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aggiornato al mese di marzo 2007

Tricolore

inno nazionale

  • Fratelli d'Italia,
  • L’italia s’è desta;
  • Dell’elmo di Scipio
  • S’è cinta la testa,
  • Dov’è la vittoria?
  • Le porga la chioma,
  • Che schiava di Roma
  • iddio la creò.
  • Stringiamoci a coorte,
  • Siam pronti alla morte,
  • Italia chiamò,
        •  

          • Noi fummo da secoli
          • Calpesti e derisi.
          • Perchè non siam popolo,
          • Perché siam divisi,
          • Raccalgaci un’unica
          • Bandiera, una speme;
          • Di fonderci insieme
          • Già l’ora suonò
          •                                            
          • Stringiamo a coorte...

           

            • Uniamoci, uniamoci!
            • L’unione e l’amore
            • Rivelano ai popoli
            • le vie del Signore.
            • Giuriamo far libero
            • il suolo natio;
            • Uniti, per Dio!
            • Chi vincer ci può?
            • Striagiamoci a coorte...

 

  • Dall’Alpe a Sicilia
  • Dovunque è Legnano;
  • Og ‘uom di Ferruccio,
  • Ha il cuore e la mano;
  • i bimbi d’italia si chiaman
  • Balilla;
  • il suon d’ogni squillo
  • i Vespri suonò.
  • Stringiamoci o coorte...
          • Son giunchi che piegano,
          • Le spade vendute.
          • Già l’aquila d’Austria
          • Le penne ha perdute.
          • Il sangue d’italia
          • Bevè col cosacco
          • il sangue polacco,
          • Ma il cor lo bruciò,..
          • Stringiamoci a coorte...

L’Inno fu intitolato dall’autore dei versi Goffredo Mameli “Il canto degli italiani». Goffredo Mameli, figlio dell’Ammiraglio marchese Giorgio, cagliaritano, fu ardente mazziniano. Egli nacque in Genova il 5settembre 1827 il 10 settembre 1847 scriveva i versi, che furono musicati in Torino il 24 novembre dello stesso anno dal maestro Michele Novaro, genovese   (1822-1885), in casa di Lorenzo Valerio.

L’inno fu cantato per la prima volta a Genova durante una festa popolare. Lo cantava e lo fischiettava Giuseppe Garibaldi insieme ai suoi legionari, durante la difesa di Roma e la successiva ritirata del 7849.

Goffredo Mameli,nel marzo 1848, aveva costituito una squadra di volontari genovesi che accorse in aiuto dell ‘insurrezione lombarda e, dopo l’armistizio di Salasco del 1848, raggiunse la città Eterna per combattere contro i francesi in difesa della Repubblica Romana. L’eroe genovese morì il 6 luglio 1849 a Roma, sul Colle del Gianicolo, in seguito ad una grave ferita subita nel corso del combattimento presso Villa Corsini.

TRICOLORE ED UNITÀ NAZIONALE:

LE TAPPE DI UN LUNGO CAMMINO

di Umberto Cappuzzo

  La celebrazione di un simbolo, quale è appunto la bandiera nazionale, può far correre il rischio di porre in primo piano sentimenti e stati d’animo, indulgendo alla retorica fine a se stessa, anziché cogliere l’occasione per richiamare eventi, fatti e comportamenti - in qualche modo legati a quel simbolo nel loro sviluppo nel tempo per comprenderne il significato ed il ruolo nella prospettiva storica.

Quando si voglia ripercorrere il cammino del Tricolore in questi duecento anni di vita, la prospettiva storica è davvero illuminante. Essa consente, infatti. di far rimarcare, nelle loro motivazioni più vere, il nascere e l’affermarsi dell’idea stessa di Nazione.

Come premessa. però, a tale prospettiva è bene rifarsi andando ancora più indietro nei secoli, per evidenziare l’evoluzione del concetto di insegna, bandiera o vessillo, quali espressioni di appartenenza ad una comunità che, come tale, voglia manifestarsi. Il simbolo - quale oggi l’avvertiamo - è, in sostanza, il punto di arrivo di tutto un processo, attraverso il quale si è andata evolvendo la concezione stessa del potere e, con essa, è cambiato via via il rapporto tra governanti e governati. Andando indietro nella storia dei popoli, il vessillo, l’insegna o la bandiera quale che ne sia stata la foggia - rispondevano ad una esigenza di visibilità di tale potere.Si trattava, quindi, di rendere facilmente percepibile l’inserimento in una comunità distinta rispetto ad altre comunità e spesso, ad esse contrapposta. Era il segno esibito alla testa di un gruppo che, come tale, al seguito di un capo. voleva essere riconosciuto.

