" Buone notizie.
Punto primo hanno arrestato quelli che hanno fatto l'agguato.
Di conseguenza tu non sei più in pericolo e la notizia
scomparirà dai giornali per cui puoi ritornare a casa.
Punto due, forse questo lo sapevi già, l'affitto della
casa era già stato pagato fino alla fine dell'anno con
contratto regolare.
Punto tre ti ho riportato le tue cose e infine non hai più
l'obbligo di fermarti in città. Già da stasera,
se vuoi..."
Deiva lo interruppe con un gesto deciso della mano; Salvo rimase
interdetto e le porse i fogli, con fare spiccio e mala grazia.
Poi si mise a puntare un veliero sottovetro con un piccolo e buffo marinaio. Anacronistico
in quel posto.
Lei non guardò i fogli si voltò, invece, verso
Suor Teresa per chiedere quanto poteva rimanere lì. Non
aspettò la risposta e cominciò a piangere in quella
sua maniera sommessa.
Salvo, finita l'osservazione minuziosa del veliero, rimaneva
impettito davanti a lei con gli occhi nocciola chiaro sgranati,
le narici dilatate e la fronte percorsa da quattro piccole pieghe.
La consolò Suor Teresa mentre Deiva ripeteva che non era
pronta...che quella casa ... e poi cominciò a singhiozzare
e a parlare nella sua lingua.
La sorella di Salvo le teneva le mani e appena la vide più
calma disse che la regola, uguale per tutte, era il soggiorno
di una settimana. Poi subentravano altre strutture o altre soluzioni.
C'erano delle eccezioni ma non riguardavano il suo caso.
Comunque aveva ancora quattro giorni per pensarci e quindi si
asciugasse le lacrime!
Fra l'altro Nora quella sera stessa andava via: sarebbe rimasta
giorno e notte dall'anziana signora: si erano piaciute. Che fortuna:
aveva trovato lavoro ed alloggio! Avrebbero avuto più
spazio in camera lei e Martina con il piccolo. E poi per un'emergenza
c'era sempre il letto da tirar giù.
Su via le cose piano, piano si aggiustano, non è vero
Salvo? Ma lui continuava ad essere corrucciato e non disse nulla.
Deiva mandò due o tre grossi sospiri poi si alzò
lentamente e andò a chiedere scusa a Salvo che se ne stava
a guardar fuori dalla finestra. Lo ringraziò anche e lui
disse che si sentiva una bestia per non aver capito che quella
casa le ricordava cose brutte successe appena tre giorni fa.
Dentro di sé si giustificò: in fondo non conosceva
niente di lei, a parte quel che c'era scritto sulle scartoffie
burocratiche e la sua bellezza prorompente e discreta insieme.
Misero su una specie di
merenda cena che doveva essere una festa per Nora. Salvo se ne
era andato quasi subito.
Ballarono anche.
Si era a primavera inoltrata e da qualche giardino vicino veniva
un intenso odore di tiglio; forse c'era anche l'odore del gelsomino.
L'aria era tiepida; i rumori del traffico arrivavano ovattati.
Nora raccontava
com'era la casa dove si trasferiva. Elencava, stanza per stanza,
minuziosamente gli oggetti che vi si trovavano. C'era un sottile
tono di malinconia e di esaltazione insieme nella sua voce. Godeva
di essere al centro dell'attenzione. E fece furore quando descrisse
il figlio della signora anziana che una volta la settimana veniva
a trovarla e si fermava a cena. Era un bell'uomo, a detto di
Nora, sulla cinquantina con la testa tutta rapata, come usa ora,
ci tenne a sottolineare, dal portamento elegante e dai modi affabili.
E come parlava e come si vestiva e il colore degli occhi e...
Qualcuna domandò come mai non tenesse con sé la
madre, se fosse sposato che lavoro facesse. Rispose solo che
era la madre che non voleva muoversi dalla sua casa.
Quando Nora se ne fu andata
con una valigia azzurra con le ruote che le suore le avevano
donato e con gli auguri di buona fortuna di tutte, si misero
a riordinare la cucina.
