BOLLETTINO N°6

MARZO 1996


 

Le uova pasquali tra i simboli della fecondità

"No ghé Vènare Santo al mondo che la luna de Marso no àbia fato el tondo"

"No ghé xe venare santo al mondo che la luna de Marso no gàe fato el tondo"

Al Concilio di Nicea fu deciso che la Pasqua cadesse la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera.

Così da più di milleseicento anni questa grande festa cristiana è legata all'immutabile calendario lunare, come dire che il cristianesimo ha innestato questa suo fondamentale appuntamento di fede religiosa su un precedente e consolidato "patrimonio di conoscenze e di simboli" già ben radicato in molti popoli, tra cui il veneto.

Ma non c' é Pasqua senza uova: da dove questo legame?

Il richiamo alla prossima Pasqua è dovuto quindi ad una mia curiosità ne riscoprire questo legame (deformazione scontata in un avicoltore) ma soprattutto al desiderio di presentare al lettore il sincero augurio di viverla con serenità.

Ho ritrovato in "Paese veneto" di Ulderico Bernardi, Edizioni del Riccio, alcune pagine che rispondevano alla mia curiosità e ne ho inserito alcuni ampi stralci, in esse l'Autore svela il fitto intreccio di radici da cui emergono i significati di usanze e detti legati alla Pasqua. Altri contributi sono di "Civiltà rurale di una valle veneta - La Val Leogra", Accademia Olimpica Vicenza.

Riguardo all'iniziativa presentata nel Bollettino n°5, riguardante la raccolta di contributi dei lettori sulla alimentazione del pollame nelle nostre campagne in epoche passate, ho avuto notizia, da parte di alcuni lettori, di essere impegnati a raccogliere le informazioni relative, una lettrici mi ha fatto pervenire il suo lavoro e attendo ora di riunire il tutto per presentarlo in una opportuna impaginazione.

Qui anticipo il contributo del Prof. Fracanzani che accogliendo con favore l'idea ha riordinato le sue numerose memorie sull'argomento e mi ha consegnato lo scritto riportato nelle pagine seguenti.

Le ultime osservazioni che abbiamo compiuto in allevamento dell'Istituto sul gruppo di Padovane allevate in celle singole, come è stato detto nel numero precedente, sono redatte da Antonio Malacarne che recentemente segue più da vicino la conduzione degli animali.

A tutti grazie per la collaborazione, compresi i colleghi e gli studenti qui sotto indicati, di cui presenteremo il lavoro nel prossimo numero

Il collega Amadeo Bizzotto ha preparato un articolo sul compostaggio dei residui vegetali e animali dell'azienda o della casa, vi sottolinea il ruolo significativo della pollina (le deiezioni dei polli e avicoli in genere) nell'avvio di questo interessante processo naturale di produzione di terriccio.

La classe I^ A, coordinata dall'insegnante di Lettere Aldo Scuderi, ha accumulato del bel materiale sull'avicoltura rurale partendo dai ricordi di genitori e parenti anziani corredandolo poi con una ricerca, su dizionari e altre fonti, dei significati di vocaboli dialettali, epiteti (modi di dire) e proverbi attinenti all'allevamento del pollame.

 

Gabriele Baldan

(per la coordinazione del Progetto)


Come veniva praticata la alimentazione del pollame nel Veneto, 

prima del 1950

Ci pare interessante ricordare che il Consorzio Agrario Provinciale di Padova nell'anno 1950 costruì a Cittadella un moderno mangimificio in considerazione della importanza dell'avicoltura rurale nel Veneto. Prima di detta dalle massaie erano solite alimentare il pollame a seconda delle specie e dell'età dei volatili nella maniera che diremo di seguito.

