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Spiegare la musica
Ho
aperto il vocabolario di italiano (Zingarelli) alla parola musica
e guardate cosa viene fuori: arte di combinare più suoni
in base a regole definite, diverse a seconda dei luoghi e delle
epoche e bla bla bla…
Ma che razza di spiegazione è? Certo è una definizione
“ad litteram” … ma io in questa parola ci
sento qualcos’altro. A primo impatto, mi viene da dire
che la musica è la fonte delle emozioni più sensibili
di un corpo, la vibrazione che assale lo spirito di chi ascolta,
un’insieme di energia e vitalità che ognuno esterna
in maniera diversa.
Mi dissocio da coloro che pensano che la musica si possa scindere,
che un genere musicale sia distinto da un altro; è solo
la sonorità che appare diversa, ma le emozioni sono le
stesse, e ne sono convinta.
Quando ascolto un brano dei “Buena Vista Social Club”
io rimango come imprigionata dal ritmo che imprimono ai loro
strumenti, dai suoni melodici e semantici, per non parlare della
lirica dei testi. Ci sento la vita di Cuba, assaporo il passato
di questa terra sfortunata che ho imparato a conoscere grazie
a loro, una compagnia di vegliardi che hanno superato da tempo
gli ottanta, ma che posseggono dentro un dinamismo da far invidia
all’ultimo dj improvvisatosi cantante. Un gruppo che ha
perso da poco un elemento importante come il maestro Compay
Segundo e la voce meravigliosa di Celia Cruz.
Compay è stato, per alcuni anni, parte integrante del
gruppo ed è diventato senza volerlo l’anima e l’immagine
dei Buena Vista anche se negli ultimi tempi le sue apparizioni
erano sporadiche anche se intense.
Per definire i Buena Vista o, meglio la natura della loro musica
ho pensato di riportare una citazione di Compay Segundo quando
gli chiesero com’era nata una delle sue canzoni più
belle “Chan Chan” :
<<Mira, te voy a decir. Yo no compuse “Chan Chan”,
yo lo soñé. Yo sueño con la musica. A veces
me despierto con una melodia en la cabeza, oigo los instrumentos,
todo muy clarito. Me asomo al balcòn y no veo nadie,
pero la escucho como si estuvieron tocando en la calle. No sé
lo que serà. Un dìa me levantè escuchando
esas cuatro noticas sensibles, les puse una letra inspiràndome
en un cuento infantil de cuando yo era niño, “Juanica
y Chan Chan”. Y ya tù ves, ahora se canta en todo
el mundo. Serà magia o algo de eso, yo no sé.>>
(Traduzione: Ascolta, ti dico. Io non ho composto Chan Chan,
l’ho sognato. Io sogno la musica. A volte mi sveglio al
mattino con una melodia in testa, sento gli strumenti, tutto
è molto chiaro. Mi affaccio al balcone e non vedo nessuno,
ma ascolto la melodia come se la stessero suonando per strada.
Non so cosa ne verrà fuori. Un giorno mi alzai ascoltando
queste quattro note , le scrissi su un foglio ispirandomi ad
un racconto d’infanzia di quando ero un bambino “Juanica
y Chan Chan” e tu stesso puoi vedere, adesso si canta
in tutto il mondo. Sarà magia o qualcosa del genere,
io non lo so).
Così
Francisco Repilado Muñoz (vero nome di Compay Segundo)
scriveva anzi raccontava le sue canzoni, la sua musica. Ma così
nasce la musica della maggior parte dei musicisti cubani, come
pensiate sia venuta in mente a Joseito Fernandez la celebre
canzone “Guajira Guantanamera”?
Il motore dei brani di questi artisti è stata la loro
terra, la volontà di raccontare la storia di un paese
pieno di contraddizioni ma carico di vita.
Ho letto che il giorno dei funerali dell’amato artista
(Compay Segundo) la gente di Santiago de Cuba gli concesse l’ultimo
saluto cantando le sue canzoni e che una donna sugli 80 anni,
con le lacrime agli occhi, cominciò a ballare a ritmo
della musica che un terzetto di musicisti suonava davanti al
corteo funebre in suo onore. I bambini lanciavano dei fiori
dai balconi delle scuole e molta gente portò fuori dalle
finestre degli appartamenti le radio che risuonavano per strada
la canzone di Chan Chan e proprio in quell’istante chiunque
si fosse sintonizzato su un’emittente radiofonica di Cuba
avrebbe ascoltato solo questa canzone.
Anche questa è la musica e in questo scorcio di vita
cubana credo di aver dato un significato a questa parola.
Scusate se mi sono permessa di aprire una lunga parentesi parlando
di un gruppo in particolare ma non potevo esprimere la mia impressione
sulla musica senza citare chi a mio parere la musica la fa vivere.
Qualsiasi brano stiate ascoltando, qualsiasi nota aleggi nell’aria,
non fermatevi solo all’apparenza di un motivetto fischiettato
un po’ dappertutto, scavate dentro di esso, scoprite cosa
vi trasmette perché la musica è parte di noi,
c’è in ognuno, basta accostarsi un momento ad essa
e…la sentirete.
Certo è opportuno anche riconoscere la bravura di un
artista, non metto in dubbio e che in giro ci siano tanti ciarlatani,
ma è proprio per questo motivo che tocca a noi fare un
selezione precisa. Dentro l’arte, fuori l’inganno.
La musica del Festival dell’Aventino la potrei definire
“pura”, non contaminata da elaborazioni o artefatti.
L’intenzione è proprio quella di portare a conoscenza
di molti nuove sonorità, ascoltate raramente perché
non rientrano nella logica di un marketing orientato a imporre
sempre gli stessi schemi, sempre la stessa tecnica sentita e
risentita centinaia di volte. Al diavolo la globalizzazione
della musica!
Non permettiamo che ci impediscano di scegliere le nostre emozioni,
dobbiamo imporci sulle Majors, come? Andando oltre i generi
che ci propongono e fomentare manifestazioni come il Festival
dell’Aventino, incentivando i gruppi che non riescono
a emergere e partecipando attivamente alla loro crescita. Noi
ci stiamo provando, ci stiamo credendo davvero in questo progetto,
perché crediamo nella musica e finché ci sarà
la possibilità continueremo su questa strada.
Cinzia Di Iorio |
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