Regnava il silenzio: ognuna era ritornata ai suoi pensieri: Nora,
con il suo raccontare le aveva piacevolmente distratte. Aveva
fatto per loro una piccola recita: raccontava ma anche faceva
gesti, si muoveva sulla scena di quella stanza interpretando
via via quello che andava descrivendo. Le aveva catturate e Suor
Maria Ida aveva detto che doveva fare l'attrice altro che badante!
Tutte avevano riso e battuto le mani. Indossava il suo abito
migliore ed anche un filo di perle. Al braccio una borsa di stoffa
che aveva confezionato da sé mentre stava lì dalla
vecchia signora.
La donna incinta, seduta
vicino al lavello, asciugava le stoviglie e le passava a una,
che pareva una zingara e veniva tenuta un po' in disparte, che
le appoggiava sul tavolo da dove Suor Lodovica le prendeva e
metteva a posto.
La
zingara, chiamiamola così, era l'unica che emetteva un
suono: canticchiava una nenia facendo muovere il gonnellone fatto
con due diversi tipi di cotone. Davanti tutto a fiori accesi,
dietro colore del cielo nuvoloso. Aveva bei capelli neri raccolti
con due fermagli. Tutto ad un tratto anche se di stoviglie ce
ne erano ancora, se ne andò. Ballonzolando. Nessuna la
richiamò indietro.
Fabio aveva dormito tutto il tempo così che anche Martina
aveva partecipato alla festa. Le sue ferite, almeno quelle esterne,
si rimarginavano a vista d'occhio: era giovane Martina! Lei spazzò
e chiuse i sacchi dell'immondizia che Suor Marta portò
fuori.
In camera, con i vetri spalancati
per far entrare la brezza della sera, commentavano i racconti
di Nora. Entrò Suor Marta, la più giovane e vedendole
sedute sullo stesso lettino disse:
" Che bella coppia! Oltretutto una ha il lavoro e l'altra
la casa!" e fece cenno di aiutarla a risistemare la camera
Suor Teresa che era apparsa senza far rumore, batté le
mani richiamando al silenzio e alle regole la giovane sorella.
In un baleno le quattro avevano riportato la camera a due letti
e il lettino di Fabio troneggiava vicino al finestrone.
" Hai un lavoro?" chiese sorpresa Deiva
" E tu una casa?" rispose ridendo Martina facendo con
le mani il segno di un tetto sulla testa.
Annuirono entrambe. Ma la conversazione morì subito. Forse
al buio, sotto le coperte si sarebbero dette qualcosa di più...
ora avevano il cuore gonfio.... proprio per quella casa e per
quel lavoro.
Invece...... dormirono e sodo. E l'alba o forse l'aurora portò
nuove cose.
Nessuno aprì la porta
per vedere che succedeva: queste erano le regole. Certamente
tutte erano sveglie! E quasi certamente origliavano dietro le
porte. Gli urli erano altissimi. Venivano da una giovane voce
che infilava una parolaccia dietro l'altra, che non voleva saperne
di essere lì: sembrava fuori di testa. Non si sentiva
che lei; tutta la casa ne era piena. Ma dal tramestio fra un
urlo, un'imprecazione e un tonfo di qualcosa che veniva ripetutamente
sbattuto per terra, si capiva che c'era qualcun altro che probabilmente
tentava di calmarla.
Martina seduta sul letto tremava come una foglia e si copriva
le orecchie con forza ripetendo oh! no oh! no..... poi è
scappata in bagno a vomitare.
Il piccolo,beata innocenza, continuava a dormire sotto al finestrone.
Sul tavolino accanto al letto della mamma era già pronto
un bel biberon nel suo scalda-biberon. Deiva lo fissava. Metteva
allegria tutto pieno di figurine, stelline, pupazzetti.
Lo aveva visto preparare la sera con una cura ed un attenzione
incredibili e nello stesso tempo con la maestria e la leggerezza
dei gesti quotidiani. Anche Fabio, che era in braccio alla donna
incinta, guardava la scena e batteva le manine grassocce con
evidente piacere.
