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Impressioni di viaggio a San Pietroburgo.
 
 [ San Pietroburgo - Cattedrale del Salvatore del Sangue Versato ]La partenza da Firenze per Milano-Malpensa è fissata presso la sede dell'associazione de "Il giardino amatoriale" che ha organizzato il viaggio. Pur accomunati dall'interesse per la botanica e per i giardini, sono pochi i componenti del gruppo a conoscersi; e, tuttavia, in pullman, all'istintivo ed iniziale atteggiamento verso l'altro, di studio, se non di diffidenza, presto ne subentra uno di cameratesca simpatia; anzi di quello spirito di contagio emotivo generato dalla comune e dolorosa esperienza di essere stato "profugo". Ben sei dei presenti provengono da quel piccolo lembo di terra che è ai confini tra Italia, Austria, Slovenia, Croazia. Territorio da sempre conteso, oggetto di guerre e ogni forma di lacerante divisione; là dove le linee di confine, persino entro una stessa città, nei secoli hanno radicato ed alimentato, al contempo, sogni di evasione e di avventura, ma anche senso di sradicamento e di nostalgia.
Due dalmati, due istriani, due sloveni; per non contare me stesso. Anch'io, infatti, durante la guerra ho trascorso a Pola tre anni dell'infanzia. Beneficiato dall'innocenza ho portato con me solo lievi ricordi; alcuni fissati per sempre su foto 4x4 in bianco e nero: all'arco di Augusto, all'anfiteatro romano, alla marina di Seiano! Il reciproco riconoscersi dei sei è corso oltre il naturale bisogno di ritrovare le proprie radici familiari; le lingue mai dimenticate: la lingua madre, quella comune dell'impero asburgico, quella del vicino villaggio, quella appresa lontano, in Ungheria o in Serbia (durante la leva militare o i duri inverni di migrazione, di piccolo commercio ambulante); le tante diverse tradizioni alimentari o religiose. Tutto quanto, dopo tanti anni, finalmente sgorga limpido dalla roccia della lontananza e disseta l'arsura della diaspora e del lutto.
Ma la gioia di tanta riscoperta, partita così dal lontano passato, è nell'oggi. E' nell'oggi che si completa e si legittima. Dopo l'immane tragedia della recente guerra fratricida in Jugoslavia e l'implosione del suo Stato federale (quasi ogni nazione dovesse uccidere il padre per emanciparsi) le loro parole, infatti, evocano sì l'eterno bisogno di un ritorno; ma, più ancora, una nuova coscienza nella storia dell'uomo, espressione di un più elevato grado di civiltà, di un maturo sentirsi parte di una più grande famiglia di popoli. Una famiglia simile a quella di una volta, ma nuova e rinata nella libertà e nella autodeterminazione. Una consapevolezza di poter esprimere, proprio grazie alla diversità, alla libertà e alla pace, il meglio di sé.
Tutto ciò mi è sembrato dare al viaggio in Russia, sia pure casualmente, il senso di un viatico; svelare, anzi, quel "senso" ultimo della direzione del percorso umano, quale che ne sia la lettura da ciascuno prediletta. La tragedia di ieri d'improvviso pare svanire. La storia, comunque la si voglia leggere, ridimensiona o relativizza tutto, specie quelle certezze ideologiche, di valore (di patria, di nazione, di rivoluzione sociale o politica) che fino a pochi anni addietro nessuno pensava di poter mettere in discussione. Noi, del resto, andiamo in Russia avendo dimenticato quanto bloccava il cuore degli uomini, con lo stesso senso di riappacificazione con cui si riabbraccia il fratello.
Il Tupolev 177 su cui saliamo è il primo sintomo della condizione di salute di questo grande paese: lo sportello è così graffiato dal tempo che sembra uscito da un filmato storico; internamente l'antiquato sistema di pressurizzazione, con uscita di vapore, suscita imbarazzati commenti; la tipica ironia dei colonizzatori! Ma la rassegnazione e il timore scompaiono col viaggio e infine con un perfetto atterraggio: il personale umano, nonostante tutto, è ottimo.
"Non voglio Mosca!" - mi sono sempre detto - "Sì certo, la Piazza Rossa …!" Ma è tale la sofferenza provata ch'essa m'è sempre parsa buia, opprimente come le volte del Cremlino ai tempi dello Zar Ivan il terribile e dei boiardi. Mosca non l'ho mai sognata, l'ho solo subita e temuta. Al richiamo di San Pietroburgo (S.P.), invece, ho subito risposto, come ad un invito sempre desiderato, che non speravo più di ricevere.
"S.P. è luminosa, anche se tragicamente splendida" - mi sono sempre detto - "non è un caso che Lenin e Stalin, ne vollero cancellare, agli occhi del popolo russo e dell'internazionale socialista, l'identità, e la memoria e il nome, e trasferirono la capitale a Mosca, quasi si identificassero con Ivan. So bene che S.P. non è tutta la Russia, o almeno quella tra le tante che ciascuno ritiene "vera"; ma per me è come se questa città contenga, per genesi e per storia, una particolare forza d'amore; sia figlia di una unico, straordinario progetto; conservi un'eredità che le tragedie non hanno dilapidato.
Soltanto ora, mentre sono in volo, comincio a mettere a fuoco ciò cui vado incontro. "Questa volta, mi dico, avrebbe dovuto essere diversamente! Questa città, avrei dovuto corteggiarla almeno da lontano! Studiarne, come si fa con la persona amata, il portamento, quel gesto, quel particolare colore della camicetta, o altro, e a sera farne l'oggetto dei miei desideri. La storia, è vero, forse mi ha schiacciato, turbato, col suo peso, con i suoi inspiegabili sensi di colpa. La pigrizia, la passività del consumismo turistico, di un viaggio di gruppo, le giustificazioni che la ragione così facilmente squaderna, possono aver fatto il resto. Ciononostante, non mi perdono di non aver fatto nulla per scaldare il mio cuore!
Ciò che mi ha tenuto fortunosamente legato a questo intrico di paludi è stato un miraggio di luce: quella luce del mar di Finlandia che per la prima volta ho visto riflessa sul casco di capelli biondo-dorati di Cerkassov, l'Alexander Nevskij di Eisenstein, quando, sulla collina di Novgorod, ispirato guarda lontano, oltre il lago Ladoga, i destini del suo popolo. Quanto può fare l'emozione suscitata da un film!
Mi sono tenuto tutto chiuso dentro, quanto, durante una vita, possa essere conservato, quasi io stesso sia diventato un pezzo di storia. Sul momento non ne è coscienti. Tutto, anche il granello più piccolo, si sedimenta muto nella memoria. Così è dopo un gran lutto, dopo la fine dei tanti sogni. Così è anche nei confronti di quelle grandi famiglie quando, una volta cadute in disgrazia, sta per vincere sulla compassione l'indifferenza. Ora, invece, sul punto di atterrare, di rivedere S.P., d'improvviso m'accorgo quanto l'abbia amata; quanto ogni granello si era sedimentato perch'io lo ritrovassi!