La stessa aquila legionaria di Roma, nei momenti di maggiore splendore. intendeva dare risalto all’idea di “imperium”, di Stato organizzato visto nella sua proiezione verso l’esterno, piuttosto che quella di collettività (di cittadini partecipi di uno stesso destino. E dire che Roma poteva, a pieno diritto, rivendicare il merito di aver portato alla ribalta il concetto di “civis”. inteso, però. come elargizione concessa dall’alto più che come consapevolezza acquisita dal basso.

L’analisi storica porta a far risaltare la correlazione assai stretta tra simbologia e cultura in ogni tempo ed in ogni civiltà. La simbologia riferita alle insegne ed alle bandiere ha, in più, un contenuto di “sacralità”, derivante dall’attribuzione di una certa funzione protettiva, particolarmente evidenziata nel corso delle cerimonie volte a confermare l’idea di base del potere, da affermare e da esibire. A questa si affianca la necessità di trovare, nel combattimento, un “riferimento concreto” per tenere insieme - pur nello spezzettamento delle azioni - la compattezza delle formazioni.

Quello dell’affermazione e della diffusione delle insegne è un processo assai interessante che, per il nostro mondo occidentale, si sviluppa lungo uno stesso percorso, il cui punto di partenza è da individuare nel concetto, già ricordato, di “ imperium”, emblematicamente rappresentato dall’aquila romana;  concetto che, nel momento culminante della maestà imperiale, ha il suo coronamento nell’idea di “pax romana”, assumendo, quindi , una rilevanza etica che ancor più esalta la “sacralità” del simbolo. La tradizione romana lascia i suoi segni, riuscendo a sopravvivere ancora per lungo tempo. Le culture, che via via si succedono in Occidente, ad essa si richiamano ed il ricorso a simboli per attestare il potere rimane un dato acquisito soprattutto per esigenze militari.

       Si affermano, accanto ad esse, anche le esigenze derivanti dai traffici marittimi o da attività varie sul mare, per le quali si pone il problema del rapido riconoscimento di navi ed imbarcazioni appartenenti ad entità politiche diverse.

Lo studio di tali simboli (bandiere, vessilli stendardi e, successivamente, stemmi araldici dei vari signori) è particolarmente istruttivo per comprendere l’evoluzione del rapporto tra governanti e sudditi. Il sempre più frequente inserimento dello stemma araldico del governante nella bandiera in pratica suggella, sotto il profilo formale, un’identificazione personale tra Stato e signore che lo regge, accentuando in un certo senso il distacco dei sudditi.

Il grande cambiamento - quello che direttamente ci interessa, parlando del bicentenario del nostro Tricolore - si determina con la Rivoluzione francese,anzi - per essere più precisi - con un altro grande evento che di pochi anni la precede, con la Rivoluzione americana, quando nasce la prima bandiera nazionale dell’era moderna, quale segno indicativo della confluenza di più entità politiche in una entità politica maggiore che tutte le rappresenta, quella che sarà poi la grande federazione degli Stati Uniti d’America. Siamo al 1776.

La Rivoluzione francese non soltanto confer­ma questo spostamento di ottica - dal simbolo del potere personale a quello della compartecipazione del popolo - ma adotta, per la prima volta, la bandiera a tre bande di diverso colore con l’azzurro al posto del verde, in sostituzione del precedente vessillo bianco dei Borboni. E’ - questa - la progenitrice del nostro Tricolore.

La nuova bandiera vuole indicare visivamente che, sconfitto l’assolutismo, si intende voltare pagina, facendo assurgere il popolo ad artefice del proprio destino, in nome dei grandi principi della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità.

Da qui un processo evolutivo che investe le strutture del potere un po’ dappertutto in Europa e si propaga anche altrove.

I sudditi, divenuti cittadini o impegnati nella lotta per divenire tali, avvertono la necessità di compattarsi attorno ad una bandiera, che è indicativa, più che di un potere, di una comunanza di destino di una molteplicità di soggetti. E tale comunanza si esprime nell’appartenenza ad una Patria che tutti affratella senza differenze di sorta.Nasce lo Stato moderno nella sua connotazione nazionale.

