Modulo otto

 

 

Morte di Romolo (Livio, I, 16, passim)

His immortalibus editis operibus, cum ad exercitum recensendum contionem in campo ad Caprae paludem haberet, subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo ut conspectum eius contioni abstulerit; nec deinde in terris Romulus fuit [...] Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent; manavit enim haec quoque, sed perobscura fama; illam alteram admiratio viri et pavor praesens nobilitavit.

Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides. Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis et infensa patribus, gravis, ut traditur, quamvis magnae rei auctor, in contionem prodit.

«Romulus - inquit -, Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obvium dedit. Cum perfusus horrore venerabundusque adstitissem, petens precibus ut contra intueri fas esset, "Abi, nuntia - inquit - Romanis caelestes ita velle, ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse". Haec - inquit - locutus sublimis abiit».

Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit quamque desiderium Romuli apud plebem exercitumque facta fide immortalitati lenitum sit.

È un brano impegnativo, impossibile pensare di tradurlo bene senza intendere a fondo il valore di ogni sfumatura lessicale, di ogni espressione. Proviamo qui ad esaminarlo e ad operare qualche riflessione.

" His immortalibus editis operibus ": innanzitutto, la posizione dominante di his è dovuta alla necessità di richiamare quanto detto nel capitolo precedente. Il resto della frase costituisce un "regolare" esempio di ablativo assoluto, con il verbo edere ("mandar fuori, emettere" come significato base) a indicare comunque una sorta di provenienza dall'interno, dato che il verbo ha anche il significato di "dare al popolo, produrre, determinare, causare" ( immortalia opera edere , Liv.). La frase può essere resa con una struttura simile, " compiute queste opere immortali ".

" cum ... contionem ... ad Caprae paludem haberet ...": la costruzione del cum narrativo è assai frequente e qui si associa all'espressione " contionem habere ", che indica lo svolgersi di un'assemblea pubblica. La preposizione ad ha qui il valore di apud ("presso"). Contio,onis indica propriamente un'assemblea popolare convocata da un magistrato e da lui presieduta. In tali assemblee non era prevista, né possibile, alcuna votazione. Possiamo tradurre " mentre teneva un'assemblea popolare presso la palude della Capra ", meglio che con un gerundio ("tenendo...."). Come tendenza, suggeriamo di rendere sempre il cum narrativo con una forma esplicita, in genere di valore temporale, causale o concessivo.

" ad exercitum recensendum in campo..": costruzione del gerundivo con valore finale. Tutta la scena suggerisce un'idea di movimento, con l'assemblea popolare e con il recensere , che indica l'atto del "passare in rassegna l'esercito da parte del comandante". Possiamo tradurre " per passare in rassegna l'esercito ". Il " campus " è il Campo Marzio.

"subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo...": la frase è lineare, con l'avverbio subito posto all'inizio, quasi a rompere la solennità della scena precedente con il preannuncio di qualcosa di imprevisto (" all'improvviso "). Il participio coorta è accordato al sostantivo tempestas ed indica qui il confluire improvviso di tutti i fattori atmosferici ( co -orior...). Un'espressione simile è anche in Cesare, DBG, 4, 28 ( tempestas subito coorta est ...). Si noti poi come cum magno fragore preceda tonitribus , a indicare prima la percezione del fenomeno, poi la determinazione razionale della sua causa. La presenza del tam davanti a denso nimbo indica che si sta anticipando un'espressione consecutiva ("con una nube tanto densa...). Dunque, " una tempesta scoppiata all'improvviso con grande fragore di tuoni avvolse il re in una nube tanto densa ..."

" ut conspectum eius contioni abstulerit ... " Il verbo aufero (perfetto abs - tuli ) indica il portar via, il portare lontano, il sottrarre qualcosa a qualcuno (in questo caso il dativo contioni ). Conspectum indica la possibilità che avevano tutti insieme ( con - cum ) di vedere il re. La struttura della proposizione consecutiva è assolutamente regolare. Possiamo tradurre " che sottrasse la vista del re all'intera assemblea ", oppure, in modo forse più fluido, " da sottrarre all'assemblea la vista del re ".

