Marco Bellarba: " Il principato vescovile di Trento e i Madruzzo: l'Impero, la Chiesa, gli Stati italiani e tedeschi"

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Il barone Max Sittich von Wolkenstein, un nobile della contea tirolese, scriveva nella sua cronaca verso la fine del XVI secolo che i Madruzzo erano in assoluto la famiglia più influente dell'episcopato.

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La testimonianza più tangibile e più irritante della potenza madruzziana si era manifestata in un primo tempo nella nomina di Ludovico (nipote di Cristoforo ndr.) a coadiutore con diritto di successione, un atto che scavalcava le prerogative elettorali del capitolo e con esse tutti i poteri di veto messi in campo solitamente dagli Asburgo tirolesi per dirigere i voti canonicali sui loro candidati. La rabbia dei dinasti austriaci era per altro del tutto condivisa da una fazione della nobiltà locale; una lettera fatta arrivare da Trento a Ferdinando I nel 1563 chiedeva l'intervento dell'imperatore per bloccare la successione da Cristoforo al nipote: "... in ogni evento meglio saria che Sua Altezza con questa o oltra occasione vedesse con ogni modo di spingere casa Madruza de questo grado, il che saria cosa laudabile [....] essendo di natura tiranni li Madruzzi". non era accaduto nulla; né si avrà più fortuna con i successori di Ludovico, Carlo Gaudenzio e Carlo Emanuele, anche loro in gradi di scansare la trafile elettorale del capitolo tramite lo strumento della coadiutoria; le bolle che concedevano ai due ultimi Madruzzo il diritto di successione, a Carlo Gaudenzio nel 1595 e a Carlo Emanuele nel 1622, avevano incontrato opposizioni durissime specie in mezzo ai canonici, ma non si era mai riusciti a convincere la burocrazia cardinalizia che non vi fossero i requisiti di urgens necessitas o di evidens utilitas chiesti dal diritto canonico per ammettere una coadiutoria vescovile. [......] Una cartina delle dispense curiali tracciata nella Germania del secondo Cinquecento avrebbe posto in risalto l'esistenza di un grappolo non troppo dilatato di beneficiari :[.....] Asburgo [.....] Wittelsbach [.....].

Il caso dei Madruzzo, un monopolio della carica vescovile durato dal 1539 al 1658, non si poteva iscrivere a nessuna di queste categorie, ne assumeva certo alcuni tratti, aggiungendone però altri del tutto peculiari. L'origine e la fisionomia ponevano il casato trentino nei ranghi di mezzo della scala aristocratica; l'emersione veloce di Gian Gaudenzio tra la nobiltà vescovile e tirolese non poteva cancellare l'esistenza di un passato familiare così esile per antichità da soffrire il confronto con le altre famiglie della stessa val di Non, i Thun, gli Spaur, i Kuehn di Belasi; separavano inoltre i Madruzzo dalle grandi consorterie nobiliari residenti nel Trentino meridionale, gli Arco, i Lodron, i Castelbarco, quelle facoltà di mero e misto imperio esercitate nei loro estesi feudi giurisdizionali.

Cristoforo, Ludovico e Carlo Gaudenzio avevano supplito alle povere digressioni a ritroso della loro genealogia soprattutto con il reticolo fittissimo delle alleanze pontificie. La propensione curiale dei primi tre Madruzzo, spintasi simbolicamente a scegliere come luogo di sepoltura non più il duomo di s. Vigilio bensì la chiesa romana di s. Onofrio, la migrazione cadenzata,[......] verso i palazzi costruiti con spese enormi nella città vaticana, il traguardo obbligato del galero cardinalizio, costituirono una scelta di campo nettissima e di profonda rottura con una tradizione diocesana che si era sentita sempre legata alla sfera imperiale.

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Sarà un sintomo di stanchezza la mancata nomina di Carlo Emanuele e la sua ininterrotta residenza trentina; un segno pericoloso per il destino di una famiglia che del viaggiare aveva fatto quasi una vocazione.

A fianco dei prescelti per la carriera ecclesiastica infatti, un'efficace strategia familiare aveva sempre affiancato numerosi fratelli e nipoti dediti alla professione militare. Colonnelli dell'esercito imperiale [.....] comandante supremo di tutte le milizie tirolesi [.....] esercito sabaudo [.....] al comando nel 1561 di seimila fanti tedeschi [.....].

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Le intrecciate ramificazioni matrimoniali dei Madruzzo lambirono lo spazio italiano, dopo gli Challant, gli Orsini e gli Altemps,[.....] tenere in vita le unioni dinastiche più consuete a un ceppo vescovile, quelle con i Trautson, i Wolkenstein, gli Spaur, i Fugger, una prosecuzione di legami che era indispensabile per il radicamento del casato. Nonostante l'ostinata ricerca di alleanze esterne, rimase in tutti i Madruzzo la percezione che fosse necessario non esaurire la fonte prima del loro potere, non privarsi di un retroterra fidato di uomini e di ricchezze materiali. Il patrimonio della famiglia che contribuii in grandissima misura ad alimentare i matrimoni forestieri, le missioni diplomatiche, non ultime le stesse coadiutorie strappate in curia,era davvero immenso; computando i beni dell'asse dinastico più antico con i benefici feudali ceduti dai vescovi ai propri congiunti, i Madruzzo possedevano il castello omonimo, quelli di Nanno, di Mani, di Toblino con i dazi e le decime delle loro pertinenze, i castelli di Avio e Brentonico con l'intera giurisdizione dei Quattro Vicariati, i palazzi delle Albere e di Cognola a Trento, i dazi delle Sarche e di Vermiglio, livelli e affitti a Riva, Arco e Tenno, diritti d'estrazione nelle miniere del Cadore. Una concentrazione di ricchezze così rastremata nel numero dei suoi padroni era non solo inusuale per il territorio vescovile ma pericolosa, scriveva il capitano di Trento Pankraz Kuehn nel 1563 all'imperatore Ferdinando: fossero poi riusciti a comperare la signoria pignoratizia di Pergine-come molti temevano tutto il territorio sarebbe stato racchiuso e completamente ricoperto dalle loro case: [....].

 

 

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