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5 paoli per vedere la Torre di Pisa
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FISCHIA IL VAPORE

« Tutti pareano a vicenda congratularsi di vivere in un tempo in cui la serena luce del Genio della Pace ha eclissato l'infausto bagliore dell'Eroismo Guerriero, e le feste eccitanti il popolare entusiasmo, sono dedicate ad onorare le conquiste dell'Ingegno e dell'Industria per la pubblica utilità...»

[ una gloriosa ... "caffettiera" ]

Chi scrisse queste parole fu un nostro collega della Gazzetta di Firenze al quale nel marzo del 1844 la penna prese un po' la mano, così come la prese ad un altro di Lucca, il quale scrisse che l'epoca della contemplazione era finita e che il «bisogno di moltiplicare l'esistenza era sprone novello alla libera attività dello spirito umano».
In quel marzo era successo che un treno - il primo della Toscana, uno dei primi della penisola - era partito da Pisa ed era arrivato a Livorno in quindici, dicesi quindici, minuti, portando al mare settecento pisani che avevano pagato 5 paoli a testa, e successivamente erano stati settecento livornesi a provare l'ebbrezza della strada ferrata per vedere la Torre di Pisa. Tecnicamente il padrino della prima ferrovia toscana era stato Robert Stephenson, figlio del pioniere inglese George, ma politicamente il padrino era stato il Granduca Canapone, e infatti la prima ferrovia toscana - che dopo il tratto Pisa-Livorno vide aprire quello di Pisa-Pontedera (1845), poi quello Pontedera-Empoli (1847) e infine il tratto Empoli-Firenze, aperto il 12 giugno 1848 - venne battezzata "la Leopolda" e fu accolta dal tripudio di tutti i sudditi, e particolarmente dai fiorentini accorsi a vedere inaugurare la stazione di Porta a Prato «lieti di veder benedetti dalla Religione questi stupendi avanzamenti dell'industria».
Il tripudio non si fermò, così come non si fermarono le rotaie granducali. I fuochisti accesero caldaie e fantasie, e perfino il Carducci fu preso dall'entusiasmo: «... in faccia a noi fumando - ed anelando nuove industrie in corsa - fischia il vapor ». Con quel fischio si chiuse un'epoca, e ne cominciò un'altra, quella dei viaggi sempre più veloci, delle distanze sempre più annullate, mentre i binari presero a solcare tutta la regione: fu infatti inaugurata la linea Firenze-Pistoia per Prato, quella tra Pisa e Lucca, quella tra Empoli e Siena che poi si allungò verso Sinalunga e Torrita, mentre nel 1853 ebbe inizio la Firenze-Arezzo-Terontola.
La Toscana di quel tempo fu poi chiamata da qualcuno, con un pizzico di sufficienza, se non proprio di disprezzo, "la Toscanina", (e a noi, una volta, ci scappò di scrivere"... ma com'era grande la Toscanina!!") ma probabilmente nessun governo successivo riuscì a fare tutte insieme le cose che il governo granducale, tra bonifiche, strade importanti (molte di quelle che percorriamo oggi) e ferrovie. «La Toscana -disse Cavour- non si è lasciata precedere da nessun altro stato nella questione delle ferrovie...» Via via le rotaie solcarono sempre più le campagne toscane, attraversarono le vigne, si accompagnarono ai filari di cipressi, sfiorarono le pievi romaniche, le borgate, i castelli, mentre le locomotive s'inserivano nel paesaggio toscano.
Venne il giorno il cui il vapore cessò di fischiare, e le vaporiere che "fumavano" in faccia al Carducci imboccarono le rotaie del tramonto, cedendo il passo alle linee elettrificate, alle littorine, a locomotive sempre più sofisticate e veloci, ed anche alle autostrade e ai