Legislazione
 
Legge564

Il lavoro a tempo parziale
Circolare n. 9 del 18 marzo 2004 (G.U. n. 75 del 30 marzo 2004)

Legge 626

Agevolazioni fiscali per disabili (Link)
Agevolazioni fiscali per disabili
 
Legge 564
 
 
 
Delibera di Giunta - N.ro 2000/564 - del 1/3/2000

Oggetto: DIRETTIVA REGIONALE PER L'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO
DELLE STRUTTURE RESIDENZIALI E SEMIRESIDENZIALI PER MINORI,
PORTATORI DI HANDICAP, ANZIANI E MALATI DI AIDS, IN ATTUA-
ZIONE DELLA L.R. 12/10/1998, N. 34.
Prot. n. (DPS/00/7086)
___________________________________________________________
LA GIUNTA DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Vista la L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 "Riordino e programmazione delle funzioni di assistenza sociale" ed in particolare gli articoli 9, 36 e 37 in materia di autorizzazione al funzionamento delle strutture socio-assistenziali residenziali e semiresidenziali;
Ricordato che la disciplina sopra indicata delegava ai Comuni le funzioni amministrative in materia di autorizzazione al funzionamento e vigilanza sulle strutture socio-assistenziali, disp onendo inoltre che i requisiti minimi richiesti per ottenere l'autorizzazione al funzionamento fossero stabiliti dal Consiglio regionale;
Ricordato altresì che ai sensi della disciplina soprarichiamata sono state approvate le seguenti direttive regionali:
- delibera del Consiglio regionale n. 560 del 11 luglio 1991 "Direttiva sull'autorizzazione al funzionamento di strutture socio-assistenziali per cittadini portatori di handicap e per anziani ai sensi della L.R. 12 gennaio 1985, n. 2, artt. 9, 36 e 37";
- delibera del Consiglio regionale n. 2134 del 28 settembre 1994 "Integrazioni e modifiche alla "Direttiva sull'autorizzazione al funzionamento di strutture socio-assistenziali per cittadini portatori di handicap e per anziani ai sensi della L.R. 12 gennaio 1985, n. 2, artt. 9, 36 e 37" di cui alla deliberazione del Consiglio re gionale n. 560 del 11 luglio 1991";
- delibera del Consiglio regionale n. 779 del 10 dicembre 1997 "Direttiva sui requisiti funzionali e strutturali, sulle procedure per il rilascio, la sospensione, la revoca dell'autorizzazione al funzionamento e sui criteri di vigilanza per le comunità socio-assistenziali residenziali e semiresidenziali per minori";
Vista la L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 "Norme in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private in attuazione del D.P.R. 14 gennaio 1997, nonché di funzionamento di strutture pubbliche e private che svolgono attività socio-sanitaria e socio-assistenziale" ed in particolare gli articoli 1 commi 1 e 3, 2 comma 5, 3 commi 2 e 3, 15, comma 1 lett. c), d), e) e 16, in materia di strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie;
Dato atto che la L.R. n. 34 del 1998 citata:
- subordina al rilascio di specifica autorizzazione il funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali pubbliche e private che svolgono attività socio-assistenziale e socio-sanitaria (articolo 1 comma 1);
- prevede che la Giunta regionale con propria direttiva, sentita la Commissione consiliare Sicurezza Sociale, stabilisca i requisiti minimi generali e specifici necessari per ottenere l'autorizzazione al funzionamento, disciplinando altresì il coordinamento delle procedure concernenti l'autorizzazione all'esercizio delle attività sanitarie con quelle socio-assistenziali e socio-sanitarie (articolo 1 comma 3);
- attribuisce ai Comuni le funzioni amministrative in materia d i autorizzazione al funzionamento e vigilanza sulle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie, stabilendo che le stesse vengano esercitate anche avvalendosi dei servizi dell'Azienda USL, secondo modalità e termini stabiliti con la direttiva di cui al punto precedente (articolo 3 comma 2);
- prevede che qualsiasi soggetto pubblico o privato che intenda aprire, ampliare o trasformare strutture socio-assistenziali o socio-sanitarie deve presentare domanda al Comune nel quale la struttura è ubicata (articolo 3, comma 3);
- abroga le norme della L.R. n. 2 del 1985 in materia di autorizzazione al funzionamento di strutture socio-assistenziali, in quanto la materia è stata disciplinata con la L.R. n. 34 del 1998 (articolo 15, comma 1, lett. c), d), e));
- fa salve, fino all'approvazione da parte della Giunta regionale della direttiva d i cui all'articolo 1, comma 3, le disposizioni ed i requisiti adottati in attuazione della L.R. n. 2 del 1985 (articolo 16);
Dato atto che, così come previsto dalla L.R. n. 34 del 1998, si è provveduto ad elaborare una nuova direttiva regionale in materia di autorizzazione al funzionamento nella cui stesura:
- si è tenuto conto dell'esperienza degli oltre otto anni di applicazione delle direttive n. 560/91 e seguenti sul territorio regionale;
- si è tenuto conto delle modifiche istituzionali avvenute negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda i rapporti Comuni/USL nell'esercizio delle funzioni socio-assistenziali (superamento della gestione obbligatoriamente associata e passaggio al sistema delle deleghe volontarie) e dell'attribuzione delle funzioni amministrative in materia di autori zzazione al funzionamento ai Comuni;
- sono state raccolte le proposte ed osservazioni dei diversi settori dell'Assessorato (anziani, disabili, minori), che hanno recepito e valutato anche l'esperienza fin qui fatta nei diversi territori nell'applicazione delle direttive in oggetto;
- è stato svolto un confronto ed un lavoro comune con i competenti uffici dell'Assessorato alla Sanità, al fine di pervenire alla individuazione e definizione delle tipologie di strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie destinate a cittadini malati di AIDS;
- è stato fatto un lavoro di costante rilettura per fare sì che i continui e necessari aggiornamenti del testo, frutto dei diversi momenti di confronto con i settori interessati, garantissero comunque - pur nella specificità di ciascuna tipologia di struttura tra quelle individuate - un linguaggio omogeneo e comune, oltre alla necessaria coerenza negli approcci generali;
- sono state previste le necessarie disposizioni di coordinamento con le precedenti direttive di cui alle deliberazioni di Consiglio regionale nn. 560/91, 2134/94 e 779/97, più sopra citate, al fine di garantire una corretta ed omogenea applicazione della presente direttiva ed un ordinato passaggio dal regime disciplinato dalla L.R. n. 2 del 1985 all'attuale, disciplinato dalla L.R. n. 34 del 1998;
Dato atto:
- che, con successivo provvedimento integrativo del presente, verranno definiti i requisiti specifici delle strutture che accolgono anziani affetti da demenza senile, sulla base delle esperienze e sperimentazioni che si realizzer anno in attuazione del Progetto regionale demenze recentemente approvato con deliberazione di Giunta regionale n. 2581 del 30 dicembre 1999;
- che, con successivo provvedimento integrativo del presente, verranno inoltre definite le tipologie e le caratteristiche delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie destinate a persone con problematiche psico-sociali;
Visti inoltre:
- la legge 23 dicembre 1975, n, 698 "Scioglimento e trasferimento delle funzioni dell'Opera nazionale per la protezione della maternità e dell'infanzia";
- la legge 4 maggio 1983, n. 184 "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori";
- la legge 28 agosto 1997, n. 285 "Disposizioni per la promozione di diritti e di opport unità per l'infanzia e l'adolescenza";
- la legge regionale 3 febbraio 1994, n. 5 "Tutela e valorizzazione delle persone anziane - interventi a favore di anziani non autosufficienti";
- la legge 5 febbraio 1992, n. 104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate";
- la deliberazione del Consiglio regionale n. 375 del 14 febbraio 1991 "Programma regionale degli interventi per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS" e successive modificazioni ed integrazioni;
- il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419", ed in particolare l'articolo 3-septies;
- il D.P.R. 23 luglio 1998 "Approvazione del Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000";
- il Piano sanitario 1999-2001, ed in particolare il capitolo 8 "L'integrazione socio-sanitaria";
- la legge regionale 21 aprile 1999, n. 3 "Riforma del sistema regionale e locale";
- il D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403 "Regolamento di attuazione degli articoli 1, 2 e 3 della legge 15 maggio 1997, n. 127, in materia di semplificazione delle certificazioni amministrative";
- la legge 4 gennaio 1968, n. 15 "Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione delle firme";
Dato atto:
- che, ai sensi dell'articolo 16 della L.R. n. 34 del 1998, con l'approvazione della dire ttiva allegata al presente atto quale parte integrante e sostanziale, sono superate le disposizioni adottate in attuazione della L.R. n. 2 del 1985 in materia di autorizzazione al funzionamento di strutture residenziali e semiresidenziali socio-assistenziali;
- che la direttiva oggetto del presente atto è stata sottoposta al parere della Conferenza Regione/Autonomie Locali nella seduta del 11 febbraio 2000;
Acquisito il parere favorevole della Commissione Consiliare "Sicurezza Sociale" espresso nella seduta del 29 febbraio 2000;
Dato atto del parere favorevole espresso dal Direttore Generale Politiche Sociali dott. Francesco Cossentino e dal Direttore Generale Sanità dott. Franco Rossi in merito alla legittimità e rego larità tecnica del presente atto deliberativo, per quanto di rispettiva competenza, ai sensi dell'art. 4, comma 6 della L.R. 19 novembre 1992, n. 41 e della propria deliberazione n. 2541 del 4 luglio 1995;
Su proposta congiunta dell'Assessore Politiche Sociali, educative e familiari. Qualità urbana. Immigrazione. Aiuti internazionali e dell'Assessore alla Sanità;
A voti unanimi e palesi
D E L I B E R A
1) di approvare l'allegata "Direttiva regionale per l'autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori, portatori di handicap, anziani e malati di AIDS, in attuazione della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34" ed i relativi allegati (allegato 1 "Modello domanda", Mod. AUT1, Mod. VER 1, Mod. PROVV, Mod. DEN1) quali parti integranti e sostanziali del presente provvedimento;
2) di dare atto che, ai sensi dell'articolo 16 della L.R. n. 34 del 1998, con l'approvazione della direttiva di cui al precedente punto 1) sono superate le disposizioni adottate in attuazione della L.R. n. 2 del 1985 in materia di autorizzazione al funzionamento di strutture residenziali e semiresidenziali socio-assistenziali;
3) di pubblicare la presente direttiva nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna.
- - -
DIRETTIVA REGIONALE PER L'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO DELLE STRUTTURE RESIDENZIALI E SEMIRESIDENZIALI PER MINORI, PORTATORI DI HANDICAP, ANZIANI E MALATI DI AIDS, IN ATTUAZIONE DELLA L.R. 12 OTTO BRE 1998, n. 34
PARTE I
DISPOSIZIONI GENERALI
1. AMBITO DI APPLICAZIONE
La presente direttiva si applica alle strutture che, indipendentemente dalla denominazione dichiarata, offrono servizi rivolti a cittadini che si trovano in difficoltà a maturare, recuperare e mantenere la propria autonomia psico-fisica e relazionale, perseguendo la finalità di favorire processi di emancipazione da situazioni di privazione/esclusione.
2. STRUTTURE SOGGETTE ALL'OBBLIGO DI AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO
L'obbligo di autorizzazione al funzionamento previsto dall'art. 1 della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 riguarda le strutture già funzionanti alla data di entrata in vigore della presente direttiva e quelle di nuova istituzione, gestite sia da soggetti pubblici che privati che:
- hanno sede nel territorio regionale;
- offrono ospitalità di tipo residenziale e semiresidenziale e - indipendentemente dalla denominazione dichiarata - rientrano nelle tipologie specifiche indicate nella parte II della presente direttiva ed offrono servizi rivolti a:
- minori per interventi socio-assistenziali integrativi o sostitutivi della famiglia;
- cittadini port atori di handicap per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero dei livelli di autonomia della persona e sostegno della famiglia;
- anziani per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona ed al sostegno della famiglia;
- cittadini malati di AIDS o con infezione da HIV che necessitano di assistenza continua e risultano privi del necessario supporto familiare, o per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale.
3. STRUTTURE NON SOGGETTE ALL'OBBLIGO DI AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO
Non sono soggette all'o bbligo di autorizzazione al funzionamento:
- le strutture con finalità prettamente abitative;
- le strutture che offrono ospitalità ai soli fini della frequenza a corsi scolastici o di istruzione;
- le strutture con finalità formative o di inserimento lavorativo;
- le strutture di cui L.R. 25 ottobre 1997, n. 34 "Delega ai Comuni delle funzioni di controllo e vigilanza sui soggiorni di vacanza per minori";
- le strutture con finalità diverse da quelle socio-assistenziali anche se al loro interno sono ospitati soggetti deboli o a rischio di emarginazione;
- gli appartamenti protetti ed i gruppi appartamento per anziani e disabili, le case famiglia, che accolgon o fino ad un massimo di sei ospiti.
Il soggetto gestore di queste strutture è comunque tenuto a comunicare l'avvio di tali attività con le modalità di cui al successivo paragrafo 9.1.
Tali strutture, se ospitano minori oggetto di intervento educativo-assistenziale collocati fuori dalla famiglia d'origine, devono rispettare i requisiti funzionali di cui alla parte II "Disposizioni specifiche", paragrafo 4.2 e devono prevedere almeno una unità di personale educativo con i requisiti di cui alla Parte II "Disposizioni specifiche", paragrafo 4.2.1.
4. ATTIVITA' SANITARIE O A RILIEVO SANITARIO
Le strutture oggetto della presente direttiva svolgono attività sanitarie e a rilievo sanitario connesse con quelle socio-assisten ziali, secondo quanto indicato nei requisiti specifici delle singole tipologie di strutture previste nella parte II.
4.1 COORDINAMENTO DELLE PROCEDURE CONCERNENTI L'AUTORIZZAZIONE ALL'ESERCIZIO DELLE ATTIVITA' SANITARIE CON QUELLE SOCIO-SANITARIE E SOCIO-ASSISTENZIALI (L.R. 34/98 ART. 1, COMMA 3)
L'autorizzazione al funzionamento delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie comprende in sé anche l'autorizzazione all'esercizio delle attività sanitarie previste dagli standard minimi stabiliti per ciascuna delle tipologie di strutture indicate nella parte II della presente direttiva.
Laddove in una struttura si svolgano altre attività sanitarie, ulteriori rispetto ai requisiti minimi stabiliti per ciascuna tipologia di struttura, ovvero si svolgano attività sanitarie destinate anche ad utenza esterna alla struttura, queste devono essere autorizzate ai sensi del D.P.R. 14 gennaio 1997 e della L.R. n. 34/98 e successive disposizioni attuative.
Nei casi di cui al capoverso precedente, devono essere annotati in calce all'atto di autorizzazione al funzionamento gli estremi dell'atto di autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie.
5. REQUISITI MINIMI FUNZIONALI E STRUTTURALI DI CARATTERE GENERALE
Tutte le strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali devono possedere i requisiti minimi funzionali e strutturali previsti dal presente paragrafo e dai paragrafi 5.1 e 5.2. Tali requisiti attengono alla sicurezza degli ute nti e degli operatori, nonché alla qualità minima delle prestazioni erogate.
Tutte le strutture devono essere in possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza, previsti per le singole tipologie indicate nella II parte della presente direttiva, in relazione alle loro caratteristiche.
Tutte le strutture esercitano la propria attività nel rispetto dei principi di cui all'articolo 4 della L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 e di cui all'articolo 188 della L.R. 21 aprile 1999, n. 3.
5.1 REQUISITI COMUNI A TUTTE LE STRUTTURE DAL PUNTO DI VISTA STRUTTURALE
- organizzazione degli spazi interni (camere, sale, servizi igienici, ecc.) tale da garantire agli ospiti il massimo di fruibilità e di privacy, con particolare riferimento al mantenimento e sviluppo dei livelli di autonomia individuale;
- laddove, nei requisiti strutturali minimi indicati nella parte II della presente direttiva, si fa riferimento a locali "adeguati alle modalità organizzative adottate per il servizio", l'adeguatezza va valutata anche tenuto conto delle modalità che il gestore intende adottare per l'erogazione di alcuni servizi, quali ad esempio la lavanderia e la preparazione pasti, per i quali può essere previsto il ricorso a soggetti esterni o comunque con organizzazione esterna alla struttura;
- adozione di soluzioni architettoniche e suddivisione degli spazi interni che tengano conto delle caratteristiche dell'utenza a cui è destinata la struttura, al fine di garantire la funzionalità delle attività che vi vengono svolte;