Il nazionalismo nella sua visione più pura, ancora lontano dagli eccessi successivi che tanti lutti e sciagure dovevano portare. si diffonde e si afferma a macchia d’olio un po’ dappertutto nel vecchio continente e al di fuori di essoe trova nella bandiera il riferimento formale più forte.

Tale riferimento formale finisce con l’estendersi al di là della stessa idea di Nazione, per diventare espressione di convergenza in una fede comune e, quindi, di volontà di lotta politica per sostenere e propagare idee, principi e valori e difendere interes­si comuni. Basti pensare, al riguardo, alla simbologia della “bandiera rossa”.

Il nostro Tricolore è una filiazione diretta della bandiera della Rivoluzione francese (con il verde al posto dell’azzurro).

Sul significato dei colori c’è tutta una letteratura.

E’ da ritenere che con essi si siano voluti indicare principi e valori propri della Rivoluzione francese. Il verde, in particolare, sarebbe l’espressione di un certo simbolismo massonico. Esso, con il richiamo all’idea della natura, starebbe ad indicare l’acquisizione dei “diritti di natura”, quelli, cioè, dell’uguaglianza e della libertà.

Quali che ne siano i significati, il Tricolore nasce nei fermenti di moti, insurrezioni e lotte che caratterizzano la situazione in varie regioni italiane in concomitanza con gli sviluppi del processo di profonde modificazioni innescato dalla Rivoluzione francese.

       Spetta alla “Legione Lombarda”, reparto di volontari affiancato alle truppe francesi nella guerra contro l’impero asburgico, l’ambito privilegio di portare in combattimento il primo Tricolore italiano.

La sua costituzione è approvata da Napoleone Bonaparte, Generale in capite dell’Armata d’italia, in data 8 ottobre 1796, con comunicazione diretta all’Amministrazione Generale della Lombardia (presieduta dal Sommariva, che governava il Ducato di Milano sotto tutela francese) ed è resa nota al Direttorio tre giorni dopo con l’indicazione appunto dei colori prescelti per la bandiera (“le couleurs nationales qu’ils ont adoptès son le vert, le blanc e le rouge”).E’ la prima tappa di un lungo cammino.

Le altre, ancor più significative, sono rappresentate da tutta una serie di eventi che si sviluppano con ritmo crescente negli anni che seguono.

A seguito delle rivolte di Reggio e di Modena contro il regime degli Estensi, si stabiliscono - con l’approvazione dello stesso Napoleone - contatti operativi da parte dei Governi provvisori delle due città, con gli analoghi organismi che sono stati posti in essere a Ferrara e Bologna dopo l’invasione francese degli Stati della Chiesa.

Nel primo Congresso di Modena (16 - 18 ottobre 1796), i delegati delle quattro città avanzano l’idea di unirsi in una sola Repubblica e di fornire una “Legione Italiana” (3.000 volontari inquadrati in 5 coorti) per partecipare all’impegno bellico sostenuto dalla Francia contro l’impero d’Austria.
prima bandiera Italiana che partecipò ad un combattimento 1796

Nella stessa occasione si delibera di assegnare a ciascuna coorte una bandiera con i tre colori nazionali italiani, “adorna degli emblemi della libertà”.

Il successivo Congresso di Reggio Emilia (27 dicembre 1796 - 9 gennaio 1797) segna la nascita ufficiale del primo Stato democratico unitario italiano, a seguito della mozione presentata dal delegato bolognese Vincenzo Brunetti, che propone di “convenire fin d’ora nella massima di formare le quattro popolazioni una Repubblica una ed indivibile”; mozione “approvata all’unanimità con conseguente nascita della “Repubblica Cispadana”.

Nello stesso Congresso vengono adottati alcuni provvedimenti formali di grande rilevanza. quali:

- la scelta dell’emblema della Repubblica: un turcasso con quattro frecce, attorniato dalla corona civica con l’iscrizione “Repubblica Cispadana una ed indivisibile”; emblema che costituisce il sigillo della giovane Repubblica (3 gennaio 1797):

- la decisione di rendere “universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori Verde, Bianco e Rosso e di usare questi tre colori nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti”.

E’ - quest’ultimo atto - la consacrazione della nascita della Bandiera italiana.