In prossimità dell'atterraggio, il paesaggio dall'alto comincia a rivelarsi nella sua identità: sconfinati boschi e campagne ammantate di vegetazione fresca e colorata, la Neva con le sue tante ramificazioni e laghetti; qua e là piccoli villaggi di dacie, mi illudo di riconoscere anche una delle tante residenze imperiali. In lontananza, sulla destra la città e sulla sinistra il golfo di Finlandia.
 [ acquarello di Milton Glaser per "I Racconti di Pietroburgo" di GOGOL ]Mi prende persino l'idea, tra lo scherzo e il sogno, tra l'utopia e il gioco, di baciare il sacro suolo della santa Russia; lo farei sul serio, ma subito m'accorgo che non è il caso di tornare ragazzo, di essere ridicolo ed ingrato. Come è difficile dominare le emozioni della storia, specie quando d'improvviso ti schiacciano!
E' stata persa una valigia e così perdiamo tempo prezioso, sono smanioso.
Percorriamo in pullman turistico, con la guida russa che parla ovviamente un perfetto italiano, l'interminabile via Mosca che collega l'aeroporto di Pulkovo a S.P. Un test impegnativo. Passiamo davanti al gigantesco monumento ai caduti: circa un milione e mezzo di morti, in combattimento, per fame e per freddo, nella difesa dell'allora Leningrado durante l'assedio nazista durato 900 giorni. Mi ricorda il monumento dedicato, nel cimitero di guerra di Arlington-Washington, ai soldati americani rappresentati mentre erigono l'asta della bandiera a stelle e strisce dopo la conquista di Okinawa. Osservo turbato i tetri palazzi del c.d. "barocco stalinista" che per alcuni chilometri ci accompagnano verso il centro della città.
La prima accoglienza, diretta e tangibile, a chi come me ha occhi da turista è questa: non posso sottrarmi dal fare i conti con la storia, un turbamento cui sul momento non sono preparato anche per come essa sa ben mascherarsi; le sue ferite sono ancora vive, ma è come non fossero percepibili, anche se a me pesano come piombo!
Dato il ritardo non andiamo in albergo; ci aspetta il battello per un giro lungo i canali e la Neva.
Parcheggiamo nella immensa Piazza del Palazzo proprio sotto la colonna di Alessandro. Un'orchestrina alla nostra vista suona senza esitazione l'inno di Mameli: comincia il rito della pietas. Mi volgo in giro, sulla destra vedo l'Ermitage, il palazzo d'inverno, quello per antonomasia: affiorano istantaneamente i ricordi e le immagini della storia, la vittoria su Napoleone, ma più ancora quelli della rivoluzione sovietica. Cerco con gli occhi il luogo del discorso di Lenin sul palco; le cancellate non ci sono più. Rinuncio subito ad una qualunque ricostruzione degli eventi; "domani, domani, …" mi dico. Ci aspetta il battello e le leggi del turismo sono per definizione mirate alla rimozione della memoria; c'è spazio solo per l'emozione degli occhi nell'istante concesso.
In una città barocca come S.P., non vi può essere inizio più svelatore di quello di una gita in battello; subito percepisci come sia una città pensata e progettata per comunicare con l'acqua, per affacciarsi al di sopra degli argini in granito rosa pallido di Finlandia, sull'acqua ora verde ora bianco ghiaccio del fiume o del canale, ma anche per essere vista dal pelo dell'acqua. L'opulenza e la scenograficità rococò dei numerosi palazzi, nei loro colori, verde, azzurro, giallo, rosso; l'alternarsi dei giardini specchianti sull'acqua; i 365 ponti, arricchiti da ferri battuti fin troppo dorati, da statue, obelischi, sfingi, fari, lampioni e torrette, in un continuum labirintico, è "spettacolo"! Dall'Anickov Most, al Sinij Most (il "Ponte dei baci"), dall Bankosvskij (quello dei cantanti) al ponte del castello nei pressi dell'Ermitage, il primo in pietra; si passa lungo il canale Fontanka, il canale Grybovedova, il fiume Mojka, si giunge prima nel Bolshaya Neva, infine nel Malaya Neva. L'emozione è fortissima! La dilatazione dello spazio, la luce e i colori aumentano e valorizzano le qualità della scenografia di un barocco così doppiamente italiano, frutto di numerosi architetti italiani, ma soprattutto di una misura e gioia così poco baltica, così mediterranea!
Un vento forte e freddo soffia sulla Neva e l'increspa. E' vastissima, maestosa, nonostante scorra dal lago Ladoga per soli 70 Km! Ha spalancato il cielo di un azzurro intenso e fa volare veloce qualche nuvola bianca. Come è lontana la mia calda brezza di Quercianella!
Ora lo vedo! Ora capisco perché solo qui, e non a Mosca, si è mescolata ogni passione; solo qui hanno vibrato le tante passioni, della musica, della poesia, del teatro, della narrativa, di quanto ha fatto battere i cuori di ogni uomo nelle lunghe notte della breve estate, quando giorno e notte si mescolano e confondono i cuori degli innamorati. Il vento di Finlandia porta profumi di bosco, di betulla, di fragole, di resina; e le vele corrono fendendo le piccole onde di sogno. Che conta il buio e il ghiaccio d'inverno se l'estate è un simile turbine d'amore! Ovunque appaiono coppie di sposi coperti di baci. Un ragazzo, uno studente forse, ci saluta da un ponte. Quel braccio alzato e sventolante di vitalità giovanile, di gioia pulita l'ho già visto altre volte nei film del disgelo kruscioviano; non ho mai pensato che fosse solo retorica. Cosa aveva questo popolo per donare, nonostante i milioni di compagni o di kulachi mandati a morire nei gulag, per donare altri venti milioni di morti in guerra? Lo rivediamo al ponte successivo, poi a quello dopo. Lo rivedremo dopo circa un'ora paonazzo, sudato, sfinito, senza più il suo solare sorriso sul muretto dell'imbarcadero, col berretto là pudicamente poggiato, con gli occhi abbassati; il suo animo è pulito, pieno di poesia. Poco più tardi scopro che anche i poveri sono dignitosi e non si prostituiscono.
Dal battello si vede come nei quadri di Canaletto la schiera dei palazzi, la teoria dei grandi ponti; l'isola Vasilevskij (una delle cento isole del delta della Neva), la fortezza di Pietro e Paolo con il suo campanile svettante e le cupole dorate, e lì accanto l'ormai mitico, ma inoffensivo anche ideologicamente, incrociatore Aurora (quello che sparò a salve sul palazzo dando il segnale della rivolta nell'ottobre del 1917); il palazzo d'inverno di Pietro il grande, i palazzi signorili del quartiere neoclassico dell'800 lungo la Mojka, il giardino d'estate e accanto il canale dei cigni, il ponte della Trinità (Troitskji most) costruito nel bicentenario dalla compagnia francese Batignolles, il più lungo con i suoi 582 metri, il ponte di Pietro il grande (Most Petra Velikovo) con il ponte levatoio centrale, come altri ponti lungo i canali, sollevati di notte per consentire il passaggio delle navi, in realtà per stupire quanti vogliono sognare bevendo un calice di champagne o una più prosaica birra. Quanto mi ci vorrà per fissare tante immagini viste in così poco tempo? Domani, domani!