- ubicazione in luoghi abitati e comunque facilmente raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici; ciò al fine di permettere la partecipazione degli utenti alla vita sociale del territorio, nonché la facilità per i visitatori di raggiungere gli ospiti della struttura;
- per le case di riposo e case protette/RSA: sistema di riscaldamento invernale e di rinfrescamento estivo con possibilità di regolazione differenziata della temperatura per ambiente e di controllo per l'umidità e il ricambio di aria;
- impianto di luci di sicurezza;
- per le strutture residenziali: impianto di illuminazione notturna; impianto TV nelle camere; presenza di almeno un telefono pubblico negli spazi comuni;
< P ALIGN="JUSTIFY">
5.2 REQUISITI COMUNI A TUTTE LE STRUTTURE DAL PUNTO DI VISTA ORGANIZZATIVO-FUNZIONALE
- deve essere presente un registro degli ospiti costantemente aggiornato; tale registro deve essere mostrato su richiesta ai soggetti che effettuano la vigilanza nonché alle altre autorità competenti;
- l'utenza ospitata deve presentare caratteristiche omogenee rispetto ai bisogni assistenziali espressi; in caso contrario le necessità assistenziali devono comunque essere tra loro compatibili, anche in relazione alle finalità della struttura ed alle caratteristiche della stessa;
- la qualità e quantità degli arredi deve essere conforme a quanto in uso nelle civili abitazioni; gli arredi, le attrezzature e gli utensili devono essere curati, esteticamente gradevoli, nonché p ermettere una idonea funzionalità d'uso e fruibilità in relazione alle caratteristiche dell'utenza ospitata;
- deve essere garantita agli utenti la possibilità di utilizzare arredi e suppellettili personali, in particolare nelle strutture a carattere residenziale; tale possibilità deve essere esplicitata nella Carta dei Servizi di cui al successivo paragrafo 6.1, con l'indicazione delle relative modalità e limiti;
- deve essere predisposto per ogni utente un piano individualizzato di assistenza;
- per le strutture per minori: deve essere predisposto per ogni utente un progetto educativo individuale;
- le attività devono essere organizzate nel rispetto dei normali ritmi di vita degli ospiti;
- deve essere garanti ta la possibilità - in relazione alle eventuali specifiche esigenze dietetiche degli ospiti - di somministrare pasti personalizzati;
- deve essere adottato un regolamento o Carta dei servizi della struttura da consegnare a ciascun utente e/o familiare al momento dell'ingresso in struttura;
- devono essere informati gli utenti e/o parenti - al momento dell'ingresso in struttura - di quanto previsto dalla deliberazione di Giunta regionale n. 477 del 12/04/1999 "Criteri per l'individuazione dei costi per l'assistenza medica generica e per l'assistenza specifica nei servizi semiresidenziali e residenziali per anziani e disabili in possesso dell'autorizzazione al funzionamento prevista dalle norme regionali";
- deve essere garantita la possibilità per parenti e conoscenti di effettuare visite agli ospiti della struttura, anche sollecitandone la p artecipazione e l'apporto per il miglioramento del servizio; le modalità di visita agli ospiti della struttura, ove si intenda disciplinarle, devono essere contenute nel regolamento o Carta dei servizi di cui al punto precedente;
- deve essere favorito l'apporto del volontariato presente sul territorio;
- in ogni struttura deve essere previsto un coordinatore responsabile ed un responsabile delle attività sanitarie ove previste;
- devono essere rispettati gli obblighi informativi verso Regione e Province relativi all'aggiornamento annuale della banca dati delle strutture di cui al successivo paragrafo 10..
5.2.1 REQUISITI COMUNI RIGUARDANTI IL PERSONALE
In considerazione delle modifiche in corso nella normativa nazionale sui profili professionali in area sociale e socio-sanitaria e sui relativi percorsi formativi, le indicazioni espresse su tali ambiti dalla presente direttiva saranno oggetto di successivi aggiornamenti e integrazioni.
All'interno di ogni struttura deve operare - in relazione a quanto previsto dalle disposizioni specifiche della Parte II - personale socio-assistenziale, socio-sanitario ed educativo, in possesso di adeguata qualificazione ottenuta tramite la frequenza a corsi teorico-pratici, come previsto dalle direttive regionali della formazione in materia e dal presente provvedimento.
Nel caso in cui il personale sia sprovvisto di specifica qualificazione deve essere in possesso di un curriculum professionale e formativo adeguato alle funzioni da svolgere, comprensivo di esperienz a lavorativa specifica almeno biennale; deve avere inoltre partecipato ad attività formative mirate, salvo quanto previsto nella Parte II "Disposizioni specifiche", paragrafo 4.2.1.
Se il personale è sprovvisto di qualifica, al soggetto gestore, ad eccezione dei gestori di strutture per minori, è rilasciata autorizzazione provvisoria al funzionamento con le modalità di cui al successivo paragrafo 6..
Il personale addetto alle funzioni socio-assistenziali, socio-sanitarie ed educative è di norma il seguente:
- educatore professionale in possesso di attestato di abilitazione rilasciato ai sensi del D.M. Sanità 10 febbraio 1984;
- educatore professionale ai sensi della Direttiva Comunitaria 51/1992, in possesso dell'attestato regionale di qualifica r ilasciato al termine di Corso di formazione attuato nell'ambito del progetto APRIS;
- educatore in possesso di diploma di laurea in Scienze dell'Educazione o in Scienze della Formazione, indirizzo "Educatore professionale extrascolastico";
- addetto all'assistenza di base in possesso dell'attestato regionale di qualifica;
- animatore in possesso dell'attestato regionale di qualifica;
- responsabile di attività assistenziali in possesso di certificato regionale di specializzazione o di attestato regionale di frequenza;
- coordinatore responsabile di struttura in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale valutabile dal curriculum posseduto;
- istruttore per specifiche attivit&agr ave;.
L'organizzazione del lavoro deve prevedere momenti di lavoro in équipe, programmi annuali di formazione e aggiornamento del personale con indicazione del responsabile, nonché azioni di supervisione da attuare con l'impiego di professionisti esperti.
Il personale deve portare ben visibile (ad eccezione di quello delle strutture per minori) un tesserino identificativo rilasciato dal gestore della struttura dove devono essere indicati il nome e la qualifica rivestita.
L'utilizzo di volontari ed obiettori di coscienza deve essere preceduto ed accompagnato dalle attività formative ed informative necessarie ad un proficuo inserimento nella struttura, nell'ambito dei progetti d'intervento riferiti ai piani individuali di assis tenza o, nel caso di strutture per minori, ai progetti educativi; anche per i volontari e gli obiettori di coscienza vale l'obbligo del tesserino identificativo previsto al capoverso precedente (ad eccezione delle strutture per minori), rilasciato dal gestore della struttura o dall'organizzazione di volontariato se esiste un accordo di collaborazione tra questa e il soggetto gestore.
6. PROCEDURA PER IL RILASCIO DELLA AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO
L'autorizzazione al funzionamento di cui alla presente direttiva deve essere acquisita prima dell'inizio dell'attività della struttura. A tal fine il legale rappresentante del soggetto gestore presenta apposita domanda al Comune nel cui territorio è ubicata la struttura, secondo il modello a ciò predisposto dalla Regione ai sensi dell'articolo 3, comma 3 della L.R. n. 34/98, ed a llegato alla presente direttiva (allegato 1).
Sono altresì soggette a preventiva autorizzazione al funzionamento, secondo le modalità di cui alla presente direttiva, tutte le trasformazioni e/o gli ampliamenti di strutture già autorizzate ai sensi della presente direttiva e delle direttive regionali di cui alle deliberazioni del Consiglio regionale n. 560 del 11/07/1991, n. 2134 del 28/09/1994 e n. 779 del 10/12/1997, che comportino il rilascio di concessione edilizia o che modifichino la capacità ricettiva autorizzata.
Sono inoltre soggette a preventiva autorizzazione al funzionamento secondo le modalità sopra indicate, le trasformazioni consistenti nella modifica di tipologia di struttura tra quelle previste nella parte II.
Ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della L.R. n. 34/98, per l'attività istruttoria dell e domande oggetto della presente direttiva, il Comune si avvale della Commissione di cui al successivo paragrafo 6.2.
Il Comune, acquisiti i risultati dell'attività istruttoria e preso atto del parere formulato dalla Commissione di cui al paragrafo 6.2, rilascia l'autorizzazione al funzionamento; in caso di parere negativo, sulla base degli elementi forniti dalla Commissione, indica gli adeguamenti da porre in essere prima dell'inizio dell'attività della struttura. A seguito della comunicazione del legale rappresentante della struttura di avere ottemperato a quanto richiesto, il Comune provvede - attraverso la Commissione alla verifica. In caso di riscontro positivo provvede al rilascio dell'autorizzazione al funzionamento.
In casi eccezionali e straordinari, da indicare espressamente nell'atto di autorizzazione, il Comune può autorizzare provvisoriamente una struttura fatto salvo e ventuali prescrizioni di interventi edilizi di lieve entità, da effettuarsi entro il termine massimo di 18 mesi non prorogabili, previa acquisizione del parere della Commissione in ordine al fatto che gli interventi prescritti non pregiudicano la sicurezza o l'incolumità degli ospiti o degli operatori, nonché la funzionalità della struttura al servizio per il quale è destinata.
I requisiti funzionali ed organizzativi vengono dichiarati nella domanda di autorizzazione al funzionamento nei modi e con le modalità indicate al successivo paragrafo 6.1 "Domanda per il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento".
In sede di prima istruttoria - per quanto riguarda i requisiti funzionali ed organizzativi - si effettua il riscontro di quanto dichiarato con quanto previsto dalla p resente direttiva; successivamente al rilascio dell'autorizzazione al funzionamento, e comunque entro e non oltre 90 giorni dal rilascio, il Comune provvede - mediante l'apposita Commissione - al sopralluogo per la verifica.
In nessun caso possono essere concesse autorizzazioni provvisorie per quanto attiene ai requisiti funzionali ed organizzativi, salvo il caso di oggettiva carenza di personale educativo od addetto all'assistenza di base in possesso dei titoli ed attestati di cui al precedente paragrafo 5.2.1, attestata dalla Amministrazione provinciale competente; in questi casi occorre che per il personale privo di qualifica sia verificato almeno il possesso della necessaria esperienza e capacità professionale, maturata in strutture della stessa od analoga tipologia di quella oggetto di autorizzazione al funzionamento, valutabile dal curriculum posseduto.
L'Amministrazione provinciale, ne ll'attestazione di cui al precedente capoverso, indica i tempi previsti per l'attuazione delle attività formative specifiche, nell'ambito della propria programmazione e tenuto conto della durata dei diversi percorsi formativi. Sulla base dell'attestazione provinciale il Comune fissa i termini dell'autorizzazione provvisoria, previa acquisizione della dichiarazione del legale rappresentante della struttura di impegno ad avviare a formazione o riqualificazione gli operatori interessati nei termini indicati.
Per il personale operante nelle strutture per minori valgono le disposizioni specifiche di cui alla Parte II, paragrafo 4.2.1.
6.1 DOMANDA PER IL RILASCIO DELL'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO
Alla domanda per il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento, compilata sul modello a ci ò predisposto dalla Regione ed inoltrata al Comune nel cui territorio è ubicata la struttura, deve essere allegata la seguente documentazione:
- planimetria quotata dei locali della struttura, con l'indicazione della destinazione d'uso dei singoli ambienti;
- dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà ai sensi del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403 e della L. 4 gennaio 1968, n. 15, del legale rappresentante del soggetto gestore, attestante che la struttura rispetta la normativa vigente in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza; nella dichiarazione sostitutiva devono essere indicate la data del rilascio e l'autorità emanante dei certificati e degli altri atti amministrativi; si richiama quanto previsto all'art. 26 della L. n. 15 del 1968 in materia di sanzioni, e quanto previsto all'art. 11 del D.P.R. n. 403 del 1998 in materia di controlli sul contenuto delle dichiarazioni sostitutive.
- per le strutture per minori: copia del progetto educativo generale della struttura che espliciti le metodologie educative che si intendono adottare, il tipo di utenza che si intende ospitare e la fascia d'età a cui ci si rivolge (Parte II "Disposizioni specifiche", paragrafo 4.2);
- copia del modello di cartella personale in uso presso la struttura;
- dichiarazione a firma del legale rappresentante del soggetto gestore indicante le qualifiche ed il numero del personale previsto per la struttura a regime; la verifica del rispetto di quanto dichiarato sarà effettuata successivamente all'inizio dell'attività con le modalità indicate al precedente paragrafo 6.;
- dichiarazione a firma del legale rappresentante del soggetto gestore indicante il nominativo del coordinatore responsabile e del responsabile delle attività sanitarie ove previste, specificando per quest'ultimo il possesso dei titoli posseduti richiesti dalla legge; nel caso di cambiamenti dei soggetti sopra indicati, è fatto obbligo al legale rappresentante di darne tempestiva comunicazione al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione al funzionamento ed alla Amministrazione provinciale competente, ai fini della tenuta del Registro di cui al successivo paragrafo 8.;
- dichiarazione a firma del legale rappresentante del soggetto gestore indicante il nominativo del responsabile del servizio protezione e prevenzione ai sensi del D.lgs. 626/94;
- per le strutture residenziali: copia del regolamento o Carta dei Servizi adottata dalla struttura in cui devono essere indicate:
- la retta totale richiesta all'ospite o al soggetto che provvede al pagamento; nel caso di stipula di convenzione con l'Azienda USL per il rimborso degli oneri a rilievo sanitario ai sensi delle direttive regionali vigenti, la Carta dei Servizi andrà integrata con l'indicazione della quota portata in detrazione perché oggetto di rimborso al gestore;
- le attività ed i servizi erogati ricompresi nella retta di cui sopra;
- le attività ed i servizi garantiti a richiesta non ricompresi nella retta, con l'indicazione delle relative tariffe;
- le modalità - se soggette a restrizione di orari o di altro genere - di accesso di soggetti esterni alla struttura (parenti, volontari, ecc.);
- gli orari d i presenza in struttura del personale sanitario ove previsto;
- le modalità con cui vengono effettuate le ammissioni e le dimissioni;
- le regole di vita comunitaria;
- le modalità ed i limiti per l'utilizzo di arredi e suppellettili personali di cui al precedente paragrafo 5.2.
6.2 ATTIVITA' ISTRUTTORIA
Il Comune, per l'accertamento dei requisiti minimi previsti dalla presente direttiva, si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 della L.R. n. 34 del 1998.
Ogni Commissione dovrà essere composta da almeno 7 esperti, oltre al Presidente, con documentate competenze ed esperienze in materia di:
a) edilizia socio-sanitaria;
b) impiantistica generale;
c) organizzazione e sicurezza del lavoro;
d) organizzazione e gestione di servizi sociali;
e) neuropsichiatria e riabilitazione;
f) geriatria;
g) assistenza ai minori.
Gli esperti di cui alle precedenti lettere a), b), c) sono gli stessi già individuati ai sensi della deliberazione di Giunta regionale dell'8 febbraio 1999, n. 125.
Il Responsabile del Dipartimento di prevenzione attiva di volta in volta, nell'ambi to della suddetta Commissione, un gruppo ispettivo correlato e commisurato alla tipologia e alle dimensioni della struttura per la quale è stata richiesta l'autorizzazione al funzionamento.
Gli esperti di cui alle precedenti lettere a), b), c) sono nominati dal Direttore Generale dell'Azienda USL. Gli esperti di cui alle precedenti lettere d), e), f), g) sono nominati dal Direttore Generale dell'Azienda USL su designazione della Conferenza sanitaria territoriale.
La Commissione dura in carica 5 anni. Qualora durante i 5 anni si dovesse procedere alla sostituzione di uno o più componenti, l'individuazione avviene con le modalità di cui al precedente capoverso.
La Commissione si configura quale organo tecnico consultivo di tutti i Comuni del territorio di riferimento dell'Azienda USL, per l'esercizio della funzione di autorizzazione al funzionamento delle strutture oggetto della presente direttiva.
Il Responsabile del Dipartimento di Prevenzione dell'Azienda USL, nella sua qualità di Presidente della Commissione, assicura la tenuta di apposito registro di verbalizzazione dell'attività e dei pareri della Commissione stessa, nonché l'archiviazione della documentazione allegata alle domande.