Di lì a poco, il 29 giugno 1797, un altro passo avanti viene compiuto, con la costituzione - annuncciata da Napoleone - di un nuovo Stato, la Repubbblica Cisalpina, che viene a comprendere entro i suoi confini i territori delle Repubbliche Transpadana e Cispadana, nonché le provincie di Bergamo, Brescia e Rovigo, già venete, parte della Valtellina, il Ducato di Massa, il Principato di Carrara e la Romagna. E’ l’embrione della Nazione italiana.

Significativamente, con deliberazione del Gran Consiglio della giovane Repubblica in data 11 maggio 1797, viene sanzionata la scelta della “Bandiera della Nazione Cisalpina, formata di tre bande parallele all’asta; la prossima all’asta verde, la successiva bianca, la terza rossa”, fissata ad un’asta “similmente tricolorata a spirale, colla punta bianca”.

L’adozione della Bandiera tricolore si accompagna ad altro provvedimento relativo alla Coccarda, anch’essa tricolore, muovendo dalla considerazione che “per una Nazione libera, la dignità della propria esistenza rifluisce sui singoli Cittadini che la compongono; in ciò nasce in questi un dovere e un pregio di distinguersi dalle altre Nazioni”.

La lettura dell’ Estratto dei Registri del Comitato Governativo”, relativo alla Seduta del giorno 3. Complementario anno 8. Rep. (siamo nel vivo dell’epopea rivoluzionaria, con l’uso esclusivo del relativo calendario!), dà un’idea del fervore di iniziative, strettamente legate all’idea di Bandiera, per accentuare la pronta percezione dell’appartenenza.

La Repubblica Cisalpina, travolta di lì a poco dalle forze austro-russe, risorge dopo Marengo ed ingloba nuovi tenitori (provincie di Novara e di Verona fino all’Adige), continuando a rappresentare elemento di coagulazione di un processo di progressiva affermazione del sentimento nazionale nella sua proiezione unitaria.

In maniera emblematica, tale funzione si riflette nel nome (“Repubblica Italiana”, nel 1802, con Napoleone Presidente e Francesco Melzi d’Eril Vice Presidente; “Regno d’Italia”, ingrandito con Venezia e con il Tirolo, nel 1805). Prende corpo, così, la visione italiana più ampia, ma rimane ferma la scelta dei tre colori del simbolo, anche se, con successive modifiche, si dispongono diversamente la forma e la collocazione degli elementi costitutivi, passando, nel I 802, dalle bande al quadrato rosso in cui è inserito un rombo a fondo bianco, contenente altro quadrato a fondo verde, e nel 1805, per le bandiere delle unità militari, si procede ad una diversa composizione che, tuttavia, conserva i tre colori tradizionali (verde e rosso disposti a triangolo attorno ad un rombo bianco, con al centro l’aquila napoleonica di colore giallo).

La nuova funzione della bandiera, per effetto della ventata rivoluzionaria, che investe un po’ tutti i Paesi , viene recepita anche negli altri Stati della penisola, specie là dove si fanno sentire gli effetti delle imprese militari francesi ed il Tricolore si diffonde anche se imperniato su diversi colori (nero-bianco-rosso nella Repubblica Romana: 15 febbraio 1798-29 settembre 1799; blu-giallo-rosso nella Repubblica Partenopea: 22 gennaio - 19 giugno 1799).

Il 1815 segna, in un certo senso, la fine di un sogno. La caduta di Napoleone determina, infatti, la profonda revisione dell’ordine internazionale che si era instaurato sotto il suo impulso (fine del “Regno d ‘Italia” e, con esso, dell’esercito italico; restaurazione dei vecchi Governi), ma costituisce, al tempo stesso, occasione per un’analisi critica circa le vie che gli Italiani devono percorrere per pervenire allo Stato nazionale, non potendosi non riconoscere che, quella che indirettamente si era appalesata per l’azione di Napoleone, si era soltanto concretata in una parvenza di unità” (per usare un’espressione del Pieri).

