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Per adesso ...
 
 
Dal concetto di centro al percorso di una rete di “comunità di servizi” allargata

Premessa: inclusione obbligatoria

Parte prima: Tutti uguali con potenzialità diverse, apriamo le isole che ci sono

“ Ogni cosa deve trasformarsi in qualcosa di migliore e acquisire un nuovo destino”
Paolo Coelho, l’Alchimista

Se consideriamo i nessi che le potenzialità di un fare locale sviluppa nel corpo sociale che lo ospita si può finalmente capire l’importanza o purtroppo la negazione di un percorso integrativo non del singolo ma della comunità “grembo” nel suo insieme. La necessità oramai inderogabile di una visibilità intesa come necessità/metodo di lavoro trova motivazione nel concetto stesso di comunità, laddove esso designa un collettivo molto unito (anche se delimitato territorialmente e umanamente) i cui membri, partecipando attivamente di questo sentimento unitario, agiscono non solo in funzione di un tornaconto particolare ma anche dell’interesse comune. La potenzialità dei rapporti quindi scavalcano ragioni meramente utilitaristiche ma sono improntati alla “reciproca comprensione”, al sentimento positivo della relazione con gli altri membri, al reciproco aiuto e sostegno quando e dove sia necessario: in questo modo favorendo un’inclusione attraverso i processi di auto ed etero identificazione.
Essere punto di riferimento del territorio, entrare nelle scuole di ogni ordine e grado, con progetti particolari o semplici laboratori; collaborare con i quartieri, i centri sociali, le biblioteche ai quali proporre le proprie idee e le proprie attività; collaborare con altre associazioni e altri Enti che abbiano interesse ad attivare percorsi di integrazione, animazione, di ricerca, di incontro tra le persone e il loro fare: cominciando col portare fuori con mostre, rassegne, feste, manifestazioni culturali, laboratori interattivi quel sapere, quel vissuto tenuto dentro o temuto dentro: far vedere quello che si riesce a fare, quello che riusciamo a fare insieme ai disabili può essere una spinta verso un modello di lavoro, verso uno sviluppo inclusivo, perché sono anni che vediamo come la frammentazione delle esperienze portano anche alla frammentazione della persona. Perché fondamentalmente l’integrazione implica reciprocità, cioè la presa d’atto che la comunicazione ha due sensi, non è a senso unico, e che questa comunicazione modifica costantemente gli attori della comunicazione stessa. E bisogna ricordare a chi gestisce che questa integrazione tra servizi e territorio anzi parlare di integrazione delle attività dei centri nel contesto socio-culturale presuppone aperture e reciprocità che non possono essere solo le forme di controllo attuali, di indirizzo o appalto.

Parte seconda: i linguaggi degli altri: le parole di Sergio contro tutte le altre

“Alice,girando nel giardino incantato domanda al giglio:ma voi sapete parlare? E il giglio risponde: si, purchè si abbia da parlare con qualcuno con cui ne valga la pena”…

La risorsa di un gruppo ben sintonizzato è notoriamente molto potente. Circola tanta energia. Ma tale risorsa va valorizzata e supportata. I tanti esempi di fallimento dovrebbero far riflettere. Coinvolgimenti troppo intensi normalmente inducono nei singoli fenomeni tipici di chiusura, rifiuto, isolamento, dipendenza o controdipendenza nella stessa misura in cui mancanza di partecipazione e condivisione provoca attacchi, fughe, ricerca di alleanze, incomprensioni. La necessità è quella di riconsiderare il rapporto tra operatori e territorio, tra lavoratori e azienda, anche coi disabili, ricomporre i ruoli, i rapporti, tra tutti gli attori impegnati, il linguaggio perfino, complessivo, dell’organizzazione. Perché partire dalla reciprocità dell’impegno è soprattutto comprendere i linguaggi degli altri. Buon lavoro.


A cura di Giuseppe Ferricelli