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Parresìa: dire la verità è rischioso.


«Perché un cane non può simulare il dolore? E' troppo onesto?». Ludwig Wittgenstein


La Parresia è una virtù che si esplica, come ricordavano i Greci, in condizioni particolari, coltivata da coloro che avevano scelto la filosofia come "stile di vita", cioè come un insieme complesso di relazioni sociali e di altre virtù correlate. Essenziale per la parresìa è, ad esempio, che la verità venga detta ai potenti a partire da una situazione di svantaggio. Comporta dunque una forte dose di rischio. Ma tale verità è comunque tutta fatta di implicazioni morali, dove protagonista non è tanto la capacità di discernere il vero dal falso quanto il filo che unisce concetti come veracità, veridicità, sincerità, autenticità, direbbero oggi alcune nuove scuole di pensiero filosofico.
Ma veniamo al punto. Si sono rincorse voci circostanziate per mesi su cordate in essere o da venire con altri soggetti presenti sul territorio, e a noi concorrenti, circa la possibilità di un agire comune di fronte alla sfida delle gare d’appalto. Si sono immessi nella discussione sul futuro prossimo dell’appalto del centro Scandellara una serie di elementi e di scenari che, anche ammettendo parzialità di alcune fonti –ex dipendenti incattiviti, persone legate ad altre coop, ecc.- non hanno aiutato a guardare al lavoro preparatorio con la fiducia e la serenità necessaria in casi così delicati.
Il periodo di “mezzo”, verso la nascita della “Cosa” Anffas non è stato facile, inoltre, da affrontare.
La pazienza dimostrata, al limite dell’incoscienza, nell’attendere risposte, indicazioni, comunicazioni ufficiali da parte della dirigenza, dei dipendenti, sostenuti dai delegati sindacali, che hanno supplito in maniera responsabile mediando conflittualità e rateizzando soluzioni, è stata scambiata per una bonaria consuetudine da legalizzare anche con delle rigidità che, lungi dal risolvere problemi urgenti, ha contribuito ulteriormente ad alimentare il clima di confusione, ad essere buoni. Sicuramente nessuno pretende ipersoluzioni o che d’incanto cessino i meccanismi perversi che muovono, anche politicamente, le logiche degli appalti, ma che almeno sia valorizzata la risorsa del confronto e della partecipazione come piccolo momento risarcitorio di tante difficoltà quotidiane. Ed è proprio questo che è stato avvertito mancante da “quelle maestranze abbrutite” che hanno preferito percorrere la strada dell’ironia e del presidio invece che confidare nel … … … … ..
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… … Sono decenni che parlo delle stesse cose, con più o meno ascolto e verosimilmente più o meno fortuna. E mi sento stanco. Spero che la mia testimonianza giunga come ulteriore contributo a chi in questo momento sta lavorando e a chi sta aspettando questo lavoro. Senza recriminazioni.
Invito tutti i colleghi a mobilitarsi e a dare un segnale agli operatori del Centro in appalto per non farli sentire abbandonati, a scrivere ai giornali e a parlare delle proprie storie professionali in una azienda, che, comunque, continua ad essere per noi importante: a parlare della nostra idea di lavoro che non sottostà alla contabilità e alla finta integrazione neoliberista, a parlare di quanti anni abbiamo vissuto insieme a quei disabili, a quei diversamente abili che comunque, come nelle migliori famiglie, volenti o nolenti, si sono abituati alle nostre facce, ai nostri rimbrotti, alle nostre incomprensioni e al nostro amore.