 

Di fatto - con l’eccezione della Sardegna, dove sono ospitati Re Savoiardi , e della Sicilia, diventata asilo dei Borboni, ma controllata in pratica, insieme a Malta, dalla Gran Bretagna - l’Italia, per la quasi totalità, è ormai sotto influenza francese, in tutte le sue articolazioni, attraverso:

-le provincie direttamente annesse (Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Lazio) con l’aggiunta dei territori italiani delle provincie illiriche (Gorizia, Trieste, Fiume e Dalmazia);

-il Regno Italico, facente capo per unione personale all’Imperatore dei Francesi e governato dal Viceré, suo figliastro (Lombardia con Alessandria, Novara, Valtellina, Veneto, Trentino, Alto Adige fin sopra Bolzano e Merano, Modena, Legazioni e Marche);

-Regno di Napoli , offerto al cognato di Napoleone, Gioacchino Murat.

11 dato importante che emerge, dopo questo profondo rimescolamento, è l’accresciuta presa di coscienza, da parte degli Italiani, della necessità di essere - essi stessi - artefici del loro destino.

In questa presa di coscienza, il Tricolore sempre più si caratterizza come simbolo unicante di tutti gli Italiani. Lo è, nelle insurrezioni che scoppiano quà e là, nelle quali i rivoltosi lo agitano a mo’ di sfida. Lo è. quale riferimento concreto nello “Statuto della Giovane Italia” (art. 8). Lo è nei moti del biennio 1848 - 49 (12 gennaio 1948: Palermo; 25 - 26 gennaio: Napoli). Lo è con la Proclamazione dell’indipendenza della Sicilia ( Costituzione del 1812), che accompagnata dall’adozione , come bandiera dello Stato, del Tricolore italiano abande verticali, recante al centro del telobianco la figura della Trinacria. Lo è nello stesso anno, per decisione del Nuovo Governo di Napoli  ( Bandiera reale “ circondata dai colori italiani, sì che formino un solo corpo di bandiera: rerettangolo bianco recante al centro lo stemma di Borbone , racchiuso da una doppia bordatura , rossa quella interna. verde quella esterna”). Lo è nei moti del 1848 (18 marzo: Milano; 22 marzo: Venezia e nella guerra contro l’Austria. Lo diviene nella Repubblica Romana (costituita in data 9 febbraio 1 849) con decretazione del Comitato Esecutivo in data 12 febbraio I 849. Lo è in tutte le vicende, liete o meno liete, della storia d’Italia fino ai nostri giorni; vicende nel corso delle quali la simbologia di fondo si accresce e si consolida: non solo segno di semplice comune appartenenza o, ancor meno, di ostentazione del potere, ma - per i cittadini tutti, quale che sia la loro posizione nell’ambito di una patria comune - riferimento concreto per l’azione e l’impegno in nome di principi e valori, la cui difesa chiama in causa l’onore (l’onore nazionale: l’ onore militare; l’onore del Reggimento; ecc.) e la fierezza di sentirsi italiani.

Intendiamoci, la presa di coscienza progressiva si realizza con gradualità ed ha passaggi difficili.

Essa riceve, all’inizio, la spinta propulsiva di pochi idealisti illuminati e si concreta in un movimento) “elitario” che cerca di coinvolgere le masse.

In proposito. è bene richiamarsi alle fonti più autorevoli. Ammonisce Giuseppe Mazzini, in uno scritto del I 832 tra l’addormentarci sulle divisioni vive attive e potenti, e l’ illuminarle sicché ogni uomo potesse giugicarle e trascegliere, non abbiamo esitato. Abbiamo innalzato la fiaccola, e diffusaquanta luce per noi si poteva: tra quelle moltitudine di bandiere , la più parte senza colore, motto mezzo-coperte, o non mostrando che un segnale distruzione senza norma per riedificare,abbiamo scelta la più decisa, la più alta, quella che più respingeva la luce del passato e si indorava a raggi dell’avvenire, e abbiamo detto “ quella è la nostra”. Ed aggiunge tutto un discorso che è un inno alla bandiera........ L’ abbiamo piantata in mezzo a noi pensando) che, s’essa era veramente bandiera di Patria e di progresso italiano, i buoni si sarebbero raccolti non intorno a noi, ma intorno a quella bandiera, — pensando che le nostre intenzioni erano pure, il nostro cure vergine d’ ambizione e di invidia. - pensando che intorno a quella non v’erano primi nè secondi. pero che ai primi formanti il cerchio di difesa Spettan gli ultimi pericoli e i più feroci,agli ultimi e più discosti spetta l’onore del primo urto contro il nemico.