La Commissione, al fine di permettere al Comune di adottare gli atti di propria competenza, trasmette una relazione contenente le conclusioni ed il parere sulla domanda oggetto dell'istruttoria.
Il Comune provvede ad inviare il provvedimento di autorizzazione al funzionamento al legale rappresentante del soggetto gestore; contestualmente provvede ad effettuare le previste comunicazioni alla Provincia, con le modalità di cui al successivo paragrafo 8..
6.3 ELEMENTI DELL'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO
L'autorizzazione rilasciata dal Comune deve indicare:
a) l'esatta denominazione del soggetto gestore, la natura giuridica e l'indirizzo;
b) l'esatta denominazione della struttura e la sua ubicazione;
c) la tipologia della struttura, tra quelle previste nella parte II della presente direttiva;
d) la capacità ricettiva autorizzata;
e) la eventuale condivisione di locali ammessa per le tipologie di strutture di cui ai successivi paragrafi 1.1 e 2.1 della Parte II "Disposizioni specifiche" e la struttura con cui vengono condivisi;
f) il nominativo del coordinatore responsabile e del responsabile delle attività sanitarie se previste;
g) la data del rilascio dell'autorizzazione; da tale data decorrono i termini di cui al successivo paragrafo 9..
7. DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO CON LE DIRETTIVE REGIONALI DI CUI ALLE DELIBERAZIONI DEL CONSIGLIO REGIONALE N. 560 DEL 11/07/1991, N. 2134 DEL 28/09/1994, N. 779 DEL 10/12/1997
Al fine di garantire una corretta ed omogenea applicazione della presente direttiva ed un ordinato passaggio dal regime disciplinato dalla L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 e relative direttive di cui alle deliberazioni del Consiglio regionale n. 560 del 11/07/1991, n. 2134 del 28/09/1994, n. 779 del 10/12/1997 e l'at tuale regime di cui alla L.R. 12 ottobre 1998, n. 34, si individuano le seguenti fattispecie.
Le fattispecie che seguono definiscono - rispetto alle necessità di coordinamento tra le due discipline - le modalità di adeguamento ai requisiti strutturali; per quanto attiene infatti ai requisiti organizzativo-funzionali e di personale, tutte le strutture funzionanti devono adeguarsi alle previsioni della presente direttiva entro sei mesi dalla sua entrata in vigore; trascorso tale termine si applicano le procedure di cui al successivo paragrafo 9..
7.1 STRUTTURE CHE HANNO PRESENTATO DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO SULLA BASE DI QUANTO PREVISTO DALLE DIRETTIVE PRECEDENTI E CHE ALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DELLA PRESENTE DIRETTIVA NON HANNO ANCORA OTTENUTO UN PROVVEDIMENTO
&# 9;I soggetti gestori di tali strutture non devono ripresentare la domanda; il soggetto istituzionale (Comune, Azienda USL o altro) che ha ricevuto la domanda la trasmette alla Commissione di cui al precedente paragrafo 6.2, che provvederà a richiedere al soggetto gestore l'eventuale integrazione della documentazione necessaria all'istruttoria prevista dalla presente direttiva; la Commissione dovrà altresì richiedere che il legale rappresentante del soggetto gestore dichiari a quali requisiti strutturali intenda attenersi (direttive 560/91, 2134/94, 779/97 o la presente).
Quest'ultima facoltà è riconosciuta sul presupposto che non si possano richiedere ulteriori interventi strutturali a soggetti che si siano adeguati ai requisiti previsti dalle direttive 560/91, 2134/94, 779/97 ed abbiamo presentato domanda di autorizzazione al funzionamento in vigenza di queste ultime. Così come deve essere data facoltà al s oggetto gestore di adeguarsi ai nuovi requisiti strutturali ove ne manifesti l'intenzione.
7.2 STRUTTURE CHE HANNO OTTENUTO IL PROVVEDIMENTO DI AUTORIZZAZIONE DEFINITIVA AL FUNZIONAMENTO SULLA BASE DI QUANTO PREVISTO DALLE DIRETTIVE PRECEDENTI
Tali strutture devono provvedere esclusivamente all'adeguamento dei requisiti organizzativo-funzionali e di personale alle previsioni della presente direttiva entro sei mesi dalla sua entrata in vigore.
A tal fine i soggetti istituzionali (Comuni, Aziende USL o altro) che hanno rilasciato autorizzazioni definitive al funzionamento sulla base della disciplina di cui alle direttive 560/91, 2134/94, 779/97, ne trasmettono copia alle Commissioni di cui al paragrafo 6.2 affinchè effettuino le previste verifiche.
Il Comune competente, a seguito della verifica disposta dalla Commissione sull'adeguamento dei requisiti organizzativo-funzionali e di personale, adotta il provvedimento di conferma dell'autorizzazione definitiva al funzionamento; il provvedimento deve essere inviato al legale rappresentante del soggetto gestore; contestualmente il Comune provvede ad effettuare le previste comunicazioni alla Provincia, con le modalità di cui al successivo paragrafo 8..
Il provvedimento di conferma dell'autorizzazione definitiva al funzionamento deve contenere:
- gli elementi di cui al precedente paragrafo 6.3;
- gli estremi del provvedimento con cui è stata rilasciata l'autorizzazione definitiva oggetto di conferma e l'autorità che l a ha rilasciata.
7.3 STRUTTURE CHE HANNO OTTENUTO UN PROVVEDIMENTO DI AUTORIZZAZIONE PROVVISORIA CON PRESCRIZIONI IMPARTITE SULLA BASE DEI REQUISITI PREVISTI DALLE DIRETTIVE PRECEDENTI
Per tali strutture, i soggetti istituzionali che hanno curato l'istruttoria trasmettono tutta la documentazione alla Commissione di cui al precedente paragrafo 6.2, unitamente ad una relazione sullo stato di avanzamento dell'istruttoria e sull'oggetto e sui termini di scadenza delle prescrizioni; la Commissione provvederà alla verifica dell'ottemperanza alle prescrizioni, trasmettendo la relazione con le conclusioni ed il parere al Comune competente ad adottare l'atto di autorizzazione definitiva.
Per quanto attiene ai requisiti organizzativo-funzionali e di personale, l'adeguamento ai nuovi requisiti deve avvenire ent ro sei mesi dall'entrata in vigore della presente direttiva.
Il Comune provvede ad effettuare le previste comunicazioni alla Provincia con le modalità di cui al successivo paragrafo 8..
7.4 STRUTTURE PER LE QUALI E' GIA' STATA RILASCIATA LA CONCESSIONE EDILIZIA
Per tali strutture - se la progettazione è stata realizzata secondo i requisiti strutturali previsti dalle precedenti direttive - non è richiesto l'adeguamento ai requisiti strutturali di cui alla presente direttiva.
7.5 STRUTTURE FINANZIATE CON I FONDI DI CUI ALL'ARTICOLO 20 DELLA LEGGE N. 67/88 E ARTICOLO 42 DELLA L.R. N. 2/85
Per tali strutture - se si è già concluso l'iter di valutazione regionale del progetto, anche con eventuali rilievi (adozione di apposita determinazione regionale) - non è richiesto l'adeguamento ai requisiti strutturali di cui alla presente direttiva.
8. REGISTRO PROVINCIALE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE
E' istituito presso ciascuna Amministrazione provinciale il Registro delle strutture residenziali e semiresi-
denziali pubbliche e private che svolgono attività socio-sanitaria e socio-assistenziale, autorizzate al funzionamento ai sensi della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34, artt. 1, co. 1 e 3, co. 2.
Le Amministrazioni provinciali devono essere tempestivamente informate, contestualmente alle comunicazioni effettuate al legale rappresentante del soggetto gestore, dei pr ovvedimenti adottati dalle Amministrazioni comunali competenti sulle singole strutture, anche nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, affinchè provvedano ad annotarle nel Registro.
Al fine della istituzione, tenuta ed aggiornamento del Registro, i Comuni comunicano alla Provincia i provvedimenti adottati tramite la compilazione degli appositi modelli a ciò predisposti ed allegati alla presente direttiva.
Per le autorizzazioni di cui ai precedenti paragrafi 6.2 e 7.2 si dovrà utilizzare il modello "Mod. AUT1"; lo stesso modello deve essere utilizzato per le autorizzazioni di cui al precedente paragrafo 7.1, precisando se l'autorizzazione è stata rilasciata sulla base dei requisiti strutturali previsti dalle direttive precedenti o dalla presente.
Per le strutture di cui al precedente paragrafo 7.3 i Comuni, per le previste comunicazioni alla Provincia, utilizzano il modello "Mod. PROVV".
I Comuni provvedono altresì a dare comunicazione alla Provincia dell'esito e della data del sopralluogo di verifica dei requisiti funzionali ed organizzativi dichiarati, di cui al precedente paragrafo 6., per quanto attiene all'istruttoria delle domande di autorizzazione al funzionamento presentate sulla base della disciplina di cui alla L.R. 34/98 e della presente direttiva. La Provincia annota nel Registro la data e l'esito del sopralluogo di verifica.
La Provincia provvede ad informatizzare, nell'apposita procedura del Sistema informativo regionale, i modelli "Mod. AUT1" e "Mod. PROVV", ricevuti dai Comuni e le annotazioni relative alla data ed esito del sopralluogo di verifica dei requisiti di cui al precedente paragrafo 6..
Nel Registro è tenuta una apposita sezione destinata alla annotazione delle comunicazioni di avvio attività di cui al successivo paragrafo 9.1. La Provincia provvede ad informatizzare nella apposita procedura del sistema informativo regionale i modelli "Mod. DEN1" ricevuti dai Comuni.
9. VERIFICHE E CONTROLLI
La permanenza dei requisiti minimi sulla base dei quali è stata rilasciata l'autorizzazione al funzionamento è verificata di norma ogni quattro anni, mediante autocertificazione sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto gestore, trasmessa al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione al funzionamento. L'autocertificazione deve essere conforme al modello predisposto dalla Giunta regionale con propria deliberazione. Il Comune può comunque procedere in qualsiasi momento a verifiche ispett ive anche avvalendosi della Commissione di cui al paragrafo 6.2.
La Regione può disporre controlli e verifiche sulle strutture autorizzate, dandone comunicazione al Comune ed avvalendosi della Commissione di cui al precedente paragrafo 6.2.
L'esito dei controlli e verifiche effettuate deve essere tempestivamente comunicato al legale rappresentante del soggetto gestore, alla Provincia ed al Comune nel caso di controlli e verifiche disposti dalla Regione. Alla Provincia deve essere altresì trasmessa - a cura del Comune - copia della autocertificazione sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto gestore di cui al primo capoverso del presente paragrafo, ai fini dell'annotazione nel Registro provinciale delle strutture autorizzate.
Qualora, a seguito di verifica disposta dal Comune o dalla Regione, venga accertata l'assenza di uno o pi ù requisiti minimi o il superamento della capacità ricettiva autorizzata, il Comune diffida il legale rappresentante del soggetto gestore a provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito nell'atto di diffida. Tale termine può essere eccezionalmente prorogato, con atto motivato, una sola volta.
Il mancato adeguamento nel termine stabilito, ovvero l'accertamento di comprovate gravi carenze che possono pregiudicare la sicurezza degli assistiti o degli operatori, comporta l'adozione di un provvedimento di sospensione - anche parziale - dell'attività. Con tale provvedimento il Comune indica la decorrenza della sospensione dell'attività nonché gli adempimenti da porre in essere per permetterne la ripresa.
Ove il legale rappresentante del soggetto gestore non ric hieda al Comune - entro un anno dalla data del provvedimento di sospensione - la verifica circa il superamento delle carenze riscontrate, l'autorizzazione al funzionamento si intende decaduta. In questo caso l'attività può essere nuovamente esercitata solo a seguito di presentazione di nuova domanda con le modalità di cui ai precedenti paragrafi 6. e 6.1.
A seguito della comunicazione del legale rappresentante del soggetto gestore di cui al precedente capoverso, il Comune provvede entro 30 giorni alla prevista verifica; decorsi i 30 giorni senza che il Comune abbia provveduto alla verifica, il gestore può riprendere l'attività oggetto di sospensione.
L'eventuale mancato esercizio dell'attività protratto per più di 12 mesi comporta la revoca dell'autorizzazione al funzionamento.
Nel caso di verifiche e co ntrolli disposti dal Comune o dalla Regione a seguito dei quali venga adottato un provvedimento, il Comune deve darne comunicazione alla Provincia utilizzando il modello a ciò predisposto allegato alla presente direttiva "Mod. VER1".
9.1 COMUNICAZIONE DI AVVIO DI ATTIVITA'
Il legale rappresentante del soggetto gestore di appartamenti protetti e gruppi appartamento per anziani e disabili, di case famiglia, che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti, deve comunicare l'avvio di tali attività al Sindaco del Comune del territorio.
La comunicazione - finalizzata all'esercizio dell'attività di vigilanza - deve essere effettuata entro 60 giorni dall'avvio dell'attività e deve indicare:
- la denominazione e l'indirizzo esatto della sede in cui si svolge l'attività;
- la denominazione, la natura giuridica e l'indirizzo del soggetto gestore;
- il numero massimo (entro le sei unità) di utenti che possono essere ospitati nella sede;
- il numero e le caratteristiche dell'utenza presente (esempio: minori, anziani, disabili, ecc.);
- il numero e le qualifiche del personale che vi opera;
- le modalità di accoglienza dell'utenza (convenzione con enti pubblici, rapporto diretto con gli utenti, ecc.);
- la retta richiesta agli ospiti e/o ai familiari e l'eventuale partecipazione alla spesa di soggetti pubblici.
Per le attivit à di cui al presente paragrafo, già avviate alla data di entrata in vigore della presente direttiva, la comunicazione deve essere effettuata entro 60 giorni dall'entrata in vigore.
Il Comune provvede a dare comunicazione alla Provincia, al fine della tenuta dell'apposita sezione del Registro, delle comunicazioni di avvio di attività ricevute, utilizzando l'apposito modello a ciò predisposto ed allegato alla presente direttiva "Mod. DEN1".
10. SISTEMA INFORMATIVO
La Regione, ai sensi dell'articolo 14 della L.R. n. 3 del 1999, nell'ambito delle linee di indirizzo per lo sviluppo telematico dell'Emilia-Romagna, promuove il coordinamento delle informazioni e la comunicazione isti tuzionale con il sistema delle autonomie locali.
Nell'ambito del più complessivo sistema informativo regionale si colloca quello delle politiche sociali, la cui gestione territoriale è affidata alle Province ai sensi dell'art. 190 della L.R. n. 3 del 1999.
Il sistema informativo delle politiche sociali - realizzato con procedure informatiche gestite in rete tra la Regione e le Province - comprende, tra l'altro, la banca dati delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie del territorio regionale. La banca dati è costituita dall'anagrafe delle strutture - la cui implementazione avviene, per le strutture oggetto della presente direttiva, attraverso i Registri di cui al precedente paragrafo 8. - e da aggiornamenti annuali effettuati attraverso le apposite rilevazioni rivolte ai soggetti gestori. Gli aggiornamenti annuali riguardano: l'organizzazione del presidio, l'utenza, il per sonale, gli aspetti economici.
L'anagrafe delle strutture oggetto della presente direttiva viene alimentata e modificata in modo continuo dalle Province, a seguito dell'invio da parte dei Comuni dei modelli a ciò predisposti ("Mod. AUT1", "Mod. PROVV", "Mod. DEN1", "Mod. VER1").
Gli aggiornamenti annuali vengono effettuati attraverso i modelli di rilevazione "ISTAT/Regione" per le strutture residenziali e i modelli "Regione" per le strutture semiresidenziali. I modelli vengono inviati dalle Province agli enti gestori che provvedono alla compilazione e restituzione alle Province per la relativa informatizzazione.
Il sistema così delineato crea a livello provinciale un punto di accesso unificato alle informazioni sulle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie, individuando nelle Province il punto di riferimento privilegiato per i sog getti del rispettivo ambito territoriale. A livello regionale fornisce elementi per l'esercizio delle funzioni di programmazione, coordinamento ed indirizzo, assolvendo al tempo stesso gli obblighi informativi verso diversi organismi nazionali.
PARTE II
DISPOSIZIONI SPECIFICHE
1. STRUTTURE PER ANZIANI
Le strutture per anziani oggetto della presente direttiva sono:
- Centro diurno assistenziale
- Comunità alloggio
- Casa di riposo/casa albergo/albergo per anziani
- Casa pr otetta/RSA
Ogni struttura può offrire una o più tra le tipologie di servizio sopra indicate, fermo restando il possesso per ciascuna tipologia dei requisiti specifici di seguito indicati.
1.1 CENTRO DIURNO ASSISTENZIALE
Definizione
Il Centro diurno assistenziale è una struttura socio-sanitaria a carattere diurno destinata ad anziani con diverso grado di non autosufficienza.
Finalità
Il Centro diurno assistenziale ha tra le proprie finalità:
- offri re un sostegno ed un aiuto all'anziano e alla sua famiglia;
- potenziare, mantenere e/o compensare abilità e competenze relative alla sfera dell'autonomia, dell'identità, dell'orientamento spazio-temporale, della relazione interpersonale e della socializzazione;
- tutela socio-sanitaria.
Capacità ricettiva
La capacità ricettiva del Centro diurno assistenziale va di norma da un minimo di 5 ad un massimo di 25 ospiti.