Di là, nel corridoio,
le urla si andavano attenuando e Martina era tornata a sedersi
sul letto guardando fissa il lettino del suo bambino.
La faccia di Martina era una faccia terrorizzata. Disse:
" Mi sento come una naufraga in mezzo al mare"
" Io lo sono stata davvero" piagnucolò Deiva
e al ricordo le vennero i brividi.
Nemmeno allora scattò il momento magico delle confidenze.
Si mossero come automi e fecero tutte le solite cose che si fanno
al mattino quando ci si sveglia...in tempi normali.
Fabio si succhiò in un baleno tutto il suo biberon e ripulito
e sazio, gratificò la madre di gridolini, tentativi di
paroline a base di DA TA MA.
Era successo tutto come un temporale estivo. D'improvviso tuoni,
fulmini e saette; scrosci violenti di acqua, poi un borbottio
che si allontana e infine una grande pace, un grande silenzio
e il profumo della terra ristorata.
A Deiva continuava a venire alla mente un pezzetto del canto
che le suore avevano fatto la domenica in chiesa:
- Vagavano nel deserto,
nella steppa,
non trovavano il cammino
per una città dove abitare -
E poi, più in là,
cantavano:
- Ma poi cambiò
il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d'acqua.
là fece dimorare gli affamati
ed essi fondarono una città dove abitare -
Non sapeva che pensare.
Speranza od illusione? Chi era costui che faceva tutte queste
belle cose? Dove se ne stava? Bisognava chiedere o ci pensava
lui? Era per tutti o......
Ad un certo punto, come
per un tacito accordo, le porte si aprirono e uscirono a far
capolino teste di donna.
La nuova era lì su una poltrona del corridoio ricoperta
amorevolmente di un plaid. La testa, dipinta come l'arcobaleno,
reclinata sul bracciolo. Un corpo minuto e giovane come afflosciato
sulla poltrona color verde marcio. Un taglio di capelli spigoloso,
ribelle, di lunghezze diverse che richiamava la voce urlante
di poco prima. Dal plaid veniva fuori un braccio scarno con una
fila di cuoricini con nomi di uomo che terminavano sulla scapola
racchiusa da un tatuaggio che rappresentava una grande conchiglia.
Alle narici e alle sopracciglia comparivano degli anelli minuscoli.
Quando si ritrovarono per
la colazione non c'era nessuna faccia nuova. La ragazza arcobaleno
dormiva ancora.
Tra le vecchie facce regnava come una cappa cupa che non poteva
essere dissipata perché non si poteva chiedere niente.
Si parlava, o meglio si smozzicavano parole, sottovoce, per tema
di svegliare la nuova e di ritrovarsi sotto un altro temporale.
Si parlava di tutto e di niente.
Sembrava fossero passati mesi dal clima che appena la sera avanti
regnava in quella casa sotto l'influsso magico della recita di
Nora e del fatto che una ce l'aveva fatta.
Tutte avevano ancora nelle orecchie le urla e le parole di rifiuto
verso il mondo intero: pesavano...eccome se pesavano.
Le suore erano taciturne ma serene. A causa di quel canto? Per
Deiva questo era irritante e da invidiare insieme.
Nella mente di tutte c'era l'interrogativo: cosa aveva reso la
ragazza tanto disperata ed arrabbiata?
Non era dato saperlo a meno che .........
" E' venuto il medico.
Chiede se vuoi un nuovo certificato per una settimana o se ti
senti di riprendere il lavoro."
Era la voce di Suor Teresa e Deiva si fermò, furtivamente
per ascoltare. Pensava riguardasse Martina e non si sbagliava.
La voce di lei arrivò come da sotto un macigno che le
chiudesse i polmoni.
" Vorrei tornare. Ma ho due problemi. Uno che lì
tornerà a cercarmi e a minacciarmi l'uomo con il quale
convivevo e che mi ha ridotta così. Può essere
pericoloso anche per il mio bambino.... non è figlio di
lui.
Secondo se torno a lavoro non so dove lasciare Fabio; dimenticavo
che non so dove andare a stare"
" Dunque fino all'anno del bambino puoi stare qui e quindi
è risolto anche chi lo guarda e poi troveremo la soluzione
alloggio e asilo nido per Fabio.
