni dei corpi” dalle origini del mondo fino ai suoi tempi, specificando che sono stati gli dei a presiedere a queste metamorfosi; tale sintesi della storia universale nasce dall’esigenza di celebrare il nuovo principato augusteo, esigenza confermata dalla scelta del genere epico.

L’immenso materiale narrativo viene ordinato secondo un criterio inizialmente cronologico, ma spesso si preferisce raggruppare le varie storie in base al tema (un’affinità di argomento o di metamorfosi, oppure un’opposizione, o seguendo una linea genealogica, o geografica, ecc.). Sono oltre 250 i vari racconti, spesso a cornice (cioè un racconto che ne ingloba un altro che a sua volta contiene un’altra vicenda, come in un gioco di scatole cinesi): sembra che la stessa struttura dell’opera voglia riprodurre la legge universale della metamorfosi in essa descritta. Infatti, leggendo i XV libri, si ha l’idea che l’esistenza umana sia continuamente mutevole, incerta, basata su una legge divina spesso capricciosa o estremamente rigida. E’ il caso, per esempio, dell’episodio di Callisto raccontato nel II libro, dove la ninfa viene costretta ad unirsi con Giove e, messa incinta, partorisce un figlio che suscita l’ira di Giunone: questa decide infine di trasformarla in un orso, senza che lei abbia commesso alcuna colpa. La metamorfosi dunque, nell’opera ovidiana, è sia la trasformazione degli esseri umani in altre forme, sia la legge che governa il mondo.

Il capolavoro di Apuleio ci è stato tramandato anche con il titolo “l’Asino d’oro” (Già Sant’Agostino nel De civitate dei lo cita come “Asinus aureus”), e questo perché a differenza de Le Metamorfosi di Ovidio qui abbiamo un vero protagonista, Lucio, trasformatosi erroneamente in un asino; l’asino è d’oro perché fin dalla sua uscita il romanzo fu giudicato bellissimo, d’oro appunto.

Un’altra differenza con l’opera di Ovidio è il genere: non più poema epico, esso si inserisce nella tradizione del genere narrativo greco della novella Milesia (fine II sec. a.C.); in esso ritroviamo tutti gli elementi del romanzo antico: avventure, colpi di scena, amore, erotismo, gusto descrittivo, senso del macabro e del sovrannaturale. Il modello diretto del romanzo di Apuleio dovrebbero essere “Le Metamorfosi” di un certo Lucio di Patre, di cui purtroppo sappiamo ben poco, e pare che anche Luciano (o pseudo-luciano) abbia preso ampiamente spunto da esso nel suo “Lucio o l’asino”, anche se riducendo di molto la trama. La storia nei romanzi di Apuleio, Lucio e Luciano è più o meno la stessa: il protagonista, nel tentativo di scoprire come una maga riesce a trasformarsi, seduce la serva di lei che lo fa assistere di nascosto ad una metamorfosi della padrona; sotto l’insistente richiesta del protagonista, la serva gli porge poi un filtro che dovrebbe trasformarlo in un volatile, ma per errore Lucio diventa un asino. Il rimedio parrebbe semplice, per annullare la metamorfosi basta infatti mordere i petali di una rosa, ma è solo dopo una lunga serie di assurde peripezie che Lucio ritornerà uomo. Se è vero che la trama del romanzo di Apuleio non è affatto originale, non possiamo dire altrimenti del nuovo significato che acquista: i romanzi di Lucio di Patre e di Luciano trasudano di ignorante credulità di fronte alle storie di stregoneria in essi raccontate, mentre Apuleio utilizza questi elementi come metafore: 1. della difficoltà conoscitiva dell’uomo; 2. degli ostacoli al raggiungimento di un sapere libero dalla superstizione e autenticamente spirituale. Inopinabile è il fatto che le novelle abbiano, nonostante il loro carattere scherzoso, un intento edificante, più discusso è il ritenere l’undicesimo libro, con il suo bagno di misticismo, una chiave di lettura a posteriori dell’intero romanzo (Lucio torna uomo ma solo grazie all’intervento di Iside, che gli impone di consacrare il resto della sua vita a lei). Questo cambio sconcertante di tono può in effetti essere spiegato in due modi: o lo si vede come l’ennesimo gioco colto con il lettore, come un modo ironico per terminare un romanzo che sembrava deridere ogni credenza religiosa, o ritenendo l’ultima parte un modo per far luce sul resto si vedono le novelle, anche legate ad aspetti più “materiali” (in particolare la continua comicità a sfondo erotico), come miele necessario per attirare il lettore verso una nuova spiritualità anti-tradizionale e anti-superstiziosa. Dunque, nel romanzo di Apuleio, metamorfosi è la trasformazione dell’uomo in animale (in primo luogo quella di Lucio, ma ne sono raccontate di diverse), e infine la volontà dell’uomo di diventare sapiente (e Lucio per riuscirvi deve, in chiaro contrappasso, imbestialirsi, vivere ogni tipo di esperienza nell’aspetto dell’animale ritenuto più stupido, per comprendere i motivi che portano alla violenza, al crimine e al dolore).

Se queste due opere sono quelle che meglio identificano il concetto classico di metamorfosi, sono molti gli autori che nei loro testi descrivono una trasformazione, spesso legata alla magia: caratteristica tradizionale della maga era, infatti, la capacità di mutare aspetto. Questo fatto ci spiega perché le fattucchiere fossero al tempo stesso ammirate e temute: solo le divinità potevano trasformarsi in ciò che volevano (si pensi alle numerose metamorfosi di Giove descritte da Ovidio), mentre gli uomini semplici potevano solo subire una metamorfosi, che spesso li condannava ad un’esistenza inferiore. Quindi, dèi e maghi compiono metamorfosi verso l’alto, gli uomini solo verso il basso.


Zeus trasformato in pioggia d’oro si congiunge alla bella Danae