Requisiti strutturali minimi
Nel Centro diurno assistenziale devono essere presenti:
- una zona soggiorno, una zona pranzo, una zona riposo ed una zona destinata a d attività di mobilizzazione, per una superficie complessiva sufficiente in rapporto alla capacità ricettiva;
- servizi igienici attrezzati per la non autosufficienza: n. 1 fino a 10 ospiti o n. 2 oltre i dieci ospiti;
- servizi igienici per il personale separati da quelli per gli ospiti.
I locali sopraindicati possono essere condivisi - fermo restando la necessità di separate autorizzazioni al funzionamento - con altra tipologia di struttura per anziani presente nell'immobile (ad esempio Casa Protetta/RSA); in tal caso le dimensioni e l'articolazione degli spazi dovrà tenere conto del numero complessivo di utenti che può essere presente nei locali e dovrà essere indicato nell'autorizzazione al funzionamento per quali locali e con quale altra struttura vengono condivisi.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nel Centro diurno assistenziale devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- somministrazione pasti;
- assistenza infermieristica;
- attività aggregative, ricreativo-culturali e di mobilizzazione;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane.
Requisiti di personale
Nel Centro diurno assistenziale devono essere presenti addetti all'assistenza di base in tutto l'arco di tempo di apertura del servizio ed in un rapporto di norma di 1 ogni 10 ospiti.
Deve essere altresì assicurata la presenza dell'infermiere professionale con una presenza programmata in relazione ai piani individuali di assistenza.
1.2 COMUNITA' ALLOGGIO
Definizione
La Comunità alloggio è una struttura socio-assistenziale residenziale di ridotte dimensioni, di norma destinata ad anziani non autosufficienti di grado lieve che necessitano di una vita comunitaria e di reciproca solidarietà.
Finalità
La Comunità alloggio fornisce ospitalità ed assistenza creando le condizioni per una vita comunitaria, parzialmente autogesti ta, stimolando atteggiamenti solidaristici e di auto-aiuto, con l'appoggio dei servizi territoriali.
Capacità ricettiva
La Comunità alloggio accoglie, di norma, fino ad un massimo di 12 ospiti.
Requisiti strutturali minimi
Nella Comunità alloggio devono essere presenti:
- locale soggiorno attrezzato con pareti o divisori mobili e di dimensioni tali da permettere la realizzazione di attività diversificate in relazione alle capacità e agli interessi degli ospiti;
- una zona pranzo;
- una zona cucina;
- camere singole e doppie;
- un servizio igienico attrezzato per la non autosufficienza ogni 4 ospiti.
Tutti gli ambienti sopraindicati devono essere dotati di ausili ed arredi volti al recupero dei livelli di autonomia, e devono avere dimensioni tali da permettere la manovra e la rotazione delle carrozzine e degli altri ausili per la deambulazione.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nella Comunità alloggio devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- somministrazione pasti in relazione ai bisogni degli utenti;
- assistenza infermieristica ove richiesta dai piani individuali di assistenza;
- facilitazione nella fruizione all 'esterno di attività aggregative, ricreativo-culturali e di mobilizzazione;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane ove necessario in relazione ai bisogni degli utenti;
- nei momenti della giornata e della notte in cui non sono presenti operatori, deve essere comunque garantito l'intervento per eventuali emergenze; a tal fine devono essere individuati uno o più soggetti referenti con il compito di attivare le risorse necessarie al bisogno urgente segnalato.
Requisiti di personale
Nella Comunità alloggio deve essere garantita una presenza programmata di addetti all'assistenza di base.
Deve essere altresì assicurata la presenza dell'infermiere prof essionale con una presenza programmata in relazione ai piani individuali di assistenza.
1.3 CASA DI RIPOSO, CASA ALBERGO, ALBERGO PER ANZIANI
Definizione
Con la denominazione di Casa di riposo, casa albergo, albergo per anziani, si indica la medesima tipologia di struttura; di seguito si indicherà, per ragioni di sintesi, la sola Casa di riposo, con la precisazione più sopra indicata.
La Casa di riposo è una struttura socio-assistenziale a carattere residenziale destinata ad anziani non autosufficienti di grado lieve.
Finalità
La Casa di riposo fornisce ospitalità ed assistenza; offre occasioni di vita comunitaria e disponibilità di servizi per l'aiuto nelle attività quotidiane; offre stimoli e possibilità di attività occupazionali e ricreativo-culturali, di mantenimento e riattivazione.
Capacità ricettiva
La capacità ricettiva della Casa di riposo non può superare i 120 posti residenziali.
Requisiti strutturali minimi
Gli standard strutturali minimi della Casa di riposo sono i seguenti:
- camere da letto con una superficie utile - di norma - di mq. 12 per le camere ad un posto e di mq. 18 per le camere a due posti; in ogni caso le camere dovranno essere organizzate ed avere dimensioni tali da favorire la mobilità, la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambulazione;
- bagni collegati alle camere in numero di 1 ogni camera a due posti e 1 ogni due camere per le camere ad un posto, di dimensioni tali da permettere l'ingresso e la rotazione delle carrozzine;
- campanelli di chiamata di allarme in tutti i servizi igienici e per tutti i posti letto;
- una o più zone soggiorno, una o più zone per attività motorie e ricreativo culturali, sala o sale da pranzo, adeguati alla capacità ricettiva della struttura;
- servizi igienici collegati agli spazi comuni in numero minimo di due, di cui almeno uno attrezzato per la non autosufficienza;
- un montalettighe;
< P ALIGN="JUSTIFY">
- un ascensore ogni 40 posti residenziali;
- locali lavanderia e guardaroba, cucina e dispensa, adeguati alle modalità organizzative adottate per il servizio;
- locale per il deposito della biancheria sporca;
- camera ardente;
- locali destinati all'erogazione di servizi e prestazioni non obbligatorie, qualora previste, devono essere a norma con le disposizioni vigenti;
- area verde esterna.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nella Casa di Riposo devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- assi stenza tutelare diurna e notturna;
- somministrazione pasti;
- assistenza infermieristica ove richiesta dai piani individuali di assistenza;
- attività aggregative, ricreativo-culturali e di mobilizzazione;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane.
Requisiti di personale
Nella Casa di Riposo deve essere garantita la presenza di addetti all'assistenza di base nel rapporto di 1 operatore ogni 10 ospiti per assistenza diurna e controllo notturno, con esclusione del personale addetto ai lavori di pulizia degli spazi comuni.
Deve essere altresì assicurata la presenza dell'infermiere professionale con una presenza programmata in relazione ai piani individuali di assistenza.
1.4 CASA PROTETTA / RSA
Definizione
La Casa Protetta / RSA è una struttura socio-sanitaria residenziale destinata ad accogliere, temporaneamente o permanentemente, anziani non autosufficienti di grado medio ed elevato, che non necessitano di specifiche prestazioni ospedaliere.
Finalità
La Casa Protetta / RSA fornisce ospitalità ed assistenza; offre occasioni di vita comunitaria e disponibilità di servizi per l'aiuto nelle attività quotidiane ; offre stimoli e possibilità di attività occupazionali e ricreativo-culturali, di mantenimento e riattivazione. Fornisce altresì assistenza medica, infermieristica e trattamenti riabilitativi per il mantenimento ed il miglioramento dello stato di salute e di benessere dell'anziano ospitato.
Di norma la Casa Protetta ospita anziani non autosufficienti con bisogni assistenziali di diversa intensità (disturbi comportamentali, elevati bisogni sanitari correlati ad elevati bisogni assistenziali, disabilità severe e moderate).
La RSA ospita anziani non autosufficienti con elevati bisogni sanitari e correlati elevati bisogni assistenziali o con disturbi comportamentali.
Capacità ricettiva
La capacità ricettiva della Casa Protetta / RSA è pari - di norma - ad un massimo di 60 posti residenziali con un'organizzazione degli spazi e delle prestazioni per nuclei di ospiti di circa 20-30 persone ciascuno.
Le strutture con capacità ricettiva superiore, che in ogni caso non può superare il limite di 120 posti, devono anch'esse organizzare gli spazi e le prestazioni per nuclei di circa 20-30 persone ciascuno.
Requisiti strutturali minimi
Gli standard strutturali minimi della Casa Protetta / RSA sono i seguenti:
- camere da letto con una superficie utile - di norma - di mq. 12 per le camere ad un posto e di mq. 18 per le camere a due posti; in ogni caso le camere dovranno essere organizzate ed avere dimensioni tali da favorire la mobilità, la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambul azione;
- presenza di camere da letto ad un posto in misura non inferiore al venti per cento della capacità ricettiva della struttura;
- servizi igienici attrezzati per la non autosufficienza collegati alle camere in numero di 1 ogni camera a due posti e 1 ogni due camere per le camere ad un posto, di dimensioni tali da permettere l'ingresso e la rotazione delle carrozzine;
- campanelli di chiamata di allarme in tutti i servizi igienici e per tutti i posti letto;
- locali comuni, anche ad uso polivalente, da destinare a soggiorno, attività occupazionali, esercizio di culto;
- servizi igienici collegati agli spazi comuni in numero minimo di due, di c ui almeno uno attrezzato per la non autosufficienza;
- un montalettighe ed un ascensore ogni 40 posti residenziali;
- locale portineria;
- locali destinati alla erogazione di servizi e prestazioni non obbligatorie, qualora previste, devono essere a norma con le disposizioni vigenti;
- locali lavanderia e guardaroba, cucina e dispensa, uffici, adeguati alle modalità organizzative adottate per il servizio;
- locale per il deposito della biancheria sporca articolato per piano;
- locale per il deposito della biancheria pulita articolato per piano;
- area verde esterna;
- camera ardente.
Nei servizi di nucleo devono essere previsti:
- soggiorno;
- zona pranzo;
- locale di servizio per il personale con servizio igienico;
- angolo cottura, eventualmente anche all'interno del locale di servizio del personale;
- bagno assistito;
- locale per vuotatoio e lavapadelle.
Per le strutture fino a 60 posti collocati sullo stesso piano, possono essere previsti servizi di nucleo comuni, purchè dimensionati in relazione al numero degli anziani.
Per l'erogazione delle prestazioni ed attività sani tarie, devono essere previsti:
- locale per ambulatorio;
- servizio igienico;
- palestra dotata di attrezzature ed ausili, con relativo deposito;
- locale deposito per attrezzature, carrozzine, materiale di consumo, ecc.;
- armadiatura idonea alla conservazione dei farmaci.
Tutti i locali sopraindicati, destinati ad attività o vita collettiva (soggiorni e sale da pranzo), sia generali che di nucleo, devono essere di dimensioni adeguate alla capacità ricettiva massima prevista per la struttura.
Requisiti minimi di arredi ed attrezzature
La Casa Pro tetta / RSA deve essere dotata di arredi ed attrezzature idonee alla tipologia degli ospiti ed in particolare devono essere garantiti a tutti gli ospiti che ne presentano la necessità:
- letti articolati (preferibilmente a due snodi), regolabili in altezza;
- materassi e cuscini antidecubito;
- apparecchiature, anche mobili, per la somministrazione dell'ossigeno, a norma con le disposizioni vigenti in materia.
Devono inoltre essere presenti:
- corrimano a parete nei percorsi principali;
- dotazione di ausili per la mobilità ed il mantenimento delle auton omie funzionali residue.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nella Casa Protetta / RSA devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- assistenza tutelare diurna e notturna;
- somministrazione pasti;
- attività aggregative, ricreativo-culturali e di mobilizzazione;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane;
- assistenza sanitaria comprensiva di prestazioni medico-generiche, infermieristiche, riabilitative e di somministrazione di farmaci.
Requisiti di personale
Nella Casa Protetta deve essere garantita la presenza di addetti all'assistenza di base / OTA (operatori tecnici di assistenza) nel rapporto di 1 operatore ogni 3,5 ospiti per assistenza diurna e notturna, con esclusione del personale addetto ai lavori di pulizia degli spazi comuni.
Nella RSA deve essere garantita la presenza di addetti all'assistenza di base / OTA (operatori tecnici di assistenza) nel rapporto di 1 operatore ogni 2,2 ospiti per assistenza diurna e notturna, con esclusione del personale addetto ai lavori di pulizia degli spazi comuni.
Devono altresì essere garantite le seguenti figure:
- responsabile di nucleo; tale funzione viene svolta dai responsabili delle attività assistenziali o da infermieri in relazione alle necessità socio-sanitarie degli anziani; nelle strutture con un solo nucleo il coordinatore responsabile può svolgere anche le funzioni di responsabile di nucleo;
- animatore per attività programmate;
- terapista della riabilitazione nel rapporto di 1 ogni 60 ospiti nella Casa Protetta e di 1 ogni 40 ospiti nella RSA;
- medico con presenza programmata non inferiore a 6 ore settimanali ogni 30 anziani nella Casa Protetta e con presenza programmata non inferiore a 10 ore settimanali ogni 20 anziani nella RSA;
- infermiere professionale nel rapporto di 1 ogni 12 anziani nella Casa Protetta e nel rapporto di 1 ogni 6 anziani nella RSA; il personale infermieristico garantisce la necessaria assistenza al personale medico e la somministrazione dei farmaci secondo i piani e le prescrizioni sanitarie; nelle strutture che accolgono anziani non autosufficienti con elevate necessità socio-sanitarie deve essere garantita la presenza infermieristica 24 ore su 24.
2. STRUTTURE PER DISABILI
Le strutture per disabili oggetto della presente direttiva sono:
- Centro socio-riabilitativo diurno
- Centro socio-riabilitativo residenziale
Rientrano nell'ambito delle sopraindicate tipologie anche le strutture realizzate con i fondi di cui all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.
2.1 CENTRO SOCIO-RIABILITATIVO DIURNO
Definizione
Il Centro socio-riabilitativo diurno è una struttura socio-sanitaria a carattere diurno destinata a cittadini portatori di handicap. L'accoglienza di utenti di età inferiore alla fascia dell'obbligo scolastico è da considerarsi eccezionale e comunque non possono essere accolti soggetti di età inferiore ai 14 anni.
Finalità
Il Centro socio-riabilitativo diurno ha tra le proprie finalità:
- attuare interventi volti alla acquisizione della autonomia individuale nelle attività quotidiane ed al potenziamento delle capacità cognitive e relazionali;
- offrire un sostegno ed un aiuto al portatore di handicap e alla sua famiglia, supportandone il lavoro di cura;
- attivare strategie per l'integrazione sociale dell'ospite.
Capacità ricettiva
Il Centro socio-riabilitativo diurno accoglie di norma fino ad un massimo di 25 ospiti, la cui attività deve essere organizzata per gruppi non superiori - di norma - a 8 ospiti.
Requisiti strutturali minimi
Nel Centro socio-riabilitativo diurno devono essere presenti:
- una zona pranzo;
- locali ad uso collettivo per le attività di socializzazione, atelier, laboratori, di dimensioni adeguate alla capacità ricettiva massima della strut tura e tali da permettere la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambulazione; i locali devono essere in numero e dimensione adeguata alle attività previste nella struttura e tali da permettere la contemporanea attività dei gruppi previsti in relazione alla capacità ricettiva massima della struttura;
- un servizio igienico attrezzato per la non autosufficienza ogni 8 ospiti.
I locali sopra indicati possono essere condivisi - fermo restando la necessità di separate autorizzazioni al funzionamento - con il centro socio-riabilitativo residenziale presente nell'immobile; in tal caso le dimensioni e l'articolazione degli spazi dovrà tenere conto del numero complessivo di utenti che può essere presente nei locali e dovrà essere indicato nell'autorizzazione al funzionamento per quali locali e con quale altra struttura vengo no condivisi.
Requisiti organizzativo-funzionali
Il Centro socio-riabilitativo diurno deve organizzare le proprie attività per gruppi non superiori - di norma - a 8 ospiti.
Nel Centro socio-riabilitativo diurno devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- somministrazione pasti;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane;
- attività terapeutico - riabilitative - educative finalizzate all'acquisizione e/o al mantenimento delle abilità fisiche, cognitive, relazionali e delle autonomie personali;
- attività di socializzazione e ricreativo-culturali;
- prestazioni sanitarie programmate, in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, quali ad esempio quelle mediche, infermieristiche, riabilitative; deve essere altresì garantita la pronta reperibilità in relazione ad esigenze sanitarie urgenti.
Requisiti di personale