"nec deinde in terris Romulus fuit." La frase non presenta alcuna difficoltà grammaticale o sintattica. Per meglio esprimere il senso del nec ... fuit , potremmo tradurre con un'espressione del tipo " nessuno in seguito vide mai più Romolo su questa terra ", forzando un po' la "lettera" del testo, cosa che, una volta ben compreso il valore delle espressioni usate dall'autore, è non solo accettabile, ma a nostro parere necessaria. Il testo va espanso, va reso considerando che non ha senso operare il "calco" della struttura linguistica latina, a meno che non si vogliano ottenere dei veri e propri pasticci linguistici. Troppo spesso nelle scuole si chiede la "traduzione letterale", che è un modo per tradire il testo, non per farlo rivivere in un'altra lingua.

" Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent ...": credo è il verbo reggente di una proposizione oggettiva, fuisse aliquos , sua volta legata a una relativa con il verbo al congiuntivo (si esprime un dato probabile, ma non oggettivo), qui ... arguerent . Segue, retta da arguerent , un'altra oggettiva, regem discerptum (esse) manibus patrum . Proponiamo una traduzione, cercando di mantenere la struttura del periodo latino: " Credo che fin da allora ( tum quoque ) vi siano stati alcuni, i quali abbiano pensato che il re fosse stato ucciso per mano dei senatori". Nella traduzione abbiamo addolcito il senso di discerptum , che vuol dire "fare a pezzi, lacerare". È probabile che Livio volesse invece sottolineare, assumendo il punto di vista di quanti osavano sussurrare una tale ipotesi, il senso della gravità del fatto, della violenza dell'uccisione, che doveva apparire assurda e quasi sacrilega agli occhi della popolazione.

" manavit enim haec quoque, sed perobscura fama; illam alteram admiratio viri et pavor praesens nobilitavit. " ... sono due proposizioni principali, nelle quali Livio ci offre qualche altra informazione: la diceria dell'uccisione da parte dei senatori si diffonde ( manavit indica una sorta di diffusione goccia a goccia, per accenni, per frammenti di discorso), ma di nascosto, con molto timore (è il senso del prefisso per in perobscura : di nascosto, nell'ombra, molto (appunto " per- ") nell'ombra. Viceversa, grande e più facile diffusione ( nobilitavit ) ha un'altra versione (quella dell'assunzione al cielo), facilitata dalla grande ammirazione per Romolo, ma anche dalla paura per eventi che si intuiscono oscuri e pericolosi.

"Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides". Si nota subito la presenza di un verbo "dicendi" al presente indicativo passivo, segno della presenza di una costruzione del nominativo con l'infinito . L'infinito è, anche se a prima vista non sembra, addita , che ha sottinteso esse ( addo,is = aggiungere), dunque " dicitur fides addita esse rei consilio unius hominis ". Tradurremo " si dice che fu aggiunto credito alla cosa anche grazie all'accorgimento di un solo uomo ".

"Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis et infensa patribus, gravis, ut traditur, quamvis magnae rei auctor, in contionem prodit". Qui in poche parole Livio rappresenta una scena complessa, mossa, ricca di indicazioni. veniamo a sapere che tutta la popolazione ( civitas ) avverte con forza e preoccupazione ( sollicita ) la mancanza di Romolo ( desiderium,ii = "mancanza") e nutre forte ostilità verso i senatori. C'è un'assemblea in corso e si fa avanti a parlare un tal Proculo, uomo autorevole, nonostante (Livio lo lascia intendere con chiarezza) venga a raccontare una cosa davvero fuori del comune, difficile da credere. ma "credere" è proprio quello, forse, che la popolazione desiderava. La struttura del periodo comprende, oltre ovviamente alla principale, un ablativo assoluto ( sollicita civitate ... et infensa ...), una proposizione incidentale ( ut traditur ) e una proposizione concessiva ( quamvis ... con l'elisione della voce di esse). Ecco la traduzione: " Infatti, mentre la popolazione era assai preoccupata per la perdita del re e ostile verso i senatori, ecco, si racconta, che si fece avanti a parlare in assemblea Giulio Proculo, uomo considerato autorevole, nonostante stesse per farsi portatore di una cosa difficile da credere ".