Pulcini di gallina

Dal I° giorno di vita al 45°

Pastoncino di farina di mais, preferibilmente giallo, propinato in quattro pasti giornalieri. Il pastoncino che si otteneva con farina bagnata in poca acqua ( era regola che non dovesse attaccarsi alle mani della massaia preparatrice dell'impasto) veniva propinato i primi giorni, utilizzando piattini delle tazze di caffellatte, in piccole dosi affinché i pulcini si appastassero, richiamati con cura dalla chioccia, che attirava maggiormente la loro attenzione offrendo loro col becco briciole dell'impasto e con il suo tipico chiocciare. Dopo 4-5 giorni la chioccia era chiusa sotto il corbello, per non stancare i pulcini, che potevano però entrare ed uscire dalla criola a piacimento. Il corbello di vimini, costruito con le strope (rametti di salici di Borgogna, detti stropari) veniva impiegato su un terreno inerbito di solito con la chioccia rinchiusa per il periodo di due o tre settimane, dando così la possibilità ai pulcini di pascolare l'erba e di cacciare qualche insetto onde integrare con l'apporto di proteine, animali se offerte dagli insetti, vegetali se fornite dagli apici vegetativi delle erbe giovani, le carenze proteiche del pastoncino.

Raggiunti i 21 giorni di età la chioccia era lasciata libera, per dare modo ai pollastrini abbastanza impennati e capaci di seguire la madre senza eccessivi affaticamenti nel suo girovagare nelle aree pascolative. Ovviamente l'accrescimento dei nati era grandemente influenzato dall'andamento stagionale, favorevole se caratterizzato da giornate di sole ed, all'opposto, sfavorevole nelle giornate di pioggia in cui i pollastrelli dovevano tenersi al chiuso con sofferenza dei medesimi manifestata da continui pigolii in conseguenza della alimentazione non completa che ricevevano con il solo pastone.

Dopo le tre settimane il pastone veniva offerto ancora in recipienti vari, sotto la criola (corbello) per evitare che i polli adulti, liberi nei campi, avessero la meglio mangiando il pastone e fugando i pollastrini a colpi di becco, questi invece con l'accorgimento ricordato, potevano entrare in zona franca a mangiare sotto il corbello le cui aperture all'intorno erano di dimensioni tali da non permettere l'ingresso agli adulti.

Col passare del tempo oltre al pastoncino veniva ai pollastrelli granella di mais spezzata che dopo il 45° giorno di vita costituiva l'unico alimento propinato dalla massaia ai suoi protetti.

Di solito dopo il mese dalla nascita dei pulcini si allontanava la chioccia dalla chiocciata ormai autosufficiente e riprendeva a deporre le uova.

I pollastri già cresciuti venivano alimentati con granella intera di mais giallo, preferibilmente Marano ed a 90 - 100 giorni i galletti novelli, non utilizzati per il consumo familiare, erano destinati al mercato, già a fine giugno, per la ricorrenza di San Pietro, oppure castrati per ottenere dei capponi. La piena libertà nei campi consentiva al novellame di raggiungere un ottimo sviluppo, data la possibilità di pascolare le erbe e di cacciare insetti.

Anatrini

Nella maggior parte dei casi gli anatrini schiudevano sotto le tacchine cui venivano affidate le uova d'anatra per la incubazione naturale essendo le anatre domestiche dotate di scarsa attitudine alla cova. Agli anatrini le massaie erano solite propinare il pastoncino di cui si è detto, a proposito dei pulcini di gallina, solamente per un periodo di due o tre giorni, successivamente veniva rimpiazzato da radicchio tagliato sottile impastato con farina di mais. Le massaie erano abilissime nel preparare ceste di radicchio tagliato a mano, ed impastato per la prima settimana dei nati con farina di mais e successivamente con cruschello (semoeo, ndr) di frumento. Gli anatrini voracissimi, richiedevano grandi quantitativi di verdura tagliata che veniva preparata di volta in volta e loro somministrata.

Già a quindici giorni di età venivano mandati nei fossati dove si alimentavano con lenti d'acqua, girini e pesciolini. Nel periodo estivo delle annate siccitose se scarseggiava il radicchio venivano utilizzate le foglie di gelso, pure esse tagliate sottili ed impastate. Nelle zone collinari pure le foglie di Broussonetia papyrifera (il gelso della carta, ndr), moracea che cresce spontanea, venivano trinciate ed impastate destinandole alle anatre.