Nel Centro socio-riabilitativo diurno deve essere garantita una presenza di educatori professionali e addetti all'assistenza di base in un rapporto minimo di 1 ogni 3 ospiti.
Il rapporto tra addetti all'assistenza di base ed educatori professionali deve essere valutato in relazione alle attività previste nella struttura ed alle caratteristiche ed ai bisogni dell'utenza ospitata .
Deve essere inoltre prevista una presenza programmata, in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, di figure quali ad esempio: medico, infermiere, terapista della riabilitazione; deve essere altresì garantita la pronta reperibilità in relazione ad esigenze sanitarie urgenti.
2.2 CENTRO SOCIO-RIABILITATIVO RESIDENZIALE
Definizione
Il Centro socio-riabilitativo residenziale è una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale destinata a cittadini portatori di handicap di età di norma non inferiore ai 14 anni. In presenza di soggetti che rientrano per età nella fascia d'obbligo scolastico, ne deve essere garantita la frequenza scolastica.
Finalità< /P>
Il Centro socio-riabilitativo residenziale fornisce ospitalità ed assistenza a cittadini che - per le caratteristiche dell'handicap di cui sono portatori - necessitano di assistenza continua e risultano privi del necessario supporto familiare o per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia valutata temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individualizzato. Attua interventi volti alla acquisizione della autonomia individuale nelle attività quotidiane, al potenziamento delle capacità cognitive e relazionali ed attiva strategie per l'integrazione sociale.
Capacità ricettiva
Il Centro socio-riabilitativo residenziale accoglie di norma fino ad un massimo di 20 ospiti, la cui attività deve essere organizzata per gruppi non superiori - di norma - a 8 ospiti.
Requisiti strutturali minimi
Nel Centro socio-riabilitativo residenziale devono essere presenti:
- una zona pranzo;
- locali ad uso collettivo per le attività di socializzazione, atelier, laboratori, di dimensioni adeguate alla capacità ricettiva massima della struttura e tali da permettere la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambulazione; i locali devono essere in numero e dimensione adeguata alle attività previste nella struttura e tali da permettere la contemporanea attività dei gruppi previsti in relazione alla capacità ricettiva massima della struttura;
- camere da letto con una superfici e utile - di norma - di mq. 12 per le camere ad un posto e di mq. 18 per le camere a due posti; in ogni caso le camere dovranno essere organizzate ed avere dimensioni tali da favorire la mobilità, la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambulazione;
- bagni collegati alle camere in numero di 1 ogni camera a due posti e 1 ogni due camere per le camere ad un posto;
- campanelli di chiamata di allarme in tutti i servizi igienici e per tutti i posti letto;
- servizi igienici collegati agli spazi comuni in numero minimo di due, di cui almeno uno attrezzato per la non autosufficienza;
- locale portineria;
- locali lavanderia e guardaroba, cucina e dispensa, adeguati alle modalità organizzative adottate per il servizio;
- locale per vuotatoio e lavapadelle;
- locale per il deposito della biancheria sporca;
- locale per il deposito della biancheria pulita;
- locali destinati alla erogazione di servizi e prestazioni non obbligatorie, qualora previste, devono essere a norma con le disposizioni vigenti;
- area verde esterna;
- locale per ambulatorio, con armadiatura idonea alla conservazione dei farmaci, e servizio igienico;
- locale per attività psicomotorie dotato di attrezzature ed ausili, con relativo deposito;
- camera con servizio igienico per il personale in servizio;
- locale deposito per attrezzature, carrozzine, materiale di consumo, ecc..
Tutti i locali sopraindicati, destinati ad attività o vita collettiva, devono essere di dimensioni adeguate alla capacità ricettiva massima prevista per la struttura o al numero di ospiti previsto per ciascun gruppo se si tratta di locali destinati alle attività di gruppo.
Requisiti minimi di arredi e attrezzature
Il Centro socio-riabilitativo residenziale deve essere dotato di arredi ed attrezzature idonee alla tipologia degli ospiti ed in particolare devono essere presenti:
- corrimano a parete nei percorsi principali;
- dotazione di ausili per la mobilità ed il mantenimento delle autonomie fun zionali residue.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nel Centro socio-riabilitativo residenziale devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- assistenza tutelare diurna e notturna;
- somministrazione pasti;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane;
- attività aggregative, ricreativo-culturali e di mobilizzazione;
- attività terapeutico - riabilitative - educative finalizzate all'acquisizione e/o al mantenimento delle abilità fisiche, c ognitive, relazionali e delle autonomie personali;
- prestazioni sanitarie programmate in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, quali ad esempio quelle mediche, infermieristiche e riabilitative; deve essere altresì garantita la pronta reperibilità in relazione ad esigenze sanitarie urgenti.
Requisiti di personale
Nel Centro socio-riabilitativo residenziale deve essere garantita una presenza di educatori professionali e addetti all'assistenza di base in un rapporto minimo di 1 ogni 2 ospiti.
Il rapporto tra addetti all'assistenza di base ed educatori professionali deve essere valutato in relazione alle attività previste nella struttura ed alle caratteristiche ed ai bisogni dell'utenza ospitata.
Deve essere inoltre prevista una presenza programmata, in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, di figure quali ad esempio: medico, infermiere, terapista della riabilitazione; deve essere altresì garantita la pronta reperibilità in relazione ad esigenze sanitarie urgenti.
3. STRUTTURE PER MALATI DI AIDS O CON INFEZIONE DA HIV
Le strutture per malati di AIDS o con infezione da HIV oggetto della presente direttiva sono:
- Casa alloggio (anche con eventuale Centro Diurno annesso)
- Centro diurno
3.1 CASA ALLOGGIO
Definizione
La Casa alloggio per malati di AIDS è una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale destinata ad ospitare persone adulte malate di AIDS o con infezione da HIV. La Casa alloggio può organizzare al proprio interno attività di Centro Diurno fruibile da soggetti esterni che non necessitino di permanenza notturna.
Finalità
La Casa alloggio fornisce ospitalità ed assistenza a cittadini che - per le caratteristiche del bisogno espresso - necessitano di assistenza socio-sanitaria e risultano privi del necessario supporto familiare o per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia valutata temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individualizzato. La Casa alloggio attua inoltre interventi volti alla acquisizione della autonomia individuale nelle attività quotidiane, al potenz iamento delle capacità cognitive e relazionali ed attiva strategie per l'integrazione sociale.
Capacità ricettiva
La Casa alloggio accoglie, di norma, fino ad un massimo di 12 ospiti residenziali. Qualora sia previsto un Centro Diurno, tale numero può essere raggiunto ospitando fino a 6 persone nel Centro Diurno.
Requisiti strutturali minimi
Nella Casa alloggio devono essere presenti:
- un locale soggiorno e ad uso collettivo di dimensione adeguata alle attività previste nella struttura ed alla capacità ricettiva massima della stessa, attrezzato con pareti o divisori mobili di dimensioni tali da permettere la realizzazione di attività diversificate in relazione alle capacità e agli interessi degli ospiti;
- un locale cucina e pranzo adeguato alla capacità ricettiva massima prevista;
- camere da letto singole e doppie con una superficie utile - di norma - di mq. 12 per le camere ad un posto e di mq. 18 per le camere a due posti; in ogni caso le camere dovranno essere organizzate ed avere dimensioni tali da favorire la mobilità, la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambulazione; qualora venga previsto il servizio di Centro Diurno lo stesso deve essere dotato di una camera con almeno due posti letto da destinare ad esigenze temporanee del Centro;
- un bagno ogni 3 ospiti (ivi compresi quelli dell'eventuale Centro Diurno), di cui almeno 1 attrezzato per la non autosufficienza;
- un locale ambulatorio / infermeria di almeno 12 mq.;
- una camera per il personale in servizio;
- locale spogliatoio per il personale, dotato di servizio igienico;
- spazi per lavanderia / stireria / guardaroba / dispensa / deposito materiali di pulizia, adeguati alle modalità organizzative adottate per il servizio;
- locale per il deposito della biancheria sporca.
Tutti gli ambienti sopraindicati devono essere dotati di ausili ed arredi volti al recupero dei livelli di autonomia, e devono avere dimensioni tali da permettere la manovra e la rotazione delle carrozzine e degli altri ausili per la deambulazione.
Requisiti organizzativo-funz ionali
Nella Casa alloggio devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- somministrazione pasti;
- assistenza infermieristica;
- assistenza medica;
- attività educative, aggregative e ricreativo - culturali, anche promuovendone la fruizione all'esterno;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane;
- prestazioni sanitarie programmate in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, quali ad esempio quelle riabilitative e psicologiche;
- raccolta e smaltimento dei rifiuti sanitari secondo la legislazio ne vigente.
Requisiti di personale
Nella Casa alloggio deve essere garantita una presenza programmata di addetti all'assistenza di base per garantire il servizio di somministrazione pasti, assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane, attività di pulizia, in relazione alle necessità dell'utenza ospitata.
In relazione ai piani individuali di assistenza ed alle necessità sanitarie esistenti, deve essere altresì assicurata la presenza programmata del medico e dell'infermiere professionale.
Deve essere inoltre garantita una presenza programmata di educatori professionali in relazione alle attività previste. In ogni caso deve essere assicurata la presenza in tutto l'arco delle 24 ore di personale educativo o infermieristico o addetto all'assistenza di base, a seconda dei bisogni socio-sanitari degli ospiti.
3.2 CENTRO DIURNO
Definizione
Il Centro diurno per malati di AIDS è una struttura socio-assistenziale a carattere diurno, che eroga le prestazioni di cui all'art. 3-septies, comma 6 del D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, destinata ad ospitare persone adulte malate di AIDS o con infezione da HIV. Il centro diurno deve essere realizzato in collegamento funzionale con altre strutture che si occupano di assistenza e cura dell'AIDS.
Finalità
Il Centro diurno è desti nato ad ospiti che necessitano di interventi volti alla acquisizione della autonomia individuale nelle attività quotidiane ed al potenziamento delle capacità cognitive e relazionali, da fruire solo durante le ore diurne, in quanto dotati di supporti familiari tali da non richiedere un intervento residenziale; il Centro diurno ha tra le proprie finalità l'attivazione di strategie per l'integrazione sociale dell'ospite.
Capacità ricettiva
Il Centro diurno accoglie di norma fino ad un massimo di 12 ospiti, la cui attività deve essere organizzata per gruppi non superiori - di norma - a 6 ospiti.
Requisiti strutturali minimi
Nel Centro diurno devono essere presenti:
- una zona cucina e pranzo ;
- locali ad uso collettivo per le attività di socializzazione, atelier, laboratori, di dimensioni adeguate alla capacità ricettiva massima della struttura e tali da permettere la manovra e la rotazione di carrozzine ed altri ausili per la deambulazione; i locali devono essere in numero e dimensione adeguata alle attività previste nella struttura e tali da permettere la contemporanea attività dei gruppi previsti in relazione alla capacità ricettiva massima della struttura;
- un servizio igienico attrezzato per la non autosufficienza ogni 6 ospiti;
- due posti letto da destinare alle esigenze temporanee di riposo degli ospiti.
Requisiti organizzativo-funzionali
Il Centro diurno deve organizzare le proprie attività per gruppi non superiori - di norma - a 6 ospiti.
Nel Centro diurno devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- somministrazione pasti;
- assistenza agli ospiti nell'espletamento delle normali attività e funzioni quotidiane;
- attività educative finalizzate all'acquisizione e/o al mantenimento delle abilità cognitive, relazionali e delle autonomie personali;
- attività di socializzazione e ricreativo-culturali;
- prestazioni sanitarie programmate in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, quali ad esempio quel le mediche, infermieristiche, terapeutico-riabilitative.
Requisiti di personale
Nel Centro diurno deve essere garantita la presenza di educatori professionali e addetti all'assistenza di base in relazione alle attività previste nella struttura ed alle caratteristiche ed ai bisogni dell'utenza ospitata.
Deve essere inoltre prevista una presenza programmata in relazione alle specifiche esigenze dell'utenza ospitata, di figure quali ad esempio: medico, infermiere, terapista della riabilitazione, psicologo.
3.3 CASE ALLOGGIO PER MALATI DI AIDS CONVENZIONATE CON LE AZIENDE USL ALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DELLA PRESENTE DIRETTIVA
Le Case alloggio per malati di A IDS convenzionate con le Aziende USL alla data di entrata in vigore della presente direttiva sono autorizzate al funzionamento, fatto salvo l'adeguamento ai requisiti specifici organizzativo-funzionali e di personale previsti al precedente paragrafo 3.1 ed ai requisiti minimi funzionali e strutturali di carattere generale di cui ai precedenti paragrafi 5. e 5.2 della parte generale della presente direttiva.
4. STRUTTURE SOCIO-ASSISTENZIALI PER MINORI
Le strutture socio-assistenziali residenziali per minori - nel rispetto di quanto disposto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori" e successive modificazioni - sono destinate a minori che siano temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo. Sono destinate pertanto ad integrare o sostituire temporaneamente funzioni familiari compromesse e ad offrire al bambino e all'adolescente un ambiente educativo-relazionale in cui rielaborare un progetto per il futuro.
Le strutture socio-assistenziali residenziali per minori sono pertanto destinate a minori presenti sul territorio regionale che:
- siano temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, anche per motivi soggettivi, e per i quali non sia possibile un conveniente affidamento familiare;
- necessitino di una collocazione extra-familiare perché prescritta da un provvedimento dell'autorità giudiziaria.
Le strutture socio-assistenziali residenziali per minori:
- perseguono obiettivi e adottano metodi educativi fondati sul rispetto dei diritti del minore, sull'ascolto e la partecip azione dello stesso al progetto che lo riguarda;
- favoriscono relazioni significative tra i ragazzi e tra essi ed i genitori, agevolando in particolare le relazioni tra fratelli, laddove abbiano un significato positivo;
- favoriscono i rapporti degli ospiti con il contesto sociale attraverso l'utilizzo dei servizi scolastici, del tempo libero, socio sanitari, e di ogni altra risorsa presente all'interno del territorio;
- collaborano con i servizi sociali territoriali preposti alle funzioni di tutela e vigilanza dell'infanzia e dell'età evolutiva e con le autorità giudiziarie competenti.
Tali strutture sono:
- Comunit à di pronta accoglienza
- Comunità di tipo familiare
- Comunità educativa
Entro tre giorni dall'ammissione o dalla dimissione del minore, o immediatamente nei casi di ammissioni d'urgenza non effettuate dai servizi pubblici competenti, il responsabile della struttura dovrà darne comunicazione in forma scritta:
- al Comune ed alla Azienda USL di residenza del minore;
- al Comune ed alla Azienda USL nel cui territorio è ubicata la struttura.
I gestori delle strutture per minori, sia pubblici che privati, devono - ai sensi dell'articolo 9, 4¢ co., della legge 4 maggio 1983, n. 184 - trasmettere semestralmente al giudice tut elare del luogo ove hanno sede, l'elenco dei minori ricoverati con l'indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso.
Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa (articolo 9, comma 6, legge 4 maggio 1983, n. 184). Analoga segnalazione deve essere effettuata ai servizi sociali locali.
4.1 REQUISITI COMUNI ALLE STRUTTURE PER MINORI DAL PUNTO DI VISTA STRUTTURALE E SPAZIALE
In coerenza con l' obiettivo di garantire che le comunità che accolgono minori abbiano a tutti gli effetti le caratteristiche della casa di civile abitazione, non sono previsti requisiti strutturali specifici e le norme di riferimento sono quelle di edilizia residenziali vigenti.
Nelle strutture per minori deve comunque essere previsto un servizio igienico ogni 4 ospiti ed una camera per l'operatore in servizio notturno.
4.2 REQUISITI COMUNI ALLE STRUTTURE PER MINORI DAL PUNTO DI VISTA ORGANIZZATIVO-FUNZIONALE
Tutte le strutture per minori devono:
