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NATURA DEL PIANO
Il Piano per la Regione di
Londra, basato
su questi assunti e predisposto in stretto accordo con il piano per la
Contea, deve necessariamente consistere di idee generali anziché
di proposte dettagliate. Se comparato con il piano di Contea e quello
per
la City è di natura estensiva anziché intensiva, e in
generale
le sue caratteristiche saranno ricettive e di sviluppo, anziché
di decentramento e ripianificazione. Ancora, questi due piani per
l’area
centrale sono largamente basati sulle richieste di due individuate
autorità,
naturalmente con i dovuti riferimenti ai vicini e ai corpi
amministrativi
di cui si compongono – per esempio i Metropolitan Boroughs. Il Piano
Regionale
è costruito sulla base di un numero di Contee, County Boroughs e
County Districts, molti dei quali con statuto di municipalità, e
della dimensione e importanza di distinti centri urbani. Il Piano
Regionale
non è la somma dei voleri e delle proposte di queste singole
autorità,
per quanto concepite secondo linee di pianificazione.
Abbiamo, è vero, ricevuto e
rivolto
la più viva attenzione alle “valutazioni del futuro”, che molte
di queste autorità ci hanno fornito: esse sono state di
eccezionale
importanza per illuminare i nostri primi passi nell’esplorazione
dell’area.
È sempre molto più soddisfacente, per il planner, avere a
disposizione proposte positive elaborate localmente, che essere
lasciato
completamente libero di farsi un’idea. Ci sono elementi imponderabili
di
rilievo che anche un’analisi scientifica perfettamente preparata
può
non registrare. Ciò è particolarmente vero quando si
tratta
di ampi tratti di campagna, e alle considerazioni di tipo agricolo si
aggiungono
quelle di carattere paesistico e anche quelle sentimentali: per questi
motivi, può essere meglio abbandonare anche possibilità
di
“apertura allo sviluppo” per mantenere determinate caratteristiche di
valore
per tutta la Grande Londra.
Per la stessa ragione ci possono
essere
perplessità nelle comunità più recenti e in
crescita,
per le quali l’idea di decentramento ha fatto intravedere prospettive
di
industrializzazione e incremento di popolazione – la lodevole e
naturale
ambizione di una energica autorità locale che si sente capace di
misurarsi con un’enorme crescita e dirigerla attraverso canali locali
dentro
il pieno flusso della prosperità nazionale. Abbiamo anche
osservato
in certi ambienti la tendenza a immaginare che nel momento in cui la
guerra
finisse Londra riprenderebbe il processo di assorbire sproporzionate
quote
di sviluppo nazionale (che può rappresentare un incremento in
un’area,
controbilanciato da un corrispondente decremento altrove, anche se non
necessariamente un letterale trasferimento). Per queste persone, Barlow
potrebbe non aver mai presentato il suo rapporto, né il tasso di
natalità aver mai gettato l’ombra della diminuzione. Ad un certo
punto delle nostre ricerche, sarebbe stato possibile aggiungere le
fiduciose
previsioni di intraprendenti autorità, per una popolazione
metropolitana
fortemente incrementata. Quindi ci sarà, inevitabilmente,
qualche
perplessità: ci potrà anche essere, all’inizio, qualche
sorpresa
di fronte alla raccomandazione di abbandonare i grandi piani di
costruzioni
residenziali non coordinate, che avanzavano di gran carriera in ogni
direzione
attorno a Londra. Il familiare argomento secondo cui siccome c’è
una tale carenza di sistemazioni residenziali a scala nazionale,
qualunque
casa, di qualunque dimensione, ovunque costruita (e a volte comunque
costruita)
è un contributo da accettare con gratitudine e senza troppe
domande,
non deve più valere. Né i conseguenti brontolii delle
Società
Civiche e di Conservazione per il modo con cui le case sono state
realizzate
– sparpagliamento, incoerenza, basso livello di progettazione, totale
assenza
di unitarietà – devono essere presi come commenti privi di
relazione
l’uno con l’altro. Questo Piano propone una concezione totalmente
diversa
del programma di gigantesca ricostruzione centrale e decentramento
della
nuova edilizia che Londra nel suo insieme si troverà ad
affrontare;
uno sforzo che richiederà la cooperazione di tutte le
organizzazioni
legate all’edilizia, tecniche e finanziarie, per realizzarsi. Ci sono
anche
errori da correggere: in alcuni casi la localizzazione industriale
senza
dovuta considerazione di tutti i fattori; in altri, raggruppamenti
sciolti
e instabili di attività correlate, ma non coordinate; ancora,
proposte
per urbanizzazioni (su basi abbastanza appropriate) senza
considerazioni
riguardo al valore agricolo; e più frequenti di tutte, vaste
aree
di residenza che non possiedono né unitarietà, né
confini definiti. Siamo stati parsimoniosi nelle nostre proposte di
demolizione
totale e immediata, e in alcuni casi abbiamo usato il suggerimento di
Uthwatt
di concedere un periodo di “vita”. Siamo stati, naturalmente, attratti
dai progetti non ufficiali che proponevano demolizioni all’ingrosso di
intere comunità, vecchie o nuove, che interferivano con la
simmetria
dei propri schemi: ammiriamo certo l’audacia di un’organizzazione che
propone
come primo passo per la ricostruzione nazionale l’abbattimento di
400.000
case di recente costruzione. La nostra impostazione è più
modesta: abbiamo smorzato, contenuto, quanto appariva decisamente
sbagliato
ad un esame approfondito, anche quando è stato profuso denaro in
servizi preliminari – e si vedrà che questi contenimenti
interessano
opere di autorità locali, enti pubblici e imprese private. Ma
dovunque
possibile abbiamo mostrato come sia fattibile il recupero e
l’integrazione
di quanto consideriamo sbagliato.