A tre quattro mesi di età le giovani anatre venivano ingrassate con granella di mais, per un periodo di una ventina di giorni, prima di venire uccise. Solitamente l'anatra novella in occasione della festa della Madonna Assunta (15 agosto) veniva preparata arrostita per le tavole imbandite.

Tacchinotti

Appena schiusi, dopo essere rimasti il primo giorno di vita sotto la tacchina, già al secondo giorno venivano appastati con pastoncino molto asciutto ottenuto mescolando radicchio cotto ben pestato con un coltello da cucina, con uovo sodo sbriciolato passandolo con la forchetta, dopo aver spolverato il tutto con farina di mais giallo. Ben conoscendo l'imperizia dei tacchinotti nell'assumere il cibo, le massaie erano solite offrire ai neonati il nominato pastoncino, tenendolo nella mano per incitare i tacchinotti a beccuzzare qualche briciola dello stesso. L'operazione veniva ripetuta con molta pazienza, almeno quattro volte al giorno, onde evitare che digiuni troppo prolungati risultassero fatali, per i nati. Passate le prime due settimane di vita le massaie erano solite propinare ai tacchinotti radicchio crudo tagliato sottile ed impastato con cruschelli di frumento. Ovviamente era necessario tenere i pulcini di tacchino con la madre su prato, onde permettere loro di poter cacciare insetti e pascolare tenere erbe.

Faraoncini

I faraoncini schiusi sotto le tacchine dopo 28 giorni di incubazione delle uova di faraone, che venivano fatte premere in ragione di una trentina per tacchina, venivano appastati con radicchio tagliato sottile impastato con cruschello di frumento. Nelle belle giornate di fine aprile e per tutto il mese di maggio i faraonici erano tenuti con la tacchina sotto il corbello su prati. Nei giorno di pioggia invece era giocoforza tenerli al chiuso. Raggiunta la quarta settimana di vita le faraoncine seguivano la tacchina lasciata libera nei campi, onde dar loro la possibilità di pascolare. L'attiva ricerca di insetto praticata dai faraoncini già ad un mese di età, e di utilizzo di semi minuti di graminacee foraggiere e pure di infestanti quali la Setaria viridis, consentiva di praticare ridotte somministrazioni di radicchio impastato con cruschello di frumento, al rientro del novellame la sera, con spese ridottissime per l'alimentazione dello stesso.

Ochette

Fatte schiudere sotto le tacchine, affidando 10 uova di oca, per ciascuna incubante, venivano tolte dalla madre adottiva già al secondo giorni di vita ed alimentate offrendo loro mazzetti di foglie di radicchio che costituiva il primo alimento. Considerando che le oche sono vegetariane, già dopo la prima settimana di vita, venivano mandate al pascolo su prato che risultava atto a coprire le esigenze alimentari delle papere. Granella di mais veniva propinata solo dopo avere raggiunto il quarto mese di vita, per iniziare il finissaggio prima del macello.

 Carlo Lodovico Fracanzani


L'inverno sta ormai per volgere al termine e ci si appresta a fare un bilancio censimento degli animali che hanno passato la stagione.

Posiamo fin d'ora riconoscere nelle discendenze di Padovana bianca (Pd B),Padovana nera e Padovana dorata (Pd N, Pd D) una buona resistenza a malattie di tipo respiratorio (corizza, il cosiddetto snaro)tipiche della stagione invernale, alcuni individui invece di Padovana Argentata (chiamiamo così il tipo che stiamo selezionando da progenitori morfologicamente simili) e Padovana camosciata pur presentando tale patologia con due interventi a base di antibiotico (principio attivo la tilosina)alla dose di un cc (centimetro cubo) e a distanza di un giorno hanno risposto in maniera positiva al trattamento. Anche soggetti di altre razze (Ancona e Livorno dorata) hanno manifestato sporadici casi di complicazioni respiratori, superati senza nessun tipo di intervento.

Problema comune a tutte le razze è la presenza di pidocchi (ordine dei Mallofagi, genere

Goniocotes gallinae e Menacanthus stramineus, di colore giallo, con corpo allungato provvisto di sei zampe) e soprattutto nella razza Padovana di acari (Dermanyssus gallinae, di colore rosso, rotondeggianti e con otto zampe) ospiti tipici delle penne del capo. Cosa gradita sarebbe avere anche la situazione degli allevatori aderenti al Progetto.