- disporre di un progetto educativo generale che espliciti le metodologie educative che si intendono adottare, il tipo di utenza e la fascia d'età a cui ci si rivolge;
- utilizzare e tenere costantemente aggiornata una cartella personale per ciascun minore in cui devono essere annotate tutte le notizie ed i dati riguardanti il minore stesso ed in particolare:
- il nominativo ed il recapito telefonico del referente dell'ente locale che ha effettuato l'inserimento;
- il nominativo ed il recapito telefonico di un referente del nucleo familiare e dell'eventuale tutore;
- il nominativo del medico di libera scelta; ove non sia possibile mantenere il medico che il minore aveva al momento dell'ingresso in struttura, si deve provvedere alla scelta di un diverso medico di base;
- i movimenti temporanei che comportino pernottamento all'esterno d ella Comunità;
- le visite effettuate dai genitori e la loro durata, provvedendo a fare firmare sia il genitore che l'operatore presente a fianco dell'annotazione;
- provvedere alla copertura dei rischi da infortuni o danni subiti o provocati dai minori e dagli operatori, stipulando a tal fine apposite assicurazioni;
- utilizzare e tenere costantemente aggiornato un registro in cui annotare i turni di presenza degli operatori, ivi compresi i volontari eventualmente presenti, nell'arco delle 24 ore.
4.2.1 IL PERSONALE
Nelle strutture per minori opera personale educativo ed operatori che svolgono attività di supporto.
Il pe rsonale educativo deve essere in possesso di uno dei titoli di educatore indicati nella Parte I "Disposizioni generali", paragrafo 5.2.1 o, in alternativa, dei seguenti requisiti:
- diploma di scuola secondaria superiore;
- curriculum formativo e professionale svolto durante i cinque anni precedenti l'intervento nella struttura, che preveda:
- la partecipazione a momenti formativi non occasionali, a carattere teorico-pratico, per una durata complessiva di almeno 150 ore, realizzati ed attestati da enti pubblici o soggetti privati operanti nel settore;
- un iter di preparazione svolto e certificato dall'equipe centralizzata di cui alla Direttiva regionale in materia di affidamento familiare (deliberazione di Consiglio regionale n. 1378 del 28 febbraio 2000);
- un periodo di tirocinio di almeno tre mesi presso strutture per minori pubbliche o private.
Per il personale già in servizio che non sia in possesso né dei titoli né dei requisiti sopra citati, è richiesta un'esperienza lavorativa presso strutture per minori di almeno tre anni e la partecipazione a momenti formativi non occasionali, a carattere teorico-pratico, per una durata complessiva di almeno 150 ore, realizzati ed attestati da enti pubblici o soggetti privati operanti nel settore.
Le strutture per minori possono avvalersi di operatori con preparazione specifica (animatori, istruttori, artigiani, ecc.) per attività complementari a quella educativa, non attribuibili al personale educativo, e da esso coordinate.
La presenza di personale di ausilio p er la cura della casa e per i servizi generali va vista come occasione educativa essa stessa e non integralmente sostitutiva di servizi ed azioni che devono comunque entrare nella vita quotidiana dei minori.
L'impiego di volontari ed obiettori di coscienza deve essere previsto in maniera continuativa, anche se per un periodo di tempo limitato.
4.3 COMUNITA' DI PRONTA ACCOGLIENZA
Definizione
La Comunità di pronta accoglienza è una struttura socio-assistenziale residenziale destinata a minori in situazione di grave pregiudizio, che necessitano di una risposta urgente e temporanea di ospitalità, mantenimento, protezione, accud imento, in attesa di una collocazione stabile o di un rientro in famiglia.
Finalità
La Comunità di pronta accoglienza risponde alle seguenti finalità:
- superare la fase del bisogno improvviso mediante l'accoglienza d'urgenza;
- offrire ospitalità ed assistenza qualificate sul piano educativo-relazionale e della cura della persona per il tempo necessario ad individuare e mettere in atto l'intervento più favorevole e stabile per il minore.
Capacità ricettiva
La Comunità di pronta accoglienza può accogliere fino ad un massimo di 6 minori quando l'utenza è composta da bambini e preadolescenti e f ino ad un massimo di 12 minori quando l'utenza è composta da adolescenti.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nella Comunità di pronta accoglienza devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni:
- accoglienza 24 ore su 24;
- assistenza tutelare diurna e notturna;
- somministrazione pasti;
- sostegno educativo, all'inserimento scolastico, lavorativo e sociale;
- organizzazione ed assistenza del tempo libero (attività sportive, ricreative, culturali).
Requisiti di personale
Nella Comunità di pronta accoglienza deve essere garantita - nei momenti di presenza degli ospiti presso la struttura - una presenza di personale educativo in misura di uno ogni 3 ospiti.
4.4 COMUNITA' EDUCATIVA
Definizione
La Comunità educativa è una struttura socio-assistenziale residenziale destinata a preadolescenti ed adolescenti ai quali la famiglia non sia in grado di assicurare temporaneamente le proprie cure, o per i quali non sia possibile - per un periodo anche prolungato - la permanenza nel nucleo familiare originario.
Finalità
La Comunità educativa assolve a compiti temporaneamente sostitutivi o integrativi della famiglia, avend o come obiettivi specifici:
- l'educazione e l'acquisizione di autonomia ed indipendenza;
- il reinserimento - ove possibile - nella famiglia di origine.
Capacità ricettiva
La Comunità educativa accoglie fino ad un massimo di 10 minori; possono essere ammessi ulteriori 2 minori per Pronta accoglienza.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nella Comunità educativa devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni, assicurando altresì il coinvolgimento e la partecipazione dei minori all'organizzazione ed allo svolgimento delle attivit& agrave; quotidiane:
- assistenza tutelare diurna e notturna;
- somministrazione pasti;
- sostegno educativo, all'inserimento scolastico, lavorativo e sociale;
- organizzazione ed assistenza del tempo libero (attività sportive, ricreative, culturali).
Requisiti di personale
Nella Comunità educativa deve essere garantita - nei momenti di presenza degli ospiti presso la struttura - una presenza di personale educativo in misura di uno ogni 3 ospiti, salvo per le ore di riposo notturno, ove è sufficiente la presenza di un operatore.
4.5 COMUNITA' DI TIPO FAMILIARE
Definizione
La Comunità di tipo familiare è una struttura socio-assistenziale residenziale destinata a minori, caratterizzata dalla convivenza continuativa e stabile di due o più adulti che offrono ai minori un rapporto di tipo genitoriale ed un ambiente familiare sostitutivo.
Finalità
La Comunità di tipo familiare garantisce ai minori un contesto di vita familiare caratterizzato da relazioni stabili e affettivamente significative.
Capacità ricettiva
La Comunità di tipo familiare può accogliere fino ad un massimo di cinque minori; può essere ammesso un ulteriore minore solo per l'accoglienza di fratelli o per Pronta accoglienza.
Requisiti organizzativo-funzionali
Nella Comunità di tipo familiare devono essere garantiti i seguenti servizi e prestazioni, assicurando altresì il coinvolgimento e la partecipazione dei minori all'organizzazione ed allo svolgimento delle attività quotidiane:
- assistenza tutelare diurna e notturna;
- somministrazione pasti;
- sostegno educativo, all'inserimento scolastico, lavorativo e sociale;
- organizzazione ed assistenza del tempo libero (attività sportive, ricreative, culturali).
Requisiti di personale
Nella Comunità di tipo familiare deve essere garantita la presenza di due adulti conviventi con i requisiti richiesti per l'esercizio della funzione educativa; ad essi va affiancato altro personale educativo fino a garantire all'occorrenza il rapporto di un operatore ogni tre ospiti.
Allegato 1 Modello domanda
DOMANDA PER L'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO DI STRUTTURA
SOCIO-ASSISTENZIALE O SOCIO-SANITARIA
(ARTICOLO 3, COMMA 3 L.R. N. 34/1998)
AL COMUNE DI _______________________________________________
PROVINCIA DI _______________________________________________
Il sottoscritto ____________________________________________
nato a __________________________ il _______________________
in qualità di legale rappresentante di _____________________
(indicare il nome e la natura giuridica)
con sede in ________________________________________________
(indicare l'indirizzo ed il recapito telefonico della sede legale)
soggetto gestore di (barrare una casella)
(_) centro diurno assistenziale per anziani
(_) comunità alloggio per anziani
(_) casa di riposo/casa albergo/albergo per anziani
(_) casa protetta/RSA
(_) centro socio-riabilitativo diurno per disabili
(_) centro socio-riabilitativo residenziale per disabili
(_) casa alloggio per malati di AIDS
(_) centro diurno per malati di AIDS
(_) comunità di pronta accoglienza per minori
(_) comunità di tipo familiare per minori
(_) comunità educativa per minori
CHIEDE
Il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento della struttura sopra indicata, ai sensi della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 e della direttiva regionale di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. _____ del ______.
A tal fine dichiara che:
- la denominazione della struttura è _______________________
- l'indirizzo della struttura è ____________________________
- il recapito telefonico della struttura è _________________
- la struttura indicata ha una capacità ricettiva di n._____
posti;
- il coordinatore responsabile è ___________________________
(indicare il nominativo)
- il responsabile delle attività sanitarie è _______________
(se sono previste attività sanitarie, indicare il
nominativo del responsabile ed i titoli posseduti
richiesti dalla legge)
- il responsabile del servizio protezione e prevenzione ai
sensi del D.lgs. 626/94 è
__________________________________________________________
(indicare il nominativo, se tale responsabile è previsto
dalle norme vigenti)
- estremi della precedente autorizzazione al funzionamento
rilasciata
__________________________________________________________
(se si tratta di strutture oggetto di ampliamento o tra
sformazione (paragrafo 6. della direttiva regionale di
cui alla deliberazione della Giunta regionale n. _____
del ______)
A tal fine allega:
- planimetria quotata dei locali della struttura, con l'indicazione della destinazione d'uso dei singoli ambienti;
- dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà ai sensi del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403 e della L. 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che la struttura rispetta la normativa vigente in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza, prevista al paragrafo 6.1 Parte I "Disposizioni generali" della direttiva regionale n. ___ del ____;
- per le strutture per minori: copia del progetto educativo generale della struttura che espliciti le metodologie educative che si intendono adottare, il tipo di utenza che si intende ospitare e la fascia d'età a cui ci si rivolge;
- copia del modello di cartella personale in uso presso la struttura;
- dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto gestore indicante le qualifiche ed il numero del personale previsto per la struttura a regime;
- per le strutture residenziali: copia del regolamento o Carta dei Servizi adottata dalla struttura (con le caratteristiche indicate al paragrafo 6.1 Parte I "Disposizioni generali" della direttiva regionale n. ___ del ____.
< P ALIGN="JUSTIFY"> Data Firma
_______________ _________________
n. allegati ________
Mod. VER1
REGISTRO PROVINCIALE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE
L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. ___ DEL ____
COMUNE DI___________________________________________________
PROVINCIA DI________________________________________________
SOGGETTO GESTORE __________________ _________________________
denominazione, natura giuridica ed indirizzo
STRUTTURA __________________________________________________
denominazione, indirizzo
TIPOLOGIA DELLA STRUTTURA __________________________________
tra quelle indicate nella parte II "Disposizioni specifiche" della direttiva
CAPACITA' RICETTIVA AUTORIZZATA ____________________________
NOMINATIVO DEL COORDINATORE
RESPONSABILE ____________________________
NOMINATIVO DEL RESPONSABILE
DELLE ATTIVITA' SANITARIE ____________________________
DATA DEL RILASCIO DELLA
AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO ____________________________
DATA DELLA VERIFICA O CONTROLLO ____________________________
ESTREMI DEL PROVVEDIMENTO ADOTTATO
A SEGUITO DI VERIFICHE O CONTROLLI _________________________
da compilare nel caso vengano adottati provvedimenti
(paragrafo 9. della direttiva)
CONTENUTO DEL PROVVEDIMENTO __________________________
__________________________
__________________________
__________________________
__________________________
Mod. PROVV
REGISTRO PROVINCIALE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE
L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. ___ DEL ____,
PARTE I, PARAGRAFO 7.3
COMUNE DI __________________________________________________
PROVINCIA DI _______________________________________________
SOGGETTO GESTORE ___________________________________________
denominazione, natura giuridica ed indirizzo
STRUTTURA __________________________________________________
denominazione, indirizzo
TIPOLOGIA DELLA STRUTTURA __________________________________
tra quelle indicate nella parte II "Disposizioni specifiche" della direttiva
CAPACITA' RICETTIVA AUTORIZZATA ____________________________
NOMINATIVO DEL COORDINATORE
RESPONSABILE _____________________________
NOMINATIVO DEL RESPONSABILE
DELLE ATTIVITA' SANITARIE ______________________________
ESTREMI DEL PROVVEDIMENTO CON CUI E'
STATA RILASCIATA L'AUTORIZZAZIONE _________________________
PROVVISORIA E AUTORITA' CHE
LA HA RILASCIATA __________________________
PRESCRIZIONI IMPARTITE _____________________________________
E DATA DI SCADENZA
_____________________________________
_____________________________________
_____________________________________
_____________________________________
_____________________________________
Mod. AUT1
REGISTRO PROVINCIALE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE
L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. ___ DEL ____
COMUNE DI __________________________________________________
PROVINCIA DI _______________________________________________
SOGGETTO GESTORE ___________________________________________
denominazione, natura giuridica ed indirizzo
STRUTTURA ___________________________ _______________________ denominazione, indirizzo
TIPOLOGIA DELLA STRUTTURA __________________________________
tra quelle indicate nella parte II "Disposizioni specifiche" della direttiva
CAPACITA' RICETTIVA AUTORIZZATA ____________________________
NUMERO POSTI CASA PROTETTA _____ NUMERO POSTI RSA _____
per le strutture di cui al paragrafo 1.4 parte II "Disposizioni specifiche" della direttiva
NOMINATIVO DEL COORDINATORE RESPONSABILE ___________________
NOMINATIVO DEL RESPONSABILE
DELLE ATTIVITA' SANITARIE _______________________________
AUTORIZZAZIONE OGGETTO DI CONFERMA (_)
paragrafo 7.2 della direttiva
NUOVA AUTORIZZAZIONE (_)
paragrafi 6.2, 7.1, 7.4 e 7.5 della direttiva
DATA DEL RILASCIO DELLA AUTORIZ-
ZAZIONE AL FUNZIONAMENTO __________________________
ESTREMI DEL PROVVEDIMENTO CON CUI E'
STATA RILASCIATA L'AUTORIZZAZIONE _______________________ DEFINITIVA OGGETTO DI CONFERMA E
AUTORITA' CHE LA HA RILASCIATA _______________________
per le strutture di cui al punto
7.2 della direttiva
REQUISITI STRUTTURALI RISPETTATI (_)DIRETTIVA n.__DEL___ da compilare solo per le strutture (_)DIRETTIVE PRECEDENTI
di cui al punto 7.1, 7.4 e 7.5 del-
la direttiva
Mod. DEN1
< P ALIGN="JUSTIFY">
REGISTRO PROVINCIALE DELLE COMUNICAZIONI DI AVVIO ATTIVITA'
L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N.___ DEL ___
PARTE I, PARAGRAFO 9.1
COMUNE DI __________________________________________________
PROVINCIA DI _______________________________________________
SOGGETTO GESTORE ___________________________________________
denominazione, natura giuridica ed indirizzo
STRUTTURA _____ _____________________________________________ denominazione, indirizzo
NUMERO MASSIMO DI UTENTI CHE POSSONO
ESSERE OSPITATI NELLA STRUTTURA _______________________
CARATTERISTICHE DELL'UTENZA OSPITATA _______________________
esempio: minori, anziani, disabili, ecc.
NUMERO E QUALIFICHE DEL PERSONALE ________________________
CHE OPERA NELLA STRUTTURA
__________________________
____________________________________________________________
____________________________________________________________
MODALITA' DI ACCOGLIENZA DELL'UTENZA _____________________ _
convenzione con enti pubblici,
rapporto diretto con gli utenti, ecc. ______________________
______________________
RETTA RICHIESTA AGLI OSPITI E/O AI
FAMILIARI ED EVENTUALE PARTECIPAZIONE ______________________
ALLA SPESA DI SOGGETTI PUBBLICI
_______________________
DATA IN CUI E' STATA PRESENTATA
AL COMUNE LA COMUNICAZIONE DI
AVVIO ATTIVITA' _______________________
 