Giuseppe Ferricelli
 
 
Caro Errani, I care

Egregio presidente Errani, mi trovo a scriverLe questa mia in un momento particolare che investe la vita di decine di persone disabili e delle persone che di loro hanno cura, essendo stata bandita e conclusa l’ennesima gara d’appalto per una struttura semiresidenziale per disabili posta in Via Scandellara a Bologna. In questi giorni l’Italia si sta profondamente rinnovando, scegliendo inequivocabilmente chi deve governarla per i prossimi cinque anni in tutte le regioni: la scelta coraggiosa, di parte, chiara, di un mandato al centrosinistra ha conferito molto più di un occupazione di potere. Le persone hanno chiesto a gran voce di attuare politiche solidali, di attuare riforme che hanno l’uomo e la sua umanità in tutti i suoi ambiti (scuola, servizi, cultura,famiglia, sicurezza, sanità) al centro delle scelte politiche. Veniamo subito all’oggetto della mia lettera, che, purtroppo, si trova a segnalare la solita gestione “liberista” dei servizi sociali.
Mi riferisco alle gare d’appalto al massimo ribasso che periodicamente scandiscono la vita degli utenti (e dei lavoratori) nei servizi in convenzione. Spesso ci sono da più parti, istituzionali o meno, proclami sulla necessità di trovare strumenti diversi per l’affido in gestione di queste strutture, ma, purtroppo, vuoi per mancanza apparente di strumenti alternativi, vuoi per una non corretta valutazione del problema in sé, ci si ritrova, come adesso, ad affrontare l’ennesima gara d’appalto.
Ma dov’è il problema? A costo di ripetere cose banali, ma l’occasione lo giustifica, le segnalo alcune considerazioni. Innanzitutto, cosa gravissima, non si tiene conto delle indicazioni, delle segnalazioni, del parere contrario di quelle realtà che nel sociale ci lavorano da decenni (privato sociale) e che pure hanno, nella nuova normativa regionale un ruolo importante, non solo più come indirizzo ma (forse) anche come gestione. Cosa dice (tra l’altro) chi quotidianamente convive con le mille diverse/abilità, con i problemi degli anziani, con la tossicodipendenza, col disagio: una cosa, ripeto, banale: le persone non si possono equiparare a delle merci. Ovvero: se la necessità di trasparenza, la corretta gestione democratica della vita sociale prevede che ci sia la possibilità/necessità di concedere in convenzione servizi che purtroppo “ lo stato” può garantire solo attraverso questa forma, almeno che questo strumento, laddove nel caso eccezionale debba essere utilizzato, tenga conto della storia, dei percorsi di supporto, delle relazioni significative, in poche parole, che si consideri il lavoro di chi fino ad oggi ha gestito il servizio, come risorsa aggiuntiva, come plusvalenza , come patrimonio da non disperdere per una manciata di denari in meno.
Vorrei aggiungere una riflessione. E mi rivolgo a Lei come persona, come uomo, ma anche come politico che ha fatto delle scelte significative in questo campo. Mi riferisco tra l’altro all’iniziativa della vigilia della passata legislatura, “adotta un politico”, dove in un gioco di ruoli non tanto scontato, si è messo in relazione, nella gestione di un quotidiano con un disabile, in una famiglia che di queste cose vive quotidianamente. Io penso che non sia stata solo pubblicità ma che in lei qualcosa di significativo sia scattato. Perché, come ha visto, fare i conti con certe realtà non è così facile. Se solamente una persona non riesce a comunicare correttamente col mondo, sappiamo che vive continuamente in uno stato che va dall’incertezza all’angoscia. E trovare qualche aiuto, un supporto comunicativo in una persona che ti segue da anni, oltre e se ci sono i genitori, non è facile. Perché adesso sa che esistono persone, appena poco più in là di noi, che ogni giorno combattono, a nostra insaputa e spesso col nostro disinteresse, guerre indescrivibile contro la quotidianità, la banalità di quelle che per noi sono azioni ripetitive, e spesso noi contribuiamo a rendere ancora più ostile questo mondo. Immaginare solo la complessa strategia che un portatore di disabilità (o un “diversamente/abile”) elabora per coordinare in un corpo che non risponde solo per poter portare il cucchiaio alla bocca o per trovare il punto esatto che gli permetta di stare in piedi quel tanto che basta per fare un passo verso il gabinetto, non è cosa semplice. E spesso il lavoro di noi “invisibili costruttori di altrimondi” è supportare tutte queste piccole azioni con un lavoro quotidiano non traducibile economicamente se non nella logica di quella filosofia del servizio che tanto fa a pugni con chi pensa che si possa risparmiare (speculare) e guadagnare su tutto. Vede, spesso non si riesce a comunicare negli atti burocratici, nelle relazioni aggiuntive, nelle giustificazioni certosine dell’inverosimile o solo nelle gente che ci circonda quello che realmente avviene in certi ambienti: sostituire chi per certi aspetti ha accompagnato per mano utenti negli anni più significativi della loro vita, non può essere una questione solamente economica: ci vuole dell’altro: o si dice chiaramente che si vuole risparmiare sulla loro pelle e si smette di essere ipocriti, o si fa quella cosa banale che spero un giorno possa servire a cambiare un po’ il mondo: ognuno di noi, dove può, inizi a far valere la propria sensibilità nelle scelte importanti. E lei, con i miei più sinceri auguri per la rielezione, è in uno di quei posti.