L’abbiamo piantata in mezzo a noi, e abbiamo cacciato deliberatamente tra i suoi colori quel  nome di Giovine Italia , perchè questa era ......................

Ecco, dunque, la nuova concezione della bandiera; una bandiera concepita come sprone all’azione, ancor più che come simbolo; una bandiera che richiama, per sè stessa, principi e valori che danno senso all’idea di Nazione. Di questa - della Nazione nella sua dimensione ideale - il Mazzini individua gli elementi costitutivi nell’eguaglianza, nella libertà e nell’associazione, precisando sempre nello stesso scritto - che per Nazione egli intende “l’universalità de’ cittadini parlanti la stessa favella, associati, con eguaglianza di diritti civili e politici, all’intento comune di sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l’attività di quelle forze”.

Per Mazzini, “La Nazione è sola sovrana”. Di conseguenza, qualunque potere non discenda da essa, è usurpazione; qualunque individuo oltrepassa d’una sola linea il cerchio delle proprie attribuzioni, èmandatario infedele”.Si consolida, con questa ampia visione, la concezione democratica del potere, attribuendo alla Nazione inviolabilmente il diritto di scegliere le proprie istituzioni, di correggerle, e di mutarle quando non corrispondano più ai suoi bisogni, ed al progresso dell’intelletto sociale”.

E’ da chiedersi, a questo punto, come sia intesa, nei suoi limiti geografici, la Nazione italiana preconizzata dal Mazzini. La risposta, chiara ed inequivocabile, ce la fornisce la “Istruzione Generale per gli affratellati nella Giovine Italia” 1831), là dove - dopo aver richiamato, a premessa, i principi ispiratori (Libertà, Eguaglianza, Umanità, Indipendenza ed Unità) - si afferma par. 2 ) che l’Italia comprende:I° l’Italia continentale e peninsulare fra il mare al sud, il cerchio superiore dell’ Alpi al nord, le bocche del Varo all’ovest, e Trieste all’est ; 2° le isole dichiarate italiane dalla favella nativi, e destinate ad entrare, con un’organizzazione amministrativa speciale. nell’ unità politica italiana”. Siffatta Nazione è l’universalità degli Italiani affratellati in un patto e viventi sotto una legge comune”.

Nel perseguimento di così ambizioso traguardo. la “Giovine Italia” ha un suo ruolo fondamentale, proponendosi di “consacrare il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’italia in nazione di liberi ed eguali “una, indipendente, sovrana» (art. I le Il a citata “istruzione”.In quanto tale. significativamente, ha bisogno di un simbolo. deve scegliere i colori della sua bandiera.

Sempre nella stessa “Istruzione”, all’ art. 5, vi è stabilito che i colori della «Giovine Italia» sono il bianco, il rosso e il verde. La bandiera della “Giovine Italia” porta su quei colori scritte da un lato le parole: Libertà Uguaglianza, Umanità; dall’altro: Unità, Indipendenza”.

Ripercorrendo questa fase storica, ricca di iniziative molteplici, di cui quella mazziniana è di certo una delle più organiche, ma non è la sola , il Tricolore appare costantemente come richiamo e, forse talvolta inconsapevolmente, come monito. Anche in presenza di profondi sconvolgimenti di precedenti assetti politici, rimane l’elemento unificante del Tricolore, con precisazioni formali anche in sede di Carte costituzionali , come avviene in Toscana e nel Regno di Sardegna nel 848 (art. 22 dello Statuto toscano; art. 77 dello Statuto sardo).

La stessa cosa si ripete nei Ducati dell’italia Centrale e nella Repubblica Veneta. Una decretazione del Governo Provvisorio di quest’ultima, in data 27 marzo 1848, stabilisce che “la Bandiera della Repubblica Veneta è composta dei tre colori verde, bianco e rosso; il verde al bastone, il bianco nel mezzo, ilrosso pendente. In alto in campo bianco fasciato dai tre colorti il Leone giallo”.

Si aggiunge, in maniera assai significativa, che “coi tre colori comuni a tutte le bandiere odierne d’Italia, si professa la comunione italiana . Il Leone è simbolo speciale di una delle italiane famiglie”.

Quest’ultima precisazione fa vedere quale profonda evoluzione si sia innescata sul piano culturale, attraverso l’idea degli apporti delle varie regioni alla comunità nazionale, ancora da costruire sul piano politico; regioni viste come famiglie”, parte integrante di uno stesso ceppo, adombrando un concetto di enorme contenuto etico e spirituale.