E' tardi, nonostante il sole sia ancora alto, comincio a sentire la stanchezza di una giornata così lunga e intensa. L'albergo è il Sovietskaia. Il solo nome è un "programma"! Un po' fuori moda, ma dignitoso; al piano, giorno e notte, staziona per servizio e vigilanza una donna.
Chiudiamo le tende per difenderci dalla luce del sole ancora fermo sopra l'orizzonte (scende soltanto di 8° sotto l'orizzonte). Ripenso alla nascita di questa città, splendida come poche altre al mondo fino a tutto l'800. Da quanto ho potuto vedere a volo d'uccello capisco la personalità di Pietro, l'intelligenza e il coraggio non solo politico: aprire le vie del mare alla Russia, chiusa a sud dall'impero ottomano e a nord dalla potente Svezia, vincerla militarmente dopo aver costruito dal nulla una flotta, trasferire la capitale e la corte dell'aristocrazia terriera da Mosca, proiettarla nell'era moderna, nella scienza, nella cultura e nel gusto delle grandi capitali europee, competere persino con i loro residenze reali, è segno indiscutibile di una genialità rara per quei tempi, impensabile per la Russia, tutt'oggi motivo di orgoglio nazionale. Caterina ne completerà il progetto portando in Russia persino Voltaire e la sua biblioteca, la lingua e il gusto e la cultura illuminista non solo francese.
L'indomani mattina il sole è già alto alle cinque; per noi latini è difficile accettare tanta luce senza fastidio, per i pietroburghesi è diverso: loro con gioia vitale devono immagazzinarla avidamente. Per la notte seguente decido di dotarmi di un indumento per mascherare gli occhi.
La giornata inizia con la visita della vicina cattedrale di S. Nicola, circondata da alberi e canali, vi si accede da una torre campanaria a quattro piani, sormontati da un altissima guglia dorata. Un raffinato esempio di rococò russo del '700, con pareti azzurre, il colore dei marinai russi cui è dedicata (infatti S. Nicola è il loro patrono), suddivisa da pilastri bianchi corinzi, e sormontata da cinque cupole dorate. La chiesa superiore è vivacemente decorata con decori in stucco e dipinti in stile ed icone; ma è la chiesa inferiore, oscura, illuminata da candele, con una iconostasi splendida, con pareti ricoperte di icone, continuamente officiata e piena di fedeli, che è fonte di una rara e straordinaria emozione.
Ogni fedele ha la sua icona, il suo santo protettore: oltre Gesù, Maria, e S. Nicola, splendida è l'immagine di S.A. Michele in blu turchese, davanti ad ogni icona ci sono tantissime candeline di cera d'api, scura, le donne col capo coperto, umilissime, si inchinano spesso facendosi il segno della croce. In un angolo, davanti ad una fila di persone, in attesa si svolge la confessione, la penitenza; il sacerdote in piedi davanti al penitente lo ascolta poi, coprendone il capo col velo bianco della purezza, lo assolve. Il canto alternato a più voci dei sacerdoti e del coro, posti dietro l'iconostasi, ora si espande, ora si contrae, continuo e sostenuto ora con note basse e grevi, ora alte e leggere, tutto avvolgendo, quasi che, nella preghiera, l'ininterrotto respiro dell'anima abbia bisogno di un procedere verso Dio lento, solenne e maestoso. Non è possibile descrivere i volti dei fedeli, la loro devozione, pare che siano in estasi, alcuni con le lacrime sono fissi nella preghiera. La suorina che vende le candele e i santini, ha un viso dolcissimo, parla a voce bassissima per non turbare la propria e l'altrui condizione di spirito. Tutte le memorie letterarie si affacciano alla memoria: "I fratelli Karamazov" di Dostoieskij, "Pasqua di resurrezione" di Gogol. Passo dall'intensissima commozione dell'ascolto, a quella sorta di indignazione generata dalla riflessione, dalla ragione: Cristo qui mi pare risorto di nuovo dopo 70 anni di ateismo di Stato, anzi nonostante che per generazioni si sia pensato di seccarne la sorgente. Più la Chiesa di Cristo soffre, più risorge, più rinasce. Resta lo scandalo delle chiesa separate. Le ragioni sono teologiche (la non verginità di Maria, l'inesistenza del purgatorio, il mancato riconoscimento al vescovo di Roma dello status di vicario di Cristo in terra) o altre? Chi mai oggi potrebbe più accettarle a questo prezzo, al prezzo di una separazione, di tanto antagonismo? Qui, a chi ha fede, sembra che tutto ciò sia privo di giustificazione!
Esco diverso; forse il viaggio in Russia valeva solo per quanto ho provato in questa chiesa, con la superficialità con cui il turista registra, fotografa, osserva in pochi attimi; o forse proprio in questo sta la fortunata condizione di cogliere l'essenziale?
Nel quartiere di Sennaja Ploshad, circondato da canali e da viali alberati, passiamo davanti al teatro Mariinskij, sede della celeberrima compagnia di balletti russi: qui è nato il balletto russo, sorto con l'origine della città nel 1738, qui sono state eseguite le prime delle opere di Ciaijkosvskij, il lago dei cigni. Con la rivoluzione le molte compagnie, tra le quali quella celeberrima di Diaghilev, e i più grandi ballerini andarono in esilio (vedi Anna Pavlova il primo cigno, Vaslav Nijnskj, e recentemente Nureyev). Vicino il conservatorio Rimskij-Korsakov frequentato da Ciaijkovskij, Prokofiev e Sostakovic, Rubinstein. Tutto il quartiere durante l'800 si popolò di artisti, e ancor oggi è il punto di riferimento della vita culturale e artistica della città. Non distante il palazzo Jusupov rococò, dove fu ucciso Rasputin, e l'immenso palazzo neoclassico del Quarenghi; infine la casa di Dostoesvkij dove visse prima di essere mandato ai lavori forzati in Siberia.
Il giardino d'inverno di Pietro il Grande si affaccia da un lato sulla Neva, con l'ingresso principale, e dall'altro, il lato lungo, sulla Fontanka dove seminascosto da alti tigli si trova il palazzo d'estate di Pietro dalle eleganti simmetrie settecentesche, sobrio, intimo e raccolto. Il parco, progettato dallo stesso Pietro con l'aiuto dell'architetto Trezzini, è famoso nella storia della città; tanto amato che persino durante l'assedio dai rigidissimi rigori invernali nessuno osò violarlo per far legna, riscaldarsi e salvarsi la vita. Un parco nato francese, decorato di numerose statue anch'esse di scultori italiani, ora appare piuttosto romantico per la crescita degli alberi non più potati. Il sole, la luce tersa, un leggero vento fresco baltico rendono l'aria leggiadra.