 
Il lavoro a tempo parziale
Circolare n. 9 del 18 marzo 2004 (G.U. n. 75 del 30 marzo 2004)
 
 
Il lavoro a tempo parziale
Circolare n. 9 del 18 marzo 2004 (G.U. n. 75 del 30 marzo 2004)
1. Il sostegno legislativo al lavoro a tempo parziale
Il decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 ha introdotto, con l'articolo 46 e in adempimento
di quanto previsto all'articolo 3 della legge delega n. 30 del 2003, rilevanti modifiche alla disciplina
del rapporto di lavoro a tempo parziale. Disciplina contenuta, come noto, nel decreto legislativo n.
61 del 2000, così come modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2001.
Come illustrato nella Relazione tecnica di accompagnamento al decreto n. 276 del 2003, le
modifiche introdotte sono volte a favorire il ricorso a questa tipologia contrattuale, che in tutti i
Paesi europei ha dimostrato di fornire occasione di lavoro di qualità rispetto a prestazioni flessibile
o atipiche prive di tutele adeguate per i lavoratori, soprattutto per le fasce deboli altrimenti escluse
dal mercato del lavoro (donne, giovani in cerca di prima occupazione e anziani). Tali modifiche
sono attuate principalmente mediante una nuova regolamentazione degli strumenti di flessibilità del
rapporto a tempo parziale, attraverso la valorizzazione del ruolo della autonomia collettiva e, in
mancanza di questa, della autonomia individuale, fermo restando il rispetto di standard minimi di
tutela del lavoratore secondo quanto previsto dalla direttiva 97/81/CE.
Per facilitare la lettura della nuova disciplina del lavoro a tempo parziale, si allega alla presente
circolare il testo consolidato del decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dal decreto
legislativo n. 100 del 2001 e ora dal decreto legislativo n. 276 del 2003.
Si ritiene, comunque, doveroso puntualizzare come il lavoro a tempo parziale largamente
valorizzato dal legislatore comunitario, venga ancora utilizzato in Italia in misura ridotta rispetto
agli altri paesi a causa di una regolamentazione eccessivamente rigida e formalistica che si è inteso
superare con le nuove disposizioni contenute nel decreto legislativo 276. Pertanto, nel presupposto
che la promozione del lavoro a tempo parziale passi necessariamente attraverso una notevole
semplificazione normativa, la riforma Biagi agli incentivi normativi già previsti, ne aggiunge di
nuovi -eliminando inutili appesantimenti burocratici e restituendo alla contrattazione collettiva e
individuale piena operatività- al fine di valorizzare pienamente tutte le potenzialità dell'istituto e
consentire allo stesso di contemperare impegni lavorativi e responsabilità familiari oltre a
rappresentare un canale di accesso al mercato del lavoro regolare.
2. Ambito di applicazione e modalità tipologiche
Le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 276 del 2003 non si applicano ai rapporti di lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche per espressa previsione dell'articolo 3, comma 1,
della legge n. 30 del 2003, nonché in base all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del
2003. L'eventuale armonizzazione tra settore pubblico e settore privato, ipotizzata dall'articolo 86
dello stesso decreto legislativo n. 276 del 2003, è subordinata a un confronto tra Ministero della
Funzione pubblica e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche e impone un espresso intervento legislativo di modifica del quadro
previgente. Le modifiche introdotte alla disciplina del decreto legislativo n. 61 del 2000 trovano
dunque applicazione esclusivamente per il settore privato.
In base all'articolo 46, comma 1, lettera q), del decreto legislativo n. 276 del 2003, che ha abrogato
l'articolo 7 del decreto legislativo n. 61 del 2000, la disciplina del rapporto di lavoro a tempo
parziale è ora integralmente applicabile al settore agricolo.
Nel tentativo di estendere il più possibile il raggio di azione del nuovo lavoro a tempo parziale è
possibile stipulare detto contratto anche con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a termine.
Sebbene il decreto non lo affermi espressamente, non si ravvisa, in linea di principio, neppure una
incompatibilità tra il rapporto a tempo parziale e il contratto di apprendistato o di inserimento ove la
peculiare articolazione dell'orario non sia di ostacolo al raggiungimento delle finalità – formative
ovvero di adattamento delle competenze professionali – tipiche di questi contratti[1].
3. Definizioni
L'articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del 2000, che contiene la definizione di lavoro a tempo
parziale, è stato modificato[2]alla lettera a) del comma 2 per adeguare le disposizioni in materia di
lavoro a tempo parziale a quelle recentemente dettate in materia di orario di lavoro con il decreto
legislativo n. 66 del 2003. E' lavoro a tempo parziale il contratto con orario inferiore a quello
normale, come definito dalle norme di legge e contratto collettivo. Più precisamente, il lavoro a
tempo pieno è ora definito, attraverso il rinvio all'articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo
n. 66 del 2003, come orario normale fissato in 40 ore settimanali ovvero il minor orario previsto dai
contratti collettivi. Per quanto non esplicitamente richiamato deve intendersi come orario normale,
ai sensi del comma 2 del citato articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, anche quello
stabilito dai contratti collettivi con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative per un
periodo non superiore all'anno. Per l'individuazione dell'orario normale giornaliero, ex articolo 1,
comma 2, lettera c), la contrattazione collettiva ben potrà dettare, ai sensi dell'articolo articolo 1,
comma 3, una definizione specifica di tale orario che, ovviamente, avrà valore ai soli fini del lavoro
a tempo parziale di tipo orizzontale.
Rimangono, invece, invariate le altre definizioni contenute nel comma 2 del citato articolo 1 del
decreto legislativo n. 61 del 2000.
I contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati da organizzazioni comparativamente più
rappresentative, nonché i contratti collettivi aziendali, non più con la necessaria assistenza dei
sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto nazionale applicato, possono stabilire le
condizioni e le modalità della prestazione lavorativa nel rapporto di lavoro a tempo parziale.
Permane la facoltà per i contratti collettivi nazionali di prevedere, per specifiche figure o livelli
professionali, modalità particolari di attuazione della disciplina rimessa alla contrattazione collettiva
[3].
Tale disposizione consente, quindi, una regolamentazione differenziata riguardo ai contenuti
applicativi degli aspetti demandati alla contrattazione ad esempio con riferimento al lavoro
supplementare, clausole flessibili ed elastiche e via dicendo.
4. Forma e contenuto.
Non è stata modificata la norma che disciplina la forma del contratto a tempo parziale. E' pertanto
richiesta la forma scritta ai soli fini della prova. Il contratto di lavoro a tempo parziale deve indicare
puntualmente la durata della prestazione e la collocazione oraria della stessa con riferimento al
giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Tale ultima prescrizione può essere derogata solo ove le
parti introducano nel contratto una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico, che sono ammissibili
nei limiti previsti dalla legge (vedi infra). Come vedremo successivamente, la mancanza di tali
indicazioni non comporta, così come stabilito già dalla disciplina previgente, la nullità del contratto
[4].
L'articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha tuttavia abrogato l'obbligo,
contenuto nell'articolo 2 del decreto legislativo n. 61 del 2000, di inviare alla Direzione provinciale
del lavoro competente per territorio copia del contratto di lavoro a tempo parziale entro trenta giorni
[1]Con riferimento all'utilizzo dell'orario di lavoro a tempo parziale nell'ambito del contratto di
apprendistato o di formazione e lavoro si veda già la Circ. Min. Lav. n. 46/2001.
[2]Articolo 46, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 276/2003.
[3]Articolo 1, comma 3, d.lgs. n. 61/2000 come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera b),
d.lgs. n. 276/2003.
[4]Articolo 8, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera r)
del d.lgs. n. 276/2003.
dalla sua stipulazione. Si ricorda, peraltro, l'obbligo generale di comunicare l'assunzione entro 5
giorni dalla stessa, previsto dall'articolo 9
bis, comma 2, del decreto legge n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608 del 1996. Tale
obbligo dovrà essere adempiuto contestualmente alla assunzione con l'entrata in vigore, subordinata
all'emanazione del decreto interministeriale di cui all'articolo 4 bis, comma 7, del decreto legislativo
n. 181 del 21 aprile 2000, della nuova formulazione dell'articolo 9 bis come modificato dall'articolo
6, comma 3 del decreto legislativo n. 297 del 2002[5].
5. Modalità del rapporto di lavoro a tempo parziale
Lavoro supplementare
Il lavoro supplementare è definito, ex articolo 1, comma 2, lettera e), come il lavoro reso oltre
l'orario concordato nel contratto individuale entro il limite del tempo pieno.
La nuova formulazione dell'articolo 3, comma 1, prevede espressamente che nel part-time di tipo
orizzontale sia consentito il ricorso al lavoro supplementare e che il lavoro supplementare possa
essere svolto in ogni ipotesi di contratto a tempo determinato.
Ciò non esclude che il lavoro supplementare possa ipotizzarsi anche nel lavoro a tempo parziale di
tipo verticale o misto, tutte le volte che la prestazione pattuita ai sensi dell'articolo 2, comma 2, sia
inferiore all'orario normale settimanale.
Nel lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, la regolamentazione del lavoro supplementare
rimane affidata ai contratti collettivi stipulati dai soggetti individuati dall'articolo 1, comma 3, del
decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera b).
Rispetto alla precedente formulazione, è stato tuttavia eliminato il riferimento al contratto collettivo
effettivamente applicato. Pertanto, può ritenersi che il datore di lavoro che applichi un contratto che
non regolamenta il lavoro supplementare possa mutuare la regolamentazione contenuta in un
contratto diverso da quello applicato.
Alla autonomia collettiva è conseguentemente rimessa l'individuazione del numero massimo di ore
di lavoro supplementare effettuabili, le causali nonché le conseguenze del superamento dei limiti
massimi consentiti[6]. La nuova formulazione non predetermina il periodo di riferimento entro cui
detti limiti massimi devono essere stabiliti, e non vincola le parti del contratto collettivo ad
individuare causali di tipo oggettivo di ricorso al lavoro supplementare, di modo che possono essere
previste anche causali di tipo soggettivo.
In ipotesi di superamento dei limiti consentiti al lavoro supplementare il termine "conseguenze"
deve essere interpretato nel senso che tali conseguenze non devono essere di natura necessariamente
economica (per esempio riposi compensativi).
L'articolo 46, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha, inoltre, abolito il
comma 6 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 61 del 2000; conseguentemente è stata abrogata la
disciplina legale sussidiaria che prevedeva, in caso di superamento dei limiti consentiti e in assenza
di specifica previsione del contratto collettivo, una maggiorazione del 50 per cento sulla
retribuzione oraria globale di fatto, nonché la previsione legale che attribuiva alla contrattazione
collettiva la facoltà di regolamentare il consolidamento dell'orario di lavoro svolto in via non
meramente occasionale.
In presenza della regolamentazione collettiva non è necessario, in base alla esplicita previsione di
legge, il consenso al lavoro supplementare da parte del lavoratore. L'eventuale rifiuto non può in
ogni caso integrare un giustificato motivo di licenziamento.
[5] Cfr. Circ. Min. Lav. del 24 novembre 2003, n. 37.
[6]Articolo 3, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera e)
del d.lgs. n. 276/2003.
Il venir meno del riferimento all'illecito disciplinare, contemplato dalla normativa previgente, deve
essere interpretato nel senso che l'illegittimo rifiuto a rendere la prestazione supplementare può
acquisire rilevanza disciplinare.
In mancanza di regolamentazione collettiva il lavoro supplementare è comunque ammesso su base
volontaria, ma è venuto meno, in forza dell'articolo 46, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n.
276 del 2003, il limite del 10 per cento rispetto all'orario concordato, previsto dalla originaria
formulazione dell'articolo 3, comma 2 del decreto legislativo n. 61 del 2000. In assenza di
regolamentazione collettiva, e previo accordo individuale, il lavoro supplementare è pertanto
ammesso senza limiti, fermo restando quello del tempo pieno.
A fronte del principio di libertà della forma non è richiesto che il consenso, a differenza che per le
ipotesi di lavoro flessibile ed elastico, sia prestato con una forma predeterminata. Pertanto, il
consenso, oltre che essere manifestato per fatti concludenti, potrà essere anche preventivamente
acquisito, ad esempio all'inizio del turno/settimana/mese.
La necessità del consenso, per contro, comporta che il rifiuto, in questa ipotesi, non può costituire
né giustificato motivo oggettivo di licenziamento né un fatto disciplinarmente rilevante.
La disciplina legale non prevede una maggiorazione per il lavoro supplementare. I contratti
collettivi hanno tuttavia facoltà di introdurre una maggiorazione per il lavoro supplementare sulla
retribuzione oraria globale di fatto.
I contratti collettivi possono stabilire che l'incidenza sugli istituti retributivi indiretti e differiti della
retribuzione per le ore supplementari, sia applicata attraverso una maggiorazione forfetaria della
retribuzione oraria globale di fatto.
La nuova disciplina del lavoro supplementare è immediatamente applicabile. Riguardo alle
discipline vigenti nei contratti collettivi, in considerazione della espressa abrogazione della
disciplina transitoria introdotta dall'articolo 3, comma 15, del d.lgs. n. 61 del 2000, decadono tutte
le clausole dei contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali) vigenti alla entrata in vigore del
d.lgs. n. 276 del 2003 incompatibili con la nuova disciplina di legge ovvero stipulate sul
presupposto o, comunque, in applicazione della norma legale coeva. Verranno meno, di
conseguenza, anche le clausole dei contratti individuali apposte in applicazione della disciplina
collettiva oramai caducata.
Il lavoro straordinario
Nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto è ammesso il ricorso al lavoro straordinario [7].
E' possibile il ricorso al lavoro straordinario anche nella ipotesi in cui il rapporto a tempo parziale
sia stipulato a termine[8].
Il lavoro straordinario è disciplinato dalle regole vigenti, legali e contrattuali, per i lavoratori a
tempo pieno. Sarà possibile il ricorso al lavoro straordinario solo ove il tempo pieno settimanale sia
stato raggiunto. In caso contrario, la variazione in aumento dell'orario potrà essere gestita mediante
il ricorso a clausole elastiche ovvero mediante il ricorso al lavoro supplementare.
Come per i lavoratori a tempo pieno non è previsto alcun obbligo di forma per la richiesta di
effettuazione di lavoro straordinario.
Clausole flessibili
Nel contratto di lavoro a tempo parziale deve essere inserita una puntuale regolamentazione della
collocazione oraria della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana al mese o all'anno [9].
Il datore di lavoro non può modificare unilateralmente la collocazione della prestazione lavorativa
rispetto a quella contrattualmente stabilita. Le parti del contratto individuale hanno la facoltà di
[7]Articolo 3, comma 5, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera i)
del d.lgs. n. 276/2003.
[8]Articolo 3, comma 5, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera i)
del d.lgs. n. 276/2003.
[9] Articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 61/2000.
stipulare un patto, in forma scritta, avente ad oggetto una clausola flessibile [10]. Il patto può essere
stipulato anche quando il rapporto di lavoro a tempo parziale è stipulato a termine [11].
Il patto può essere stipulato contestualmente o successivamente all'assunzione [12]. Nella
stipulazione di detto patto il lavoratore può chiedere di farsi assistere da un rappresentante sindacale
in azienda da lui indicato [13].
La regolamentazione del lavoro flessibile è demandata all'autonomia collettiva che individua le
condizioni e le modalità di esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro di variare la
collocazione temporale della prestazione [14].
La disciplina legale prevede in favore del lavoratore un preavviso di due giorni lavorativi [15]. Le
parti, anche del contratto individuale, possono stabilire una diversa misura del preavviso ma non
eliminarlo completamente.
In caso di lavoro flessibile il lavoratore ha inoltre diritto a specifiche compensazioni. La
determinazione della forma e della misura di tali compensazioni è rinviata alla autonomia collettiva
tenuto conto che l'articolo 3, comma 1, lettera b), della legge delega n. 30 del 2003 prevede che sia
comunque prevista una maggiorazione di carattere retributivo da riconoscere al lavoratore.
La nuova formulazione del testo di legge non ripropone il requisito del contratto effettivamente
applicato. Anche, in questa ipotesi, pertanto, può ritenersi che il datore di lavoro che applichi un
contratto che non regolamenta il lavoro flessibile possa mutuare la regolamentazione contenuta in
un contratto diverso da quello applicato. In tal caso, occorre tuttavia che il contratto individuale di
lavoro indichi espressamente quale sia il contratto collettivo cui si intende far riferimento. E ciò per
l'evidente esigenza di rendere edotto il lavoratore della disciplina contrattuale cui è assoggettato.
In mancanza di una regolamentazione per via collettiva le parti possono, comunque accordarsi per
lo svolgimento di lavoro flessibile[16] ma devono regolamentarne condizioni e modalità, nonché
stabilire le forme e la misura della compensazione.
Il rifiuto del prestatore di lavoro di stipulare la clausola flessibile non costituisce in ogni caso, e cioè
anche indipendentemente dal fatto che esista o meno regolamentazione collettiva della materia,
giustificato motivo di licenziamento [17].
L'articolo 46 del decreto legislativo n. 276/2003, modificando il testo previgente, ha abolito la
regolamentazione legale del diritto di ripensamento con cui era possibile per il prestatore di lavoro
recedere dal patto di flessibilità [18].
[10]Articolo 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
j) del d.lgs. n. 276/2003 e articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo
46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003.
[11]Articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
m) del d.lgs. n. 276/2003.
[12]Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
l) del d.lgs. n. 276/2003.
[13]Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
l) del d.lgs. n. 276/2003.
[14]Articolo 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
j) del d.lgs. n. 276/2003.
[15]Articolo 3, comma 8, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
k) del d.lgs. n. 276/2003.
[16]Articolo 8 ter, d.lgs. n. 61/2000 introdotto dall'articolo 46, comma 1, lettera s) del d.lgs. n.
276/2003.
[17]Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
l) del d.lgs. n. 276/2003.
[18]Articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 61/2000 ora modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera l) del
d.lgs. n. 276/2003 che esplicita la possibilità di inserire clausole flessibili ed elastiche nei contratti a
termine.
Infine, si sottolinea, che non integrano una ipotesi di clausola flessibile le previsioni dei contratti
collettivi, stipulati dai soggetti individuati dall'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 61
del 2000 come modificato dall'art. 46, comma 1 d.lgs. n. 276 del 2003, che, nel determinare le
modalità della prestazione lavorativa a tempo parziale, prevedano che la stessa possa essere
programmata con riferimento a turni articolati su fasce orarie prestabilite di modo che ove tale
indicazione sia recepita nel contratto individuale (per relationem) deve essere considerato
soddisfatto il requisito della puntuale indicazione della collocazione temporale della prestazione
con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno ([19]).
Clausole elastiche
L'articolo 46 del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha introdotto, limitatamente al part-time
verticale e misto, la facoltà per le parti del contratto di lavoro di stipulare una clausola elastica
relativa cioè alla variazione in aumento della prestazione lavorativa. Tale clausola si differenzia
dalla clausola flessibile perché non concerne dunque, semplicemente, la collocazione del monte ore
concordato ma attiene invece alla possibilità – vietata dalla normativa previgente – di ampliare il
numero di ore concordato.
La clausola elastica è regolamentata dalla medesima disciplina prevista per la clausola flessibile ma
all'autonomia collettiva è demandata, oltre che la regolamentazione delle condizioni e modalità di
esercizio del potere datoriale di variare in aumento la prestazione
lavorativa, anche l'individuazione dei limiti entro cui è legittimo il ricorso al lavoro elastico.
In assenza di regolamentazione collettiva tali limiti devono essere previsti dalle parti del contratto
individuale che stipulino il patto avente ad oggetto la clausola elastica.
La clausola elastica determina un incremento definitivo della quantità della prestazione, a differenza
dello straordinario o del supplementare ove si verifica un aumento temporaneo della prestazione,
riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione aggiuntiva. Tale
incremento può ovviamente essere delimitato nel tempo e potrebbe anche essere solo eventuale.
6. La trasformazione del rapporto.
Datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi per trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo
parziale o viceversa. Il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il rapporto non integra in nessun
caso un giustificato motivo di licenziamento [20].
L'accordo con cui le parti stabiliscono la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo
parziale deve essere stipulato in forma scritta e deve essere convalidato davanti alla Direzione
Provinciale del Lavoro competente per territorio non essendo più prevista la facoltà per il lavoratore
di richiedere l'assistenza di un rappresentante sindacale in azienda da lui indicato [21]. L'atto di
convalida ben può intervenire successivamente alla stipula dell'accordo e non presuppone la
necessaria presenza del lavoratore.
Nell' ipotesi di trasformazione a tempo pieno di un rapporto a tempo parziale, così come nell'ipotesi
di aumento o diminuzione definitivi della durata della prestazione dedotta nel contratto, non sono
previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa.
Si ricorda, peraltro, che l'articolo 4 bis, comma 5, del decreto legislativo n. 181 del 2000, come
modificato dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 2002, la cui entrata in vigore
è subordinata all'emanazione del decreto interministeriale di cui all'articolo 4 bis, comma 7, del
decreto legislativo n. 181 del 21 aprile 2000, prevede l'obbligo di comunicare, entro cinque giorni,
ai servizi competenti, la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno[22].
[19] Cfr. Circ. Min.Lav. n. 37/93
[20]Articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
o) del d.lgs. n. 276/2003.
[21]Articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
o) del d.lgs. n. 276/2003.
[22] Cfr. Circ. Min. Lav. del 24 novembre 2003, n. 37.
La nuova disciplina legale del rapporto di lavoro a tempo parziale ha abolito il diritto legale di
precedenza per la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno nell'ipotesi di nuove
assunzioni a tempo pieno, per mansioni uguali o equivalenti in unità produttive site nello stesso
ambito comunale [23]. Tale diritto, però, può essere inserito dalle parti nel contratto individuale
[24].
E' rimasta invariata la precedente regolamentazione del diritto di precedenza nel passaggio da
tempo pieno a tempo parziale eccezion fatta per il venir meno dell'obbligo
legale, da parte del datore di lavoro, di motivare adeguatamente l'eventuale rifiuto a fronte di una
specifica richiesta del lavoratore [25].
7.Computo dei lavoratori part time
Ai fini delle disposizioni di legge e di contratto collettivo i lavoratori assunti con contratto di lavoro
a tempo parziale devono essere computati nell'organico. aziendale in proporzione al tempo effettivo
di lavoro. A tal fine dunque occorre considerare anche l'eventuale lavoro supplementare o quello
prestato in virtù di clausole elastiche.
8. Sanzioni
L'articolo 8, comma 1 del decreto legislativo n. 61 del 2000 è rimasto invariato coerentemente con
il permanere del requisito della forma scritta esclusivamente a fini probatori.
In difetto di prova, relativamente alla stipulazione del contratto di lavoro come contratto a tempo
parziale, il lavoratore potrà chiedere che il rapporto di lavoro sia dichiarato a tempo pieno dalla data
in cui la mancanza della forma scritta sia giudizialmente accertata, fermo restando il diritto alla
retribuzione per la prestazione effettivamente resa nel periodo anteriore.
L'articolo 46, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha modificato il secondo
comma dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 61 del 2000.
La nuova formulazione ribadisce che l'assenza di indicazioni puntuali, relativamente alla
collocazione e alla durata della prestazione lavorativa nel contratto a tempo parziale, non comporta
la nullità dello stesso.
Nell'ipotesi di mancata o imprecisa indicazione della durata, il lavoratore potrà agire per far
dichiarare che il rapporto di lavoro è a tempo pieno dalla data della sentenza. Rimane il diritto alla
retribuzione per la prestazione effettivamente eseguita ma il lavoratore ha diritto ad un equo
risarcimento per il periodo anteriore alla sentenza.
Nell'ipotesi in cui manchi o sia indeterminata la definizione della collocazione oraria questa potrà
essere definita in giudizio.
Come parametro si rinvia alle determinazioni dei contratti collettivi in materia di clausole elastiche
o flessibili, in quanto utili a determinare la collocazione della prestazione. In
mancanza dovrà tenersi conto delle responsabilità famigliari del lavoratore, della necessità che
questi possa avere di integrare il reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo
svolgimento di altra attività lavorativa nonché delle esigenze organizzative del datore di lavoro.
Anche in questa ipotesi, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente
resa, è previsto un ulteriore emolumento, a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con
valutazione equitativa, per il periodo anteriore alla sentenza. Si preserva la facoltà per le parti di
introdurre successivamente clausole elastiche o flessibili.
[23]articolo 5, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
o) del d.lgs. n. 276/2003.
[24]articolo 5, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
o) del d.lgs. n. 276/2003.
[25]articolo 5, comma 3, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall'articolo 46, comma 1, lettera
o) del d.lgs. n. 276/2003.
Le controversie relative alla mancanza della forma scritta, ovvero alla omessa o imprecisa
indicazione della collocazione oraria della prestazione o della sua durata, possono essere risolte
anche mediante le procedure di conciliazione e arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali
stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative.
L'articolo 46, comma 1, lettera s) del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha inoltre introdotto
nell'articolo 8 del decreto legislativo n. 61 del 2000 il comma 2 bis. In base a tale norma lo
svolgimento del lavoro flessibile o elastico in violazione delle previsioni legali nonché, ove
esistenti, di quelle contrattuali, attribuisce al lavoratore uno specifico diritto alla corresponsione di
un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno.
A fronte della nuova regolamentazione del diritto di precedenza nel passaggio da tempo parziale a
tempo pieno, non più previsto per legge, ma eventualmente solo sulla base del contratto individuale,
la sanzione prevista dall'articolo 8 comma 3, che prevede la corresponsione, in caso di violazione
del diritto, di un risarcimento pari alla differenza fra
l'importo della retribuzione percepita e quella che sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio
nei sei mesi successivi, integra il contratto individuale qualora le parti, introducendo il diritto,
abbiano omesso di predeterminare la conseguenza della sua violazione.
A fronte dell'abrogazione dell'obbligo di comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro deve
ritenersi implicitamente abrogata anche la relativa sanzione prevista dal comma 4 dell'articolo 8 del
decreto legislativo n. 61 del 2000.
Per le violazioni antecedenti al 24 ottobre 2003, trova applicazione il principio di irretroattività
delle leggi che prevedono sanzioni amministrative di cui all'articolo 1 della legge n. 689/1981. Ne
consegue che, anche nel caso di emissione di ordinanza di ingiunzione, avente ad oggetto violazioni
anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina, troveranno applicazione le sanzioni riferite alla
violazione dell'obbligo di comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro.
A tal riguardo è significativa la decisione della Suprema Corte n. 16699 del 26 novembre 2002, la
quale stabilisce che "in materia di illeciti amministrativi, l'adozione del principio di legalità, di
irretroattività e di divieto di applicazione dell'analogia, risultante dall'articolo 1 della L. n.
689/1981, comporta l'assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo
verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole"; inoltre la
medesima pronuncia chiarisce che la nuova disciplina non opera "limitatamente ai rapporti non
esauriti, per essere ancora in corso i relativi procedimenti, né in relazione alle violazioni commesse
precedentemente, ma per le quali l'ordinanza ingiunzione è stata emessa dopo l'entrata in vigore
della legge, atteso che l'ordinanza ingiunzione non è esercizio di un potere e provvedimento
amministrativo costitutivo, ma atto puramente esecutivo, preordinato soltanto alla riscossione di un
credito già per effetto della violazione commessa".
9. Trasformazione del rapporto in favore di lavoratori affetti da patologie oncologiche.
Il decreto legislativo n 276 del 2003, valorizzando il ruolo del contratto di lavoro a tempo parziale
come strumento per contemperare le esigenze di competitività delle imprese con le istanze di tutela
del lavoratore, introduce anche una disciplina promozionale a favore dei lavoratori affetti da
patologie oncologiche.
L'articolo 46, comma 1, lettera t), del decreto ha infatti aggiunto al decreto legislativo n. 61 del
2000 l'articolo 12 bis, tipizzando una ipotesi speciale di trasformazione del rapporto in favore di
lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche
a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita
presso l'azienda unità sanitaria locale
territorialmente competente, si prevede infatti il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a
tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale o orizzontale.
La norma prevede, inoltre, che, a fronte della richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo
parziale debba nuovamente essere trasformato in rapporto di lavoro a tempo pieno.
Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
Roberto Maroni
 