Nell'aviario della scuola stanno ormai terminando i lavori di disinfezione e disinfestazione , rispettivamente a base di sali quaternari di ammonio(contro batteri) e di Malathion al 4% (contro pidocchi e acari) del locale destinato a ricevere i nuovi nati dell'anno 1996.

Per quanto riguarda i criteri adottati nel compiere gli accoppiamenti tra maschi e femmine si è preferito, per alcune discendenze, continuare in questo anno la riproduzione in purezza (tra fratelli), per cui si sono costituiti i gruppi di femmine sorelle, nate dallo stesso padre, e ad ognuno si è inserito un maschio fratello della stessa discendenza (per padre comune) avente il peso più elevato e le caratteristiche morfologiche migliori: il più bello.

Per le varietà di Padovana camosciata e di razza Ancona sono invece stati introdotti maschi di provenienza esterna, questo ci lascia prevedere un certo miglioramento delle stesse.

I l gruppo iniziale di soggetti di Polverara, una femmina bianca e una nera con un maschio nero cedutici dal Sig. Rossetto, ha subito la perdita del maschio, morto per leucosi. In compenso da tre uova dateci in autunno sempre dallo stesso allevatore e nato un galletto nero che si avvia alla maturità sessuale e ci si augura una buona carriera riproduttiva, abbiamo anche una riserva, un maschio nato da uova di Padovana camosciata senza ernia cerebrale, carattere che differenzia la Polverara dalla Padovana.

Verso metà gennaio, dopo aver collocato in gabbie singole le femmine di Padovana dorata abbiamo potuto procedere, per ciascuna di esse, alla raccolta separata delle uova prendendo nota del numero deposto e del relativo peso, i dati sono raccolti nella tabella.


Uova colorate, uova nei giochi, uova come alimento nel tempo di Pasqua: simboli tra il "sacro della speranza e il profano del godimento"

da "Paese veneto * dalla cultura contadina al capitalismo popolare" di Ulderico Bernardi

"Lo sviluppo (del nord-est, NdR) ha potuto contare su una cultura tradizionale che ha sostenuto l'attesa dell'innovazione con i suoi valori di laboriosità e di iniziativa personale, nel segno di una religiosità profonda e naturale.

L'Autore racconta questa affascinante storia di modernizzazione nella continuità attraverso le pagine del libro che si aprono con una premessa: come nialtri no ghe n'é altri, se ghe n'é ancora che i vegna fòra!, un viaggio ai luoghi della memoria. Segue una Parte prima: Come che Dio comanda!, su lavoro e produzione di senso nella cultura popolare veneta. La Parte seconda: Tutti i frutti a la so stagion, elenca mesi, santi e mestieri per un anno,, con i riti, le usanze, i simboli e le scadenze della sacralità rurale. Nella Parte terza: Méjo paròn de sèssola che servidòr de baca! si da conto del Veneto della persistenza e della 'grande trasformazione'" (dal risvolto).

Primavera. Il risveglio della natura . La fiduciosa attesa di un nuovo raccolto. gli auspici perché la Terra rinnovi il suo patto con l'uomo-agricoltore e allevatore, che il Dio cristiano rinnovi il suo patto con l'uomo-figlio.

La fecondità, il generare, lo schiudere di una nuova vita dall'uovo.

In queste pagina l'Autore svela la sovrapposizione dei sacri significati della Pasqua cristiana ai precedenti patrimoni di conoscenze accumulatisi in centinaia di generazioni di contadini occupate a interpretare il cielo e il tempo, la terra le piante e gli animali per salvaguardare il prodotto del campo creando nello stesso tempo simbologie pagane come il culto della fertilità.

La Chiesa dei primi tempi era ben conscia di "ciò che più profondamente era radicato nell'animo della comunità" e con "grande prudenza" ha saputo indurre la conversione do "momenti di grande significato per la cultura popolare nei nuovi riti cristiani" e in "occasioni solenni per la liturgia cattolica": " le metafore legate al culto della fertilità divennero proverbi dei santi e delle stagioni", "l'ordine delle fatiche e dei raccolti" si fissò "secondo patroni" e "celebrazioni".