E' vero quello che dicevi che potresti essere rintracciata sul
luogo di lavoro; ci avevamo pensato: sai è il nostro lavoro!
Abbiamo una certa esperienza, purtroppo. Penso che tu possa ottenere,
per motivi di salute o altro che studieremo, di essere trasferita
di sede. Per fortuna tua ... altri casi dobbiamo trovare un nuovo
lavoro addirittura. Che ne dici?"
" Non ci avevo pensato! Telefonerò subito alla responsabile;
credo sia facile. C'è una sede che a tutti resta scomoda.
Viene considerato una specie di punizione andarci! Potrei chiedere
di far cambio. Non ci avevo pensato! Che bello!"
Deiva si allontanò furtivamente come una ladra, ma un'idea
le era balenata in testa. Ci si cullò per qualche minuto,
poi la scacciò... era un'idea folle.
Vicino alla porta d'ingresso
stavano Suor Teresa e Martina con Fabio dentro un carrettino
a quadretti azzurri e rossi che era saltato fuori dal famoso
stanzone nel sottoscala da dove venivano anche i loro vestiti
e tante altre cose. Erano pronti per uscire. Fabio aveva una
bella tutina con una maglina sbracciata bianca e la sua mamma
una gonna di lino beige e sopra una camicia azzurra, con le maniche
arrotolate oltre il gomito. Appariva raggiante.
Suor Teresa incrociò lo sguardo di Deiva e le lesse nel
pensiero, come succedeva spesso.
" Vuoi uscire con noi?"
" Sì." Disse velocemente Deiva e accennò
al suo vestito come per chiedere se andava bene.
" Benissimo" disse ridendo Suor Teresa
" Addosso a te anche uno straccio fa figura" aggiunse
Martina
Non uscirono però dal portone ma da un ingresso secondario
sul retro del giardino che Deiva non aveva mai notato. Dava su
una specie di cortile con tante serrande abbassate che Deiva
immaginò fossero dei garage.
Poi svoltarono in un viale alberato: ecco da dove venivano i
profumi!
" Tigli" disse sempre più raggiante Martina.
Poi indicò del gelsomino, dei cespugli che spuntavano
da un terrazzo di spigo, del rosmarino e perfino un ciuffo di
ginestre dal solare colore.
" Sei un'amante dei fiori e una intenditrice" disse
Suor Teresa
" Non saprei. Ma la natura mi piace. Più quella spontanea
che.."
Non finì il discorso erano svoltate di nuovo; ora si trovavano
in una piccola piazza e Martina correva verso una cabina telefonica.
" Ecco fatto! Non ci crederete ma ho ottenuto con una semplice
telefonata il cambio del posto di lavoro. Naturalmente devo aspettare
la delibera ma dalla prossima settimana posso cominciare. Evviva,
si cambia!" E coprì di baci le manine cicciotelle
del bambino.
" Deve essere un brutto posto se hai trovato il cambio così
facilmente; sei sicura di volerci andare?"
" E' scomodo. E' previsto poco personale e invece c'è
molto lavoro. A dire il vero è anche brutta la sede: non
è mai stata ristrutturata o migliorata. Ne ho passate
di peggio...non trova?" disse scura in volto e girò
bruscamente il carrettino verso casa.
Suor Teresa non mollò.
" Dove si trova esattamente?"
" Nei pressi di Piazza Risorgimento"
" Decisamente dall'altra parte della città! Ti ci
vorranno due mezzi."
" E che sarà mai! Per andare a scuola facevo un tratto
in bicicletta; poi il treno, poi l'autobus...se avevo soldi,
se no, a piedi! Non sono nata nella bambagia e dopo..."
le si smorzò la voce.
" Sai usare il motorino?"
" Mai avuto uno. Ma s'impara. Il problema è che il
motorino .."
Suor Teresa non la lasciò finire.
" C'è! C'è! Sei piena di risorse ma anche
astiosa. Lascia la rabbia..."