626
 
Esperienza di gestione concertata della sicurezza
A cura di Giuseppe Ferricelli

Premessa

L’investire in sicurezza aziendale, intesa come insieme di pratiche preventive, informative ed operative, anche se inizialmente può sembrare antieconomico (data la scarsa obbligatorietà dei vincoli di legge) a breve termine, dopo un attenta disamina dei costi-benefici, tende sicuramente verso la seconda opzione. Il punto di partenza di questa gestione integrata è la legge 626/94 con le successive modifiche
Lo spirito della legge era ed è tuttora ovviamente, quello di rivedere le condizioni di salute, igiene e
sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro attraverso una serie di interventi di tipo
organizzativo - procedurale che prevedono anche la consultazione e la partecipazione attiva
dei lavoratori nella gestione aziendale in materia di prevenzione dei rischi e controllo dello stato
di salute dei lavoratori.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) è una di quelle nuove figure previste dalla
626 che avrebbe dovuto avere una importanza cruciale sia per le funzioni che svolge e per il
ruolo di rappresentanza che esso ricopre nei confronti dei lavoratori, per una vera, corretta ed
efficace attuazione di quanto previsto da questa normativa.
La partecipazione del RLS alle politiche aziendali sulla sicurezza, la sua consultazione sulle
tematiche della salute e le sue proposte per il miglioramento delle condizioni di lavoro sono state all’interno della nostra azienda un valore aggiunto generalmente accettato e condiviso anche dalla dirigenza. Anche perché la presenza di un rappresentante dei lavoratori nei luoghi di lavoro su questi temi è una grossa risorsa e conquista che va difesa e supportata.
Concludendo: il motivo principale di questo lavoro è quello di promuovere, attraverso l’informazione e la presenza nell’ambiente di lavoro della propria azienda, iniziative e strumenti condivisi per la prevenzione dai rischi lavorativi

Problematiche legate all'organizzazione del lavoro

Individuando per comodità tre aree di suddivisione procedurali di lavoro ( Centro Diurno, Residenziale, Ufficio) il primo passo è stato una valutazione conoscitiva, con diversi sopralluoghi, legata all'organizzazione del lavoro complessiva intesa come la possibilità di diminuire in primo luogo le probabilità di infortunio legati ad elementi strutturali ma anche, principalmente su iniziativa del Rls, alla possibilità di contrarre malattie professionali in relazione al turno di lavoro, ai doppi turni, allo stress, alle procedure di lavoro, alla movimentazione manuale dei carichi, ecc. Da questo lavoro, complementarmente, sono nati, a supporto, le dispense sul primo soccorso e sul mobbing. E da tanti intrecci è nato anche lo sviluppo che ha portato alla figura complementare del delegato sociale.
Di seguito troverete link, lavori e iniziative, editoriali e non, legislazione e tutto quello che sono riuscito a produrre. Chi volesse una copia della dispensa sul primo soccorso, antincendio e infortunistica in generale, me ne faccia richiesta.


E mail: giuseppe.ferricelli@fastwebnet.it
 
 
Documenti utilissimi in riferimento alla 626
 
Link documenti utilissimi 626