Nella crisi che oggi ci attanaglia per l’affermarsi di spinte irrazionali verso la disintegrazione, un richiamo alla storia può risultare altamente istruttivo.

Gli eventi turbinosi, che si succedono negli anni successivi, si riflettono talora sulla posizione ufficiale del Tricolore nei vari territori toccati dalla vicende belliche e dalle conseguenti revisioni dei precedenti assetti politici, ma rimane sempre presente l’idea, ormai acquisita, che il verde, il bianco ed il rosso, composti insieme in una stessa bandiera, sono espressione emblematica di una comunanza di destino.

E’ significativo il fatto che, in data 25 giugno 1860, Francesco Il, Re delle Due Sicilie, senta la necessità di proclamare che la bandiera del Regno sia “d’ora innanzi fregiata de’ colori nazionali italiani in tre fasce verticali”, conservando sempre nel mezzo le Armi della sua di nastia.

Con la costituzione del Regno d’Italia del 17 marzo 1861 la Bandiera del Regno di Sardegna diventa Bandiera nazionale (tricolore con al centro della banda bianca lo “stemma dei Savoia, orlato d’azzurro, distaccato dalle bande laterali, con la parte inferiore a punta, sormontato dalla corona reale” (così come era stato stabilito nel R.D. 25 marzo 1 860, che si rifaceva a norme precedenti del 1857).

La fine della monarchia. sanzionata dal Referendum istituzionale (3 giugno 1946). rappresenta l’ atto di nascita dell’attuale bandiera della Repubblica, anche se il Decreto Legislativo Presidenziale porta la tata del 19 giugno 1946.

La Costituzione, approvata dall’Assemblea Costituente in data 27 dicembre 1947, all’articolo 12, conferma solennemente il precedente Decreto.

A conclusione di una guerra disastrosa che, a parte i lutti e le distruzioni, ha inciso profondamente sulle coscienze. il Tricolore riprende la sua funzione di riferimento ideale per l’unità del popolo italiano e per la ricostruzione del Paese tanto duramente provato.

Si consolidano progressivamente anche gli aspetti rituali attraverso interventi della Presidenza del Consiglio (Decreto del 3 giugno 1986) e del Parlamento (Decreto Legge 5 febbraio 1998 n. 27) per disciplinare l’uso della bandiera nazionale da parte delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici e come conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

La materia, così regolata, ha portato a successivi chiarimenti illustrativi da parte dell’Ufficio Cerimoniale della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 10marzo 1998.

A questo punto, ai tradizionali significati della bandiera, come si sono andati modificando nel corso dei tempi, un altro se ne aggiunge: la bandiera nella sua funzione didattico-formativa, vista, cioè, non più e non soltanto come simbolo, ma anche come mezzo di rilevanza etico-operativa . Si tratta, cioè, di far capo ad essa per creare e consolidare una vera coscienza nazionale. Non a caso si fa osservare che “fatta l’Italia, ora si debbono fare gli Italiani”.

A tal fine, un ruolo essenziale esplica l’Esercito con le sue cerimonie ed i suoi riti e, soprattutto, con il riferimento costante alla Bandiera - oggetto di venerazione e motivo di orgoglio - portata alla testa delle sue unità. il Reggimento, con la sua Bandiera, diventa, per migliaia e migliaia di giovani, il faro illuminante per una “alfabetizzazione civica” di enorme portata, contribuendo non soltanto ad istruire dei soldati, ma soprattutto a formare dei cittadini.

Attraverso l’esperienza militare si diffonde il culto della Bandiera; un culto - ripetendo l’estemazione di Massimo D’Azeglio - che deve essere “sentimento di tutti”.

E’ un ulteriore passo in avanti: acquista rilevanza il sentimento legato ad un Vessillo che ora è richiamo e rappresentazione, ad un tempo: l’italia, la Patria, la libertà, l’indipendenza, la giustizia, la dignità l’onore.