Poco oltre c'è il castello Michaylovskij : qui lo zar Paolo I° , che lo costruì per timore di congiure, fu ucciso dai cortigiani 40 giorni dopo la sua inaugurazione!
Si passeggia lungo i canali passando davanti a palazzi con stupore e ammirazione. Provo un costante senso di serena piacevolezza per la generale armonia degli edifici, dei ponti, dei giardini; prospettive cangianti per luce e colori. Nonostante gli sforzi di orgoglioso e amorevole restauro conservativo, sono visibili le ferite del tempo, i segni di una perdurante difficoltà nello sviluppo economico, di quell'atavica "povertà" ed indigenza che fin dal suo nascere ha diviso la città e la sua popolazione. Pietra di uno scandalo mai riparato: nel '700, nell'800, ma anche in quel 900 segnato dal sogno di una giustizia rivoluzionaria, così tragicamente tradita, e ora pare così cronicizzata. Un'indigenza che ha sempre affinato "l'arte della sopravvivenza", come ha alimentato la grande arte (Gogol, Dostoevskij, ecc.), e generato gli incubi rivoluzionari. Il prezzo del viaggiare è questo: non si può scegliere solo una parte, la migliore, la più bella. O tutto o niente! L'una ti attrae, l'altra ti respinge o ti colpevolizza. Il tempo è breve; la lingua, poi, mi è di ostacolo insuperabile; che altro posso fare se non osservare, ed essere allo stesso tempo giudicato? Così il feudalesimo aristocratico e autocratico zarista prima; il suo opposto ma omologo teorico-ideologico, il leninismo-stalinismo poi, non hanno ridotto quelle distanze sociali; il nuovo di Eltsin o di Putin ha solo l'alibi del tempo. Forse per questo pare che non si possa far altro che dimenticare il passato.
L'isola Vasilevskij (Basilio), la più grande del delta della Neva, secondo il progetto di Pietro, avrebbe dovuto essere il cuore amministrativo della capitale; le difficoltà di comunicazione e le numerose alluvioni portarono all'abbandono di tale progetto. La punta del promontorio, la lingua di terra o strelka che si incunea tra i due rami della Neva, è diventata la città degli studi. Qui si trovano l'Università di S.P., l'Accademia delle scienze, i diversi istituti, le biblioteche e i musei universitari (tra i quali il Kunstkammer con la collezione delle rarità biologiche di Pietro), il monumento allo scienziato illuminista Lomonosov (1711-65) - che insieme a Mendeleev (compilatore della tavola periodica degli elementi) a Popov e Pavlov (teoria sui riflessi condizionati), ha dato lustro alla scienza russa - , il museo navale. Ai lati delle due rosse colonne rostrate, adibite a fari, lungo la sponda nord del fiume, la teoria degli splendidi edifici del 700 e 800, fa da controcanto alla scenografia della sponda sud con al centro il palazzo d'inverno. Da entrambe le sponde, la stessa scenografia: i colori pastello del barocco e del neoclassicismo - verde, azzurro e giallo - dalle tinte più scure forse a causa del clima e della latitudine, fanno di tanto scenografico "vedutismo" un motivo di raro incanto.
Visitiamo nel vicino quartiere d'epoca staliniana, con dignitosi palazzi liberty, l'orto botanico. L'ingresso è disadorno, anzi pare in uno stato penoso di degrado; ma, poco più avanti, sono già avviati i lavori di restauro, come del resto in gran parte della città. Le serre con gli impianti di riscaldamento e di irrigazione per quanto antiquati sono ancora funzionanti. Un'isola di sogno o forse di fuga durante i duri anni della guerra, dell'assedio; certo un grande commovente amore riuscì a proteggere le lussureggianti piante tropicali, quelle parsimoniose della savana e quelle povere del deserto. La scienza e la poesia è la stessa ovunque, sa resistere come le fede, rinvenendo nella terra quella poca acqua che serve a preservarsi. Cerco di immaginare cosa sia stata, durante lo stalinismo e ancor più durante l'interminabile durissimo assedio questa isola di amore e di sogno. Credo che l'uomo sia sempre capace di superare col cuore e con l'immaginazione i confini territoriali e con essi quelli fisici dell'odio, della violenza, della morte.
La giornata successiva inizia con la visita di Petrogradskaja, la fortezza di Pietro e Paolo, dalla cui costruzione in legno, dopo la vittoria su Carlo XII di Svezia, iniziò la fondazione della città nel 1703. Domenico Trezzini progressivamente la sostituì con l'attuale fortezza in pietra. Molti condannati ai lavori forzati morirono durante la sua costruzione. Solo la costruzione del ponte della Trinità nel 1890 rese accessibile l'area e lo sviluppo del retrostante quartiere. Fortezza militare ma anche prigione dei nemici dello Stato (uno dei primi fu il figlio di Pietro, Alessio, che vi morì). Non solo ma anche luogo della zecca di Stato, e, infine, in una "paradossale" contrapposizione, la cattedrale dei santi Pietro e Paolo. Questa, dopo la morte di Pietro, fu il luogo di sepoltura dei Romanov; vi sono le tombe di tutti gli zar e zarine, compresa quella di Nicola II, l'ultimo zar trucidato insieme a tutta la famiglia dalle guardie rosse.
E' la prima chiesa barocca della Russia. Così la volle Pietro, su progetto del Trezzini, ad imitazione del modello europeo, diversa da quello tradizionale ortodosso. Ha la torre campanaria sul fronte, altissima, aghiforme con la cupola dorata, visibile da tutta la città. Tutte le tombe sono uguali di forma, molto sobrie, col solo nome sovranciso, e dello stesso materiale, marmo bianco di Carrara (ad eccezione di quella di Alessandro II che è in diaspro). Mi ha fatto riflettere il fatto che esse siano rimaste intatte durante la rivoluzione; la sua furia distruttiva, con l'iconoclastia dei segni del regime da abbattere, è come si fosse limitata agli uomini, senza coinvolgerne le opere e i documenti materiali. Per quanto il regime zarista fosse dispotico e iniquo, il nuovo li ha rispettati. Ciò che, pur restando per me "una deviazione ideologica" in uno Stato totalitario quale fu quello stalinista, mi rafforza la convinzione, spero non ideologica, sulle qualità profonde del popolo russo e della sua cultura.
Uscendo dalla cattedrale dei santi Pietro e Paolo, fotografo una piccola guglia dorata nella speranza di conservarmi il ricordo dell'azzurro del cielo, di una tonalità mai vista, non a caso lo stesso della sua rinata bandiera. Che nasca da qui il segreto di un popolo che non sa odiare, né serbare rancore?
Gostinyj Dvor: è il quartiere ricompreso tra il canale Fontanka, il fiume Mojka, il canale Griboedova, la prospettiva Nevskij, il lungo fiume del Palazzo.