"Così la decisione la decisione del Concilio di Nicèa presa più di sedici secoli fa nel fissare la Pasqua alla prima domenica successiva al plenilunio di primavera, si è consolidata nel detto già richiamato:

No ghé Venare Santo al mondo

che la luna de Marso no àbia fato el tondo!

Per cui la luna di marzo può compiersi nell'aprile.

Mentre la primavera della natura e degli uomini si sommano nel proclamare che: Vòja o no vòja. Pasqua vien co'a fòja! La natura che si rinnova, la Pasqua cristiana che annuncia salvezza nel sacrificio di Gesù, ci invitano a capre nei simboli il valore della vita che rinasce nelle generazioni.

(...)

"Tutti i simboli, tutte le liturgie, convergono alla festa sacra del patto che si rinnova: tra Dio e gli uomini, tra la terra e i frutti.

Ma più che l'agnello, la colomba le rondini, in questa felice stagione sono le uova ad assumere il simbolo del risveglio del mondo. Questi straordinari doni dei più modesti animalo da cortile si caricano di significati immensi.

"La terra fecondata dal cielo ha partorito rami fioriti, gli animali si riproducono, le erbe dei prati si moltiplicano: è il matrimonio universale, che trova la sua sintesi simbolica nell'uovo rituale offerto per la Pasqua.

" Era già usanza dei popoli pagani nella festa di primavera. Il cristianesimo ha accettato la tradizione, facendola propria, legandola alla figura del Cristo che come il pulcino dal guscio esce dal sepolcro e regala al mondo la stagione della Rinascita. (...).

" Il profondo radicamento della religione cristiana nelle nostre campagne, in un popolo che fu per diecimila anni contadino, si spiega anche con questa sua capacità di farsi comprendere da tutti con la forza solare dei simboli più felici e chiari.

Per migliaia di anni i raccoglitori vaganti, i popoli della caccia e del frutto selvatico, furono ossessionati dal valore della fecondità. Vivevano nel terrore di non trovare più nulla per nutrirsi: non più radici nella terra, non più avari frutti sugli alberi, non più nuove figliate di animali da abbattere. L'agricoltura viene dopo: passeranno millenni prima che si coltivino i cereali commestibili, o la carota e la rapa. Più ancora, di secoli e scoperte, ci vorrà perché sulle nostre mense compaiano fagioli e patate.

" Un'angoscia immemorabile ha percorso tutti i secoli della fame contadina, quella stessa che magari spinge anche oggi a lavorare e a risparmiare, a non sprecare le ore e le risorse, a mettere da parte perché 'guai un mal de nòte'.

"Il culto della fertilità si è imposto con l'origine stessa dell’uomo, ma solo il cristianesimo ha offerto uno sbocco definitivo, con la Resurrezione e la vita eterna, a questa speranza di esistere.

" Il gran posto che la Pasqua ha nel calendario delle nostre culture contadine ha dunque queste motivazioni profonde e remote nei secoli, (...). Il mondo delle cose è cambiato in fretta, ma il nostro volto e i nostri pensieri non sono granché diversi da quelli dell'antico cacciatore che trentamila anni fa popolava di figure d'animali le rocce e le caverne.

" E quando offriamo ai parenti e agli amici un uovo tinto di rosso, anche se ci siamo dimenticati i motivi remoti, celebriamo un rito che rimonta il tempo fino alle lontane origini. Ripetiamo un gesto che invoca la fertilità della terra e il favore del cielo: l’uovo è la promessa del frutto, anche di quello umano (nella cultura friulana il bambino si chiama frut).

" Il rosso della tintura, magari preparata in casa con polvere di mattone (o il bruno, ottenuto con al bollitura delle bucce di cipolla), è la memoria preistorica dell'ocra usata nelle caverne a imitare il colore del sangue, che è vita.

(...)

Anche nella finzione commerciale delle uova di cioccolata si può ritrovare una traccia di questa simbologia di fertilità: dentro all'involucro dolcissimo c'è sempre una 'sorpresa', un dono.