Questa volta fu Martina a tagliare
" Lascia le prediche! Per te è tutto più facile;
che ne sai?"
" Se era più facile potevi scegliere la mia strada
e in quanto a sapere...eccome se so"
Deiva aveva seguito poco questa conversazione. Quando si zittirono
e Martina aveva chiesto scusa di aver dato del tu a Suor Teresa,
lei se ne uscì con questa domanda:
" Viale Mazzini è lontano dalla sede del tuo lavoro?"
" No a due passi ma che c'entra?"
Deiva non rispose; Martina non ci badò e rivolta a Suor
Teresa chiese se c'era un supermercato vicino: doveva comprare
pannolini e omogeneizzati per il bambino e qualcosa per sé.
Lasciarono il bambino a Deiva sulle panchine di un giardinetto.
Questa soluzione non piaceva molto alla mamma. Era diffidente.
Ma si lasciò convincere dalla suora. Deiva era rimasta
molto male e pensò che l'idea che le frullava in testa
era proprio poco realizzabile. Ma poi perché voleva far
questa cosa?
Fabio si era addormentato. La signora sulla panchina vedendola
in difficoltà per abbassare il carrettino le dette una
mano, le sorrise e poi riprese il discorso interrotto con l'amica.
Parlavano di finestre che non chiudevano bene; lasciavano filtrare
la luce di un lampione di strada che si trovava proprio di fronte
e così non potevano dormire.
Deiva volò molto indietro con i ricordi. Suo padre aveva
fatto il diavolo a quattro quando nel paese era arrivata la luce
elettrica per le strade perché il lampione venisse messo
sul muro di casa sua. E tenevano aperti i portelloni per usufruire
di quella luce! Quanti libri aveva letto ........ Quanto aveva
fantasticato e quanto lontano se ne era venuta da quella luce.....
Suor Teresa disse che era
meglio si dividessero: Deiva sarebbe rientrata dal portone secondario;
Martina dall'altro e lei con il carrettino le avrebbe seguite
più tardi: doveva passare dalla farmacia.
Di nuovo Martina fece capire la sua disapprovazione ed ansia,
ma cedette. Mise nel cestino del carrettino gli acquisti e si
avviò a testa bassa. Si girò più volte poi
il piccolo e la suora scomparvero alla sua vista. Emise un gran
sospiro che strinse il cuore anche a Deiva.
Deiva fece un po' di fatica a ritrovare la strada e le venne
addosso una certa inquietudine forse fu per questo che quei quattro
ragazzotti che davanti ai garage, con bottiglie di birra in mano
e due grossi cani a guinzaglio, erano intenti a prendere misure,
le misero paura. Nemmeno la guardarono però. Sgattaiolò
dentro il cancelletto usando la chiave che le aveva dato la suora.
Appena in casa fu letteralmente prelevata dalla giovane Suor
Marta per aiutarla a riporre della biancheria.
Entrò così nella camera delle suore.
C'erano sei lettini tutti uguali: tre da una parte tre dall'altra.
Intorno ad ognuno, in alto, un ferro infisso nel muro per due
lati con dei lenzuoli bianchi che cadevano giù. Nel corridoio
che rimaneva al centro e andava dalla porta alla finestra, molto
grande, tre curiosi tavolini con rialzo e rispettive sedie. A
fianco di ogni letto uno stretto e alto armadietto con la parte
centrale a giorno e due scaffali.
La giovane suora aprì un armadio a fianco della finestra.
E si fece passare la biancheria da metter via.
Tirò giù, poi, tutti quei lenzuoli appesi sopra
i letti e scomparvero.
" Sono letti a baldacchino, non ne avevi mai visti? Servono
per un po' di intimità"
Rise battendosi sonoramente la fronte con la mano aperta.
" Ho usato un'espressione non proprio adeguata"
Rise ancora mentre apriva un altro armadio accanto alla porta
vi prendeva una tovaglia e dei tovaglioli e li porgeva a Deiva.
Entrò con irruenza la zingara.
" Si bussa!" disse severa Suor Marta. Poi addolcendo
il tono chiese cosa volesse.
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