In questa dimensione e con queste prospettive, il Tricolore accompagna tutto il percorso dcl1~ nostra storia più recente: dalle campagne coloniali all’ epopea del Carso; da Vittorio Veneto a Trieste: dalle vicissitudini della 2° guerra mondiale alla ricostruzione, a conclusione di essa, ed all’avvento della democrazia: dal la trasformazione istituzionale ai nostri giorni, Il richiamo al Tricolore - in corrispondenza di taluni snodi fondamentali della nostra storia - si inserisce, sempre più , in un contesto di “solennità”, che supera il significato della prassi ri­tuale pci assumere quello del rinnovamento di un patto fra cittadini consapevolmente partecipi di un impegno che pone, a suo fondamento, doveri molte­plici, da assolvere con elevata tensione morale.

E’ proprio in funzione dei più coinvolgente tra tali doveri, quello di servire in armi la Patria che all’inizio del primo conflitto mondiale, Vittorio Emanuele III indirizza un proclama alle Forze Armate, nel quale indica ai “soldati di terra e di mare”, chiamati all’azione, il grande obiettivo da raggiungere. E lo fa con esplicita mensione della Bandiera:

“-A voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose a confine della Patria nostra”.

Celebrando il 150° anniversario della nascita della Bandiera italiana (il 7 gennaio 1947), alla presenza del Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola. Luigi Salvatorelli, oratore ufficiale della cerimonia. pone in risalto la funzione del Tricolore, pur nelle difficoltà del momento; un Tricolore che vuole simboleggiare “la persistente ragion d’essere dell’Italia una in un mondo rinnovellato”;

un Tricolore che “ci addita la via per la salvezza della Patria”. Ed aggiunge che “nell’unità d’Italia è il presupposto della nostra sopravvivenza, il segreto del nostro avvenire”. Trova motivi di conforto nel fatto che, a conclusione dell’immane conflitto, “è salva l’unità territoriale, anche se ai margini il sacro corpo della Patria sanguina per dolorose ferite; è salva l’ unità statale e sarà preservata, ne siamo sicuri, contro ogni pericolo, dalla nuova Costituzione repubblicana. Ammonendo che meve essere salva - e da noi - da noi solo dipende che lo sia — l’unità morale. Savatorelli conclude che ‘I partiti sono necessari. i dissensi inevitabili, le lotte politiche feconde; ma ad un patto: che al di sopra di ogni partito, al di sopra di ogni dissenso, attraverso ogni lotta, il senso della Patria, la coscienza dell’unità nazionale permangano) e sovrastino”.

Discorso scamo, essenziale, espressione di una elevata tensione morale quello del Salvatorelli, che non si può che riproporre, con gli stessi sentimenti e con lo stesso tono, a distanza di 50 anni dall’evento celebrativo.

In quest’ora di confusione, smarrimento e sgomento - di fronte ad una crisi di cui non si intravede la fine - l’esortazione si pone negli stessi termini e va sottolineata con particolare vigore.

In un contesto diverso ed indulgendo talvolta alla retorica, 50 anni prima (il 7 gennaio 1897), celebrando a Reggio Emilia il primo centenario del Tricolore, Giosuè Carducci, oratore ufficiale, aveva sentito il bisogno di inserire un forte richiamo caratterizzato, però, da toni diversi, definendo i tempi “oggi quanto mai sconsolati di bellezza e d’idealità” ed avanzando il dubbio che “direbbesi che manchi nelle generazioni crescenti la coscienza nazionale, da poi che troppo i reggitori hanno mostrato di non curare la nazionale educazione”. Ciò in quanto “i volghi aflollantisi intorno ai baccani ed agli scandali, per cosi dire officiali, dimenticano, anzi ignorano, i giorni delle glorie; i nomi ed i fatti dimenticano della grande istoria recente, mercè dei quali essi divennero, o dovevano divenire, un popolo; ignora il popolo e trascura, o solo se ne ricordano per loro interessi i partiti”.

Il testo, però, merita di essere letto nella su interezza. Per questo lo si riporta integralmente.

Cento anni sono passati da allora, cinquanta dalla commemorazione del Salvatorelli nel 1947 ed appena uno da quella di Mario Luzi. che ha ricordato come il tricolore abbia attraversato ‘i marosi della storia nazionale e di popolo”, divenendo, con il dolore e le sofferenze proprietà di noi tutti; ma la valutazione fondamentale non muta, nè le esortazioni fatta nelle tre occasioni sembrano superate.

Il che, ovviamente, è motivo di amarezza profonda.

(dalla rivista edita da a.n.r.p.”Rassegna”)

le bandiere italiane nella stoiria

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