Al centro c'è la Piazza delle arti, una delle opere migliori di Carlo Rossi, l'urbanista di S.P., con giardini e la statua di Puskin. Gli edifici che circondano la piazza danno il segno della magnificenza culturale della città. Nel palazzo principale c'è il "Museo Russo"; ai lati c'è il teatro dell'opera e del balletto di Musorgskij, la sala di concerti della filarmonica. Poco oltre c'è la "chiesa del sangue versato", costruita, in stile russo del 600, sul luogo dove fu assassinato nel 1883 lo zar Alessandro II (simile a quelle del Cremlino e alla quale si è ispirata anche quella fiorentina di Viale Milton); ha 5 cupole dorate o ricoperte di mosaici, come del resto i timpani e altre parti di decoro delle facciate. Alle sue spalle i giardini e il castello neoclassico Mikhajlosvskij. Al centro dei giardini, luogo di ritrovo degli intellettuali di S.P, c'è il monumento alla rivoluzione d'ottobre, quella borghese, o delle bandiere rosse. Non si sa se piangere per il sogno infranto, per l'astrattezza di tanta illusoria sete di giustizia sociale o per il suo uso nefasto e per la tragedia immane che ha provocato, non solo in Russia. C'è un braciere di bronzo dove il fuoco arde costantemente: è semplice, non retorico, anzi stranamente spoglio. Davanti su una panchina un giovane ubriaco dorme, ma è presto cacciato con modi duri da un poliziotto. C'è molta amarezza, se non fosse per un gruppo festante intorno a due sposi. In tutta la città, nella sua breve estate, c'è come un'infiorescenza di matrimoni. Tra tante gambe s'insinua un "Eliuccio"; strano!, giunto, non so come, fin qui!
E' tardi, camminiamo lungo la Prospektiva Nevskij. La strada più famosa della Russia; parte dall'Ammiragliato e giunge fino al monastero di S. Aleksander Nevskij; larga e lunga cinque chilometri. Brulica di gente a tutte le ore, anche di notte! Qua e là, imponenti edifici: il gigantesco palazzo Anickov donato alla zarina Elisabetta dal suo amante, e, poi, da Caterina la Grande al proprio, il principe Potemkin; da allora, con la aggiunta del Quarenghi elegante edificio colonnato, sede invernale dell'erede al trono; la chiesa armena; il teatro Alexandrinskij in stile neoclassico di Carlo Rossi, (russo ma di madre italiana) in piazza Ostrovskij, qua vennero rappresentate le opere di Cechov e di Gogol. La cattedrale di Kazan è ispirata a S. Pietro, ha una cupola di 80 metri, e un colonnato di111 metri, ispirato a quello del Bernini. Prende il nome dall'icona miracolosa della Madonna di Kazan che liberò la città dai polacchi. Contiene la tomba del generale Kotuzov vincitore della grande armata di Napoleone nel 1812. Tra i vari caffè letterari, quello famoso dove Puskin fu sfidato a duello e a causa di ciò ucciso; è perfettamente conservato com'era nell'800. Alberghi, negozi e bazar: il Gostinyj vor, i grandi magazzini in stile neoclassico. Gogol diceva con orgoglio che non esisteva nulla di più bello di questa strada. Credo, invece, che per quanto sia ancora allegra e brillante, e per quanto io sia ormai molto stanco, se ho ben visto al di là degli androni bui e molto degradati, simili ai portoni nel nostro dopoguerra, vi sia anche tanto kitsch-demodé e pseudo avanguardia. S.P. e presumibilmente tutta la Russia, in uno sforzo di rincorrere il moderno occidentale, e avendo in parte perso il filo della propria storia, mi sembra non ne abbia ancora trovato uno nuovo. Ma del resto chi ci riesce oggi al mondo? I contrasti sociali di un tempo aspettano ancora chi sappia e voglia superarli.
Andiamo a cenare in un vicino ristorante georgiano. E' la prima volta che mangiamo molto bene, bevendo un rosso georgiano niente male. Quante cucine anche in Russia! Non può che essere così in uno stato che arriva ad affacciarsi davanti al Giappone e all'Alaska. A tarda notte, ma c'è ancora luce, il gruppo riesce a trovare due taxi che, dopo una breve trattativa, ci riporta in albergo a velocità folle.
La giornata è dedicata alle residenze imperiali: Peterhof e Oranienbaum. Il percorso non è breve. Dobbiamo percorrere, verso ovest e il golfo di Finlandia, un lungo tratto della periferia operaia e industriale della città. So bene che, nell'immediato dopoguerra, la fame di case, insieme a quella della pancia, era tale che, dal punto di vista urbanistico ed edilizio, fu compiuto in pochissimo tempo uno sforzo immenso. Il freddo qui taglia la carne e ogni controretorica rischia di risultare peggiore di quella di cui fu protagonista l'era staliniana e kruscioviana. Gli [ acquarello di Milton Glaser per "I Racconti di Pietroburgo" di GOGOL ]scadenti materiali impiegati, l'urgenza, il carattere desolante di un impianto urbanistico socialmente devitalizzato, fanno di questi edifici fatiscenti e inutilmente degradati una testimonianza dell'eterna già accennata contraddizione. Del resto la povertà produce gli stessi frutti in tutto il mondo e se ogni metropoli, comprese quelle italiane, ha le sue vergogne, questa non è certo una delle peggiori.
E', comunque, un buon inciampo a chi si dirige verso lo sfarzo di Peterhof. Anzi, subito dopo, iniziando la visita alla reggia e considerando la rapida riparazione postbellica per i gravissimi danni prodottele dalla stessa artiglieria sovietica (era divenuta sede dello stato maggiore dell'esercito tedesco assediante), torno a riflettere su coessenzialità delle due anime della storia sociale russa; di questo Giano bifronte, l'una aristocratica, opulenta, l'altra povera e sofferente; ma entrambe unite nello stesso amore verso la propria terra, ugualmente orgogliose della propria storia. Da qui iniziò, insieme alla disfatta di Stalingrado, il crollo del nazismo. Tutto fu ricostruito dove e come era.
Gli ori abbagliano dentro e fuori, manca dunque la patina, ma qui i rigori dell'inverno esigono di frequente grossi pennelli e spessi colori, "cure" da cavallo. Resta una reggia degna di Pietro, di un grande paese; luminosa, come tutta l'architettura del 700, rococò e neoclassica. Il cammino verso l'Europa era iniziato qui, con l'uso delle lingue europee, non solo il francese; con la cultura europea, col mercato europeo, con quanto era moderno.