Questi e altri più
costruttivi
studi di dettaglio sono stati realizzati esclusivamente come esempi, al
fine di illustrare le nostre proposte generali. Non c’è stato
né
il tempo né il personale necessario a produrre raccomandazione
dettagliate
a scala dell’intera Regione: né sarebbe stato corretto o utile
usurpare
gli sforzi dell’iniziativa locale. Si può dire che quasi ogni
città
o comunità nella Regione abbia bisogno in qualche misura di
ripianificazione
delle zone centrali: se si tratta di un borgo congestionato c’è
bisogno di una completa revisione dello stato di fatto residenziale e
industriale;
se ha sofferto di distruzioni, non c’è bisogno solo di una
politica
di decentramento, ma di immediati piani di ricostruzione con nuovi
standards;
se si tratta di un borgo “esterno” che è destinato ad accogliere
popolazione e industria aggiuntiva decentrata, ci sarà bisogno
di
un approfondito esame del suo centro di affari, commerciale e civico;
molte
di queste città esterne sono cresciute negli ultimi 25 anni
attraverso
grandi aggiunte suburbane, restando nel cuore antiquati centri di
campagna,
con il centro commerciale esteso con sviluppi a nastro lungo le arterie
di traffico principali, o con un’intensiva ricostruzione sul sito
originario
senza alcun riguardo per il traffico aggiuntivo che si generava: anche
le località che non si sono grandemente accresciute e che
potrebbero
voler preservare la propria integrità cittadina, hanno avuto le
proprie strade principali trasformate in vie di traffico che nei fine
settimana
può raggiungere picchi di frenesia tali da massacrare, storpiare
gli abitanti, e scuotere a pezzi gli antichi edifici; l’attenuazione di
tutto questo nella zona esterna, deve essere accompagnata da una
ripianificazione
delle aree centrali che riconosca come un distretto commerciale non
debba
essere un’arteria di traffico.
D’altra parte, se si assume uno
sguardo
ampio e selettivo, non è naturalmente sufficiente indicare X
acri
di terreno, all’interno di una certa cerchia di Londra che, ad una
densità
di Y persone potrà alloggiare e dare lavoro all’intera
popolazione
della Grande Londra ad una densità sbalorditivamemente bassa. Ci
sono vaste aree che nell’interesse di Londra nel suo insieme devono
essere
mantenute come riserve di spazi aperti, e i trasporti e altri servizi
non
sono ovunque ugualmente presenti. I siti disponibili per città
completamente
nuove sono sorprendentemente limitati. Se si deve tentare l’esperimento
di un reale e radicale decentramento creando un certo numero di
città
nuove e ingrandendo alcuni centri esistenti, deve essere posta ogni
attenzione
al fatto che siti e centri contengano in sé i semi del successo.
Il bisogno di stimoli artificiali è un segno di debolezza,
trascorsa
la fase di infanzia civica. Le condizioni capaci di assicurare il
successo
nella creazione o ingrandimento di città sono state
accuratamente
studiate da tutte le angolazioni: la dimensione delle comunità;
la loro interrelazione e separazione l’una dall’altra; la loro
connessione
con fonti di approvvigionamento di materie prime e coi mercati; la loro
capacità di attrarre persone a viverci e industriali e
imprenditori
a lavorarci; la loro capacità ad accogliere alcuni affari e
lavori;
il loro equilibrio fra varie occupazioni, e il lavoro maschile e
femminile;
i loro mezzi di trasporto, per via aerea non meno che per altre vie;
l’adattabilità
topografica dei siti, ecc. La complessità è immensa, ma
è
affare dell’urbanistica valutare l’importanza dei molti fattori in
gioco,
per giungere a un equilibrato giudizio.
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