Ecco ora il discorso di Giulio Proculo, nel quale è inserito il racconto delle parole pronunciate da Romolo:

«Romulus - inquit -, Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obvium dedit. Cum perfusus horrore venerabundusque adstitissem, petens precibus ut contra intueri fas esset, "Abi, nuntia - inquit - Romanis caelestes ita velle, ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse". Haec - inquit - locutus sublimis abiit».

Il discorso, nella sua brevità, è davvero efficace. Inizia rivolgendosi alla popolazione con l'appellativo di " Quirites ", non senza aver prima pronunciato il nome di Romolo, al fine di creare un senso di attesa negli uditori. Quirites è il termine che indica i Romani nei rapporti civili; c'è un riferimento all'unione con i Sabini, dato che forse l'etimologia va fatta risalire all'antica città sabina di Cures. Seguono l'appellativo di parens , teso a sottolineare che Romolo è ben più di un re, quindi la notizia che, sceso dal cielo, Romolo in persona era apparso a Proculo. Inevitabile la reazione di Proculo che, pieno di stupore, di venerazione, non riesce a muoversi, può solo supplicare il re di poterlo guardare in volto. Ma le parole che seguono sono il glorioso preannuncio del futuro di Roma, invincibile e destinata a divenire padrona del mondo. Niente di più: Romolo svanisce verso il cielo.

Dal punto di vista strutturale, troviamo una lunga principale con il participio congiunto delapsus . Nel momento in cui si giunge alla reazione di Proculo, ecco in rapida successione un cum narrativo , un participio presente , una completiva . Due imperativi, come si addice a un dio, danno inizio al discorso di Romolo, che prosegue con una infinitiva e una consecutiva, per poi tornare a un valore imperativo più "morbido", ottenuto per mezzo di tre congiuntivi esortativi. Lapidaria la frase finale. Ecco la traduzione:

" Romolo, o Quiriti, padre di questa città (probabilmente, nel pronunciare huius , Proculo, con ampio gesto, indicava la città alla folla), proprio oggi, alle prime luci del giorno, sceso all'improvviso dal cielo, mi si è fatto incontro. Mentre restavo immobile, confuso e pieno di sacro timore e nel contempo lo pregavo che mi fosse concesso di guardarlo in volto, egli mi ha detto queste parole: «Vai, riferisci a Romani che è volontà degli dei che la mia Roma sia signora del mondo. Coltivino dunque l'arte militare e sappiano che nessuna potenza umana potrà resistere alle armi di Roma. Tramandino ciò ai posteri». Dopo aver detto queste cose - riprese Proculo - risalì al cielo ".

Eccoci al commento di Livio, evidente proprio all'inizio del periodo successivo ("stupefacente!"):

Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit quamque desiderium Romuli apud plebem exercitumque facta fide immortalitati lenitum sit.

Mirum ( est ), "È stupefacente" regge un'interrogativa indiretta ( quantum ... fuerit ), all'interno della quale ha una posizione centrale il participio nuntianti , accordato a illi viro . In coordinazione, ecco un'altra interrogativa indiretta ( quam ... lenitum sit ), all'interno della quale è posto un ablativo assoluto ( facta fide ). Potremo tradurre " ... È stupefacente quanta fede vi fu nei confronti di quell'uomo che raccontava tali cose e quanto il senso di mancanza nei confronti di Romolo fosse addolcito presso il popolo e presso l'esercito, una volta che ne fu ritenuta certa l'immortalità ".