In attesa di entrare e indossare pantofole di feltro, ci accolgono, per le foto di rito, un Pietro in costume d'epoca, insieme alla sua zarina, e un'orchestrina pronta a tutti gli inni con le divise dei soldati, naturalmente di Pietro. Sotto parrucche ingiallite i loro volti e nasi sono rubizzi, paonazzi di vodka. Anche poco più tardi, al ristorante, "accompagna" il pranzo un altro gruppo di musicanti nei tradizionali abbigliamenti, con balalaica e stivali; sono giovani, con visi belli, puliti come il loro sorriso; lei, una vera matrioska, con una corona di brillantini e perline, con grembiule rosso e bianco, canta melanconici e struggenti canti popolari. Piange il cuore vederli ancora senza futuro. La reggia costruita da Pietro dopo la vittoria della Poltava sugli svedesi del 1709, è "all'altezza del più grande dei monarchi"; simile a Versailles da cui certo trasse ispirazione. Grandiosa fuori e dentro; lo scintillante scalone del Rastrelli è decorato da cariatidi e intagli dorati. Uno splendido rococò (ma fa parte del già visto: sala del trono, sale cinesi, ecc.). Curioso il grande ritratto di Caterina a cavallo in divisa da generale. Interessante lo studio in quercia di Pietro. Mi colpisce una settecentesca collezione di cento splendidi ritratti femminili del pittore italiano Rotari. Il parco superiore è delizioso, alla francese; fu, infatti, progettato insieme alla reggia dall'architetto francese Le Blond, in parte modificato per Caterina da Rastrelli. Il giardino superiore, suddiviso da aiole, siepi, laghetti ornamentali, viali alberati incolonnati e potati geometricamente, chioschi, pergolati, offre un senso di grande equilibrio razionale, di ordine estetico. Quello inferiore, a terrazzamenti, con una sequenza di fontane, getti d'acqua, cascatelle, e statue bronzee doratissime, mi sembra sproporzionato, come schiacciato sotto la reggia, senza respiro e soprattutto un po' kitch. Preferisco allontanarmi da tanto affollamento di statue e turisti e dirigermi verso il termine di questa prospettiva scenografica, verso il mare del golfo di Finlandia, attraverso un parco di grandi tigli, di aceri, olmi, luminosissimo come il cielo; qua e là fantasiose fontane. L'azzurro del mare è la cosa più emozionante. Rimpiango di non avere il tempo di visitare il palazzo Monplaisir, deliziosamente affacciato sul mare Baltico.
Nel pomeriggio visitiamo, non lontano, ad Orianembuam, il palazzo di Minchikov, l'amico fraterno di Pietro; da lui donata e da lui, caduto in disgrazia, requisita. Questa piccola, ma splendida villa, è vicina al mare, ma resta seminascosta in un bosco di alti alberi. Perfettamente conservata e arredata, ha colori pastello, leggeri. Mi sembra più autentica dell'altra, molto più elegante, sobria, armonica, ricca di citazioni classiche (le muse dipinte dal Terreni!); nel salottino cinese ci sono su seta uccelli simili a quelli della stanza di palazzo Gerini, a Firenze, dove ho lavorato negli ultimi anni. Tutto, per misura, gusto e continuità, spaziale e luminosa, con la natura circostante, mi dà una sensazione non diversa da quella già conosciuta in alcune ville palladiane. Uscendo, nel costeggiare il bosco alto e fitto e i laghetti brulicanti di zanzare, mi sono ricordato della taiga di Derzu Uzala di A. Kurosawa.
[ San Pietroburgo - Ermitage ]La giornata è sostanzialmente dedicata all'Ermitage. Ma è anche l'occasione per completare la visita di quella parte della città che dal lungo fiume, la Neva, alla Mojka, ricomprende palazzi, giardini, musei, monumenti, piazze, ponti, tutti costituenti quell'unica maestosa scenografia svelata il primo giorno. Partendo dal lungofiume meridionale (con le sue formidabili banchine in granito lunghe oltre due chilometri), infatti, gli spazi, i volumi, le forme paiono sempre mutare: in realtà si entra e si esce da una piazza all'altra senza soluzione di continuità rispetto alla medesima emozione rispetto allo stile e alla storia. Si passa dalla piazza del Palazzo del Senato; alla piazza del Palazzo d'estate di Pietro; a quella del cavaliere di bronzo (Pietro il grande, che uccide col cavallo il serpente del tradimento, è citato nell'omonimo romanzo di Puskin in cui si vive l'ossessiva visione della grande alluvione del 1824); a quella dell'Ammiragliato della marina russa (un gigantesco palazzo neoclassico, con un guglia dorata altissima, affacciato da una lato sulla Neva ed internamente su vasti giardini); alla piazza dei ribelli decabristi ( quelli che si sollevarono contro il regime zarista nel 1825 per ottenere una monarchia costituzionale), a sua volta collegata da un arco trionfale a quella immensa del Palazzo d'inverno (sede degli zar e poi del museo dell'Ermitage, con al centro la colonna della vittoria di Alessandro su Napoleone e soprattutto epicentro e sbocco naturale della rivoluzione sovietica); alla piazza di Sinij Most (in effetti è un ponte largo 100 metri) con al centro la gigantesca statua equestre di Nicola I, circondata dalla cattedrale di S. Isacco (contornata da 48 enormi colonne in granito rosso, ornata da statue e da una cupola dorata visibile da tutta la città; trasformata in epoca sovietica in tempio dell'ateismo), dal palazzo Mariinskij (in onore di Maria, figlia di Nicola I, ora sede del municipio di S.P.) e dal famoso albergo Astoria; un continuo passaggio senza che nulla pare mutare. Sembra di essere costantemente al centro di un medesimo scenario per grandiosità, magnificenza, splendore e ricchezza di storia.
Una splendida cornice prima di entrare in uno dei più grandi e importanti musei del mondo l'Ermitage. Il Palazzo d'inverno (del Rastrelli), il grande Ermitage, il piccolo Ermitage, tra la banchina della Neva e il canale d'inverno per lunghezza, dimensioni, eleganza di stile e colori, verde e oro, la sontuosità degli interni (scaloni, sala del trono, stanza della malachite, salotti, camere, ecc.), dei giardini pensili, sono di per sé prima ancora delle collezioni uno straordinario motivo di stupore. Sulle collezioni, da quella della pittura italiana a quella spagnola, francese e fiamminga (splendidi Rembrandt) e olandese, ai Canova, fino agli impressionisti, importanti per numero e qualità, non mi soffermo: è noto a tutti quanto il turista ne esca stupito e allo stesso tempo svuotato.
Prima di cena raggiungiamo il monastero di San Alexander. Nevskij, principe di Novgorod, eroe dell'indipendenza russa e per questo santificato. Nella piccola piazza antistante la statua a cavallo dell'eroe ricorda nel profilo Lenin a giudizio della guida, e a mio parere l'attore russo Cercassov nell'omonimo film di Eisenstein. Il monastero non è pari a quello di S.Nicola, anche se qui vivono monaci, molto ieratici, in tunica nera, alti e con capelli e barba lunga e a punta. Mi emoziona di più il vicino cimitero: in un piccolo, semplice bosco, sotto alti alberi, vi sono le tombe di Dostoevskij, di Ciajkoskij, di Musorgkij, di Rimskij-Korsakov, Glinka. Come è vicina la Russia!