A riprova della sopravvivenza di miti antichissimi dentro alla nostra società pensiamo anche alle frittate in campagna nel lunedì dell'Angelo o nel giorno di San Marco, altre grande festa per i Veneti. Sui prati si rinnova l'usanza delle comitive festanti, attorno ai fuochi improvvisati si cuociono padellate di uova con le prime erbe nuove.

Il tempo dell'Eterno si apre ai cristiani per l'amore di Dio, ma non c'è uomo o donna che in questi giorni non avverta la voglia di rinnovarsi negli abiti della mente e del corpo. In tanti gesti e usanze si mescolano il sacro della speranza e il profano del godimento.

"A Pasqua si puliscono e si benedicono le case degli uomini, si indossano abiti nuovi, si compiono piccoli riti domestici. L'uovo tuttavia resta il vero simbolo di questi giorni equinoziali in cui la terra fecondata dal cielo ha partorito rami fioriti, in cui le erbe dei prati si moltiplicano, gli animali si riproducono e le persone lasciano sbocciare nuovi desideri.

Simbolo arcaico della fecondità, segno del matrimonio universale, della giunzione fra la terra e il cielo avvenuta in temi immemorabili. Il gran consumo di uova che si fa in questi giorni, anche se i più hanno perso il significato, ripete riti che risalgono alle origini, quando i miti nacquero per fondare la memoria delle culture.

"L'usanza vuole che sugli abbondanti deschi di Pasqua le uova rosse servano per una sfida domestica: impugnate dai convitati dovranno essere fatte cozzare l'una sull'altra, e la sconfitta sarà di chi vedrà incrinato il suo uovo. E' quel che resta di lontanissimi ricordi virili. Ma la memoria mitica è dura a morire. E forse non scompare mai, se si riferisce a fatti essenziali per l'umanità.

Mangiare le uova , tingerle, usarle per giocare come si fa ancora nelle nostre case facendole cozzare l'una sull'altra, sono dunque aspetti assai significativi di una cerimonialità importante. (...).

Com'è per esempio, per altre modeste ma importanti usanze pasquali. 'Bévar un vòvo de vènare santo no diòl la vita.' si diceva nelle nostre campagne cento anni fa, quando la schiena era spesso costretta a star piegata sul campo.

E quando un bambino arrivava per la prima volta dentro a una casa bisognava offrirgli subito un uova da bere altrimenti 'ghe vien el spàsemo'."

"Paese veneto * dalla cultura contadina al capitalismo popolare"

Ulderico Bernardi*, Edizioni del Riccio, 1987; pagg 80-84.

*Docente di sociologia all'Università veneziana di Ca' Foscari.

 

Altre usanze legate alle uova da un'altra fonte.

"Il venerdì santo si mettevano da parte LE UOVA che sarebbero state cotte la domenica di Pasqua"

"Il giorno di Pasqua, si andava a 'trar l'ovo'. I ragazzi, con le uova sode cucinate il giorno precedente e colorate nei modi più vari (le si colorava mettendo nell'acqua delle erbe durante la bollitura o disegnandole dopo la cottura), si recavano nei prati (spesso il paese aveva una meta fissa, come il Castèlo a Malo, il Buso dela rana a Monte di Malo, l'Angelo a Piovene) e lì gettavano le uova o le facevano rugolàre (rotolare) lungo i pendii oppure le 'batévano' per guadagnarle e farle proprie.

Dopo aver giocato variamente con le uova fino a che non si rompevano, le mangiavano."

"In talune zone nel giorno di Pasqua si aspergeva, con l'acqua nella quale erano state cotte le uova messe da parte il venerdì santo, il punàro per far morire i peòci puldìni (...)."

"Quando il prete (parroco) andava a benedire le case, era uso ricompensarlo con un certo numero di uova, che il sacrestano poneva in una cesta che si portava dietro. Da parte sua il prete lasciava in ogni casa una candela che sarebbe stata accesa, assieme alla candela della seriola, quando minacciava di grandinare."

"La civiltà rurale di una valle veneta * La Val Leogra",

Accademia Olimpica Vicenza, 1976, pag 168.


 


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