Giuseppe Ferricelli, RSU cooperativa sociale Bologna Integrazione a marchio Anffas, Responsabile 626 dei lavoratori per la sicurezza.
 
Resilienza

Ti pieghi o ti spezzi?

A livello fisico la Resilienza è la capacitá di un materiale di resistere a urti improvvisi senza spezzarsi. Nelle scienze sociali per estensione la resilienza (o forza d’animo) è “un tratto della personalità complesso in cui convergono diversi fattori o attitudini: temperamentali, familiari, sociali, culturali,educativi, spirituali. E’ legato all’istinto di sopravvivenza …” ( A. Oliverio Ferrarsi, La forza d’animo).
“La resilienza corrisponderebbe alla capacitá umana di affrontare le avversitá della vita, superarle e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato” (Grotberg, 1996).
Ovvero,la resilienza é la capacitá umana di affrontare gli avvenimenti dolorosi e risorgere dalle situazioni traumatiche.

Vim facere diis

Una Fenice in difficoltà è riuscita a superare le barriere di argonauti apostati e si è arrivati finalmente ad un punto di partenza, nonostante l’impressione di un Mulino d’Amleto che non potesse vivere di vita propria abbia accompagnato un percorso tutt’altro che facile. Nasce così Anffas Bologna Integrazione, una cooperativa sociale che si inserisce in un contesto più ampio di Consorzio a livello nazionale in quello che è il nuovo stato giuridico dell’ Anffas limitatamente alla gestione dei servizi.

Delegato sociale

Esiste anche una forma di resilienza collettiva, quella capacità per cui di fronte a eventi disastrosi i “sopravvissuti” del luogo con una forza d’animo incredibile riescono ad organizzarsi ed aiutare chi si trova in grave difficoltà. Ed è in questo senso che la proposta di attivare una risorsa dall’interno che possa essere capace di intercettare i problemi delle persone a partire dal posto di lavoro, di ascoltare e capire, costruendo momenti di benessere e partecipazione trova il suo significato di esistere.
Antenne che “captano” il disagio sui luoghi di lavoro, sviluppando azioni d’inclusività, quando problemi personali, problemi familiari, quando la vita del singolo peggiora e si riverbera, in modo più o meno evidente, su quella lavorativa, sullo sfondo di una società sempre più frantumata e stratificata: così veniva presentata la figura del delegato sociale, una figura nata in Emilia-Romagna e fortemente voluta da tutti i sindacati.
E alla firma del protocollo d’intenti fra Regione e sindacati, appunto, Gianluca Borghi, assessore regionale alle Politiche Sociali, sottolineava che ““Quella del delegato sociale è una nuova frontiera dell’impegno sindacale. L’essere, da parte loro, dentro luoghi di lavoro, il farsi carico di costruire relazioni, è fondamentale per una nuova dimensione della solidarietà, che la Regione intende sostenere in tutti i modi, con il pieno coinvolgimento dei sindacati”.
Il suo ruolo consiste nell'applicare metodologie utili a fare emergere il disagio, a stabilire un rapporto positivo con il contesto sociale del luogo di lavoro, e nell' essere di stimolo alla RSU e all’Azienda affinché vengano attivate tutte le risorse disponibili: quelle ancora presenti nel soggetto interessato, quelle del contesto sociale del luogo di lavoro quelle possibili da attivarsi in relazione a problematiche particolari.

Giuseppe Ferricelli