Oggi altra giornata dedicata ad altre due residenze "imperiali", come usa dire la nostra guida tradendo in parte la mia aspettativa di sentire usare il vecchio termine zarista, che forse suscita echi più cupi ed antiquati.
A Tzarskoe Selo - villaggio dello Zar - ci accoglie un freddo artico e una lunga fila d'attesa; scopro dopo che il motivo è semplicemente quello delle pantofole di protezione dei pavimenti che tutti devono indossare. Questo è il palazzo di Caterina la grande. La dimensione dell'edificio centrale è pari a quella di Peterhof, progettato nel 1752 dal Rastrelli; anch'esso a due piani, con una facciata rococò, azzurro e bianco, lunga 300 metri, ma internamente corretto in stile neoclassico, prediletto dalla zarina, su progetto dello scozzese Charles Cameron.
Molto danneggiato dalla guerra è ancora in corso di restuaro, immediatamente iniziati nel dopoguerra su ordine di. Stalin. Il regime totalitario sovietico ne aveva paradossalmente bisogno, oltre che per far soldi, anche per insegnare al popolo la cupidigia e il vizio degli antichi padroni; e soprattutto perché il potere ha bisogno di usare certi simboli per la propria autocelebrazione e legittimazione! Ancora una volta resto interdetto da tanta contraddizione, o almeno i meccanismi del potere mi sono indigesti!
L'interno è lezioso e freddo, ridondante come lo è la celeberrima camera d'ambra ricostruita con finanziamenti riparatori della Germania. Le stufe sono capolavori di ceramica (in stile olandese) la sala da pranzo dei cavalieri, bianca e oro del Rastrelli, è ancora imbandita per i nobiluomini in attesa della zarina. Il pacato stile neoclassico di Cameron è in forte contrasto con gli eccessi barocchi del Rastrelli; nella sala da pranzo verde bassorilievi in stucco con motivi ispirati agli affreschi scoperti da poco a Pompei. La galleria di Cameron ispirato ad una villa rinascimentale in bugnato, con un peristilio neoclassico con 44 colonne ioniche, decorata con pietre di diaspro, malachite, agata, contiene busti di antichi filosofi, poeti e condottieri. La magnificenza del tutto si completa naturalmente col giardino e col parco: quello all'italiana, quello all'inglese, il primo della Russia fu proprio questo commissionato da Caterina. I giardini classici a sud del palazzo sono disposti geometricamente con viali a raggiera, parterre e terrazze, laghetti ornamentali, siepi, eleganti padiglioni, statue classiche. I bagni superiori, la grotta artificiale, l'Ermitage e il giardino all'inglese di John Bush, il grande stagno, il bagno turco, il villaggio cinese, il padiglione cigolante, il ponte a schiena d'asino, fanno di questo parco una fonte di molteplici e mutevoli emozioni, capace di donare allo spirito un senso profondo di benessere.
Nel paese del gelo duraturo, quello del clima, costante per quattro mesi, e quello dell'animo, con gli orrori e ingiustizie di cui è stato capace, il giardino qui a S.P. sembra essere il simbolo della contraddizione della sua natura e della sua storia. Segno di quella compensazione "primaverile" di rinascita, di disgelo, di amore e di matrimoni, che segue sempre il gelo invernale.
Pavlovsk (da Pavel o Paolo), è il palazzo estivo e il parco che Caterina donò al figlio e che fece progettare dal suo architetto prediletto C. Cameron. Il giardino all'inglese era molto in voga a quei tempi (1780): il suo paesaggio doveva essere reso il più naturale possibile da boschi, prati e laghetti. Era, inoltre, abbellito da ponti, padiglioni neoclassici e statue dell'antichità (c'è una copia dell'Apollo belvedere in un tempietto con colonnato, sopra una cascata in rovina; un tempio dorico circolare delle tre Grazie: luoghi di riposo lungo le passeggiate amene ai bordi dei laghetti e del fiume Slavjanka). Un parco che allo stesso tempo esterno ed interno al palazzo, giacché in ogni finestra è incorniciato un suo scorcio, un "quadro naturale" di serena armonia. C'è tutto il vedutismo inglese del '700!
La modestia degli appartamenti, rispetto a quelli "imperiali" di rappresentanza e simbolici del potere, è la chiave della progettazione inglese; ma è anche espressione del temperamento e degli interessi culturali di Caterina e della nuova, moderna Russia dell'epoca! Del resto la vedova di Paolo che completò i lavori era anch'essa tedesca e visse "spartanamente" come dimostrano i suoi tanti lavori domestici e manuali (dai mobili ai ritratti) e i tanti arredi - mobili, quadri, porcellane, lampade, tende, calamai, ecc.) di raffinato gusto inglese e francese. Il neoclassicismo nelle sue misure, nei suoi colori, nella sua luminosità, nelle sue fonti d'ispirazione classica (spicca il salone greco con le colonne in malachite) si pone casualmente come testimonianza affascinante e conclusiva di questo viaggio nato all'insegna dell'Europa.
Proprio qui godiamo il fuori programma del coro di canti popolari russi, di elevatissima qualità, di lenta, nostalgica, commovente potenza e dolcezza allo stesso tempo, nei classici toni e timbri russi. Un'altra esperienza capace di commuovermi; che mi svela, per la seconda volta durante questo soggiorno pietroburghese, l'animo autentico di questo grande popolo. Quale regalo più inaspettato e più bello! In un attimo rivivo vecchie emozioni, ideali, culturali e umane. Sapendo che siamo italiani ci donano uno straordinario bis.
A sera ceniamo in un ristorante di recente costruzione in legno, secondo il modello e le tecniche degli antichi edifici della Russia bianca, con travi di abete a vista, arredato con trofei di caccia, di cervi e orsi, con l'esposizione dei tradizionali prodotti dell'artigianato locale. E' il prezzo del turismo, specie quello organizzato! Sono passato rapidamente dall'autenticità al falso; sembra che ci si debba convivere.
Ultimo giorno. La città immensa pare contenga troppe cose importanti che non ho neppure intravisto; il programma prevede la visita al museo di antropologia e al museo russo, entrambi situati nella piazza delle arti già visitata nei giorni precedenti. Comincio ad orientarmi, a riconoscere, a fare mio, a familiarizzare di più. Il museo di antropologia è straordinario per ricchezza di documenti, stato di conservazione, fascino per la vastità e diversità delle culture documentate, da quelle siberiane, a quelle artiche, alle popolazioni contadine descritte nei loro lavori, costumi, usi, abitudini, processi lavorativi e tecnologici. Le foto di fine 800 dei gruppi umani nei villaggi, nelle case, al lavoro nei campi o nel bosco, sono tuttavia la testimonianza più toccante e indelebile. Inutilmente ne ho cercato il catalogo. Non verrei mai via.
Il museo russo è posto nel palazzo Mikhajlosvkij. Edificio neoclassico di Carlo Rossi, contiene una vasta collezione di pittura, scultura e arti applicate - scatole laccate, ceramiche, tessuti, arte folk - della Russia. E' un museo con collezioni da non perdere, ad iniziare dalle icone, quelle stupende di Andrej Rublev 1340-1430 (importanti per una riflessione sulla ineluttabilità di una ricostruzione storica della teologia; essa, infatti, attesta, attraverso la mancanza secolare di innovazione stilistico formale dell'arte sacra russa, la corrispondente mancanza di innovazione nei suoi rapporti con la storia umana e, in specie, con la teologia); per giungere alla pittura del '700-800, di chiara ispirazione europea, italiana, olandese, inglese, tedesca, ma anche di chiara matrice russa nelle atmosfere e nei toni romantici; alla corrente dei pittori "vagabondi" o itineranti impegnati socialmente nella trattazione delle tematiche russe (vedi i battellieri del Volga di Ilja Repin, la refezione al monastero di Periv di efficace denuncia delle ingiustizie sociali); per finire con le avanguardie dei primi del '900 (Chagall, Malevich, Kandinskij) che respingendo il concetto di "arte socialmente utile" sostennero quello di "arte pura e libera da vincoli".
Sulla strada del ritorno ci fermiamo per lo shopping: i viaggi, in ragione della distanza obbligano a comprare ricordini per sé e per i propri cari. Fa parte dell'organizzazione industriale dell'economia turistica. Solo per caso, dunque, ci fermiamo nei pressi non del convento di Smolnyj, pure meritevole di una visita con la sua cattedrale bianco-azzurro progettata dal Rastrelli; ma dell'Istituto Smolnyj.
Quest'ultimo eretto, su progetto neoclassico del Quarenghi, ai primi dell'800 come scuola per giovani nobildonne - tra le quali la bisnonna di uno del gruppo che mi accompagna seguendo i suoi avventurosi ricordi di famiglia! - fu occupato durante la rivoluzione. Infatti, fu qui che il 25 ottobre del 1917 Lenin orchestrò il colpo di Stato dei Bolscevici, mentre il secondo congresso panrusso dei Soviet si riuniva nella sala dell'assemblea. Il congresso confermò Lenin al potere e questa divenne la sede del governo fino al marzo del 1918, quando con l'avanzare dei tedeschi e lo scoppio della guerra civile il governo non si trasferì a Mosca e l'istituto divenne sede del partito comunista di Leningrado. Qui Kirov, il primo segretario del partito fu assassinato; e da tale evento iniziarono le purghe staliniane. Qui, ora sede del sindaco e dell'assemblea di S.P., sono ancora visitabili le stanze dove visse Lenin. Di lui c'è una statua in bronzo davanti alla facciata.
Ma tutto ciò, non solo nella mente della guida che ci accompagna, sembra "rimosso". Del resto è umano per chiunque, soprattutto per i popoli, esercitare il diritto alla vita, alla speranza, ad essere artefici del proprio futuro. La scenografia tragica di S.P. è muta, aspetta nuovi attori, aspetta che la cetra canti di nuovo la melopea, che i sogni dell'uomo e le sue passioni animino ancora una volta la civiltà e la storia umana.
[ acquarello di Milton Glaser per "I Racconti di Pietroburgo" di GOGOL ]Ora la Neva scorre limpida sotto il cielo del golfo di Finlandia, nessuno vive più col terrore del tradimento, della negazione della propria dignità, dei propri elementari diritti. Ma prima che il lutto sia stato elaborato dal popolo russo credo che occorra molto tempo: uno degli scandali dell'umanità è ancora negata. Del resto è comprensibile che i quadri del regime stalinista siano stati rimossi dal museo della Russia. Solo di Lenin è rimasto qualcosa, non a caso la città fu a lui dedicata; e forse in questo c'è del giusto se non altro come monito per chi sogna l'utopia! Giulia, la nostra guida, donna intelligente e colta, davanti alla distruzione dei palazzi "imperiali", ne ha addebitato la colpa alle bombe dei nazisti in fuga, non a quelle di Stalin, inseguitore e liberatore. Il senso di colpa è forte e l'orgoglio ferito; il bisogno di nascondere, di spazzare le ceneri e di lavare le macchie di sangue, l'affanno di dimenticare rapidamente la Russia povera e affamata, altrettanto forte. Due stati d'animo ancora in conflitto.
Per tutto ciò, mi è dispiaciuto non aver visitato il museo della rivoluzione al palazzo Ksesinkaja; per meglio vedere in faccia, per meglio capire l'oggi.
Al tardo pomeriggio ci attende "il lago dei cigni". L'idea sarebbe stata ottima se fossimo andati al teatro Marinskij dove pure avevamo prenotato; ma per motivi ignoti siamo dirottati in quello più piccolo di prosa (quello di Checov), gremito di un pubblico di turisti o forse è meglio dire di tifosi che ad ogni pausa esplode in calorosi applausi. Vestiti, scenografia e coreografia vecchi; l'orchestra inascoltabile fa il resto. Peccato!
Per fortuna all'uscita ritorniamo a piedi lungo i quattro chilometri del Fontanka. L'ora tarda ci dona un ultimo ricordo dell'atmosfera di questa straordinaria città. Lungo il canale, seduti sul muretto i giovani parlano, ridono e bevono birra; le automobili ormai rare sfrecciano veloci. L'acqua del canale illuminata dai lampioni e dalla pallida luce solare è tremula al leggero vento del Baltico. L'unione mistica tra natura e architettura che mi è parso cogliere in questi giorni si riflette nei toni rosa del cielo notturno che tutto colora: il grande spazio della Neva e delle sue rive, i suoi canali, le sue chiese, i palazzi, il verde dei parchi e degli alberi sporgenti sull'acqua.

L'indomani saliamo su un Tupolev nuovissimo, luccicante, pare appena uscito di fabbrica. Lo considero un buon auspicio. Tutto questo viaggio - testimoniato dalle contraddizioni della storia, e da me vissuto con questa lacerante divisione, di gioia, riconoscenza e di sofferenza - alla luce delle poche cose viste in modo superficiale, epidermico - mi ha aperto alla speranza.
E' giusta tanta rimozione? Forse sì, la velocità della storia è tale che non offre il privilegio di tempi lunghi per decidere da che parte andare. Tutte le vecchie divisioni, esitazioni, cominciando da quella storica tra svavofilia ed europeismo o occidentalismo, in tutti i suoi molteplici aspetti, anche in quello della fede (alternativa dalla quale la stessa storia letteraria e politico-sociale di fine 800 sembrava essere giunta al traguardo risolutore; per poi essere negata per 70 anni), sembrano ora travolte. La percezione che ho avuto è quella di un popolo che vuole essere europeo, che già si sente tale e soprattutto che noi sentiamo di nuovo tale, e non solo perché anch'esso protagonista della globalizzazione. Qualcosa di più della percezione, se è vero che quanto si intuisce, seguendo la voce del cuore, spesso risponde a verità.

 

Quercianella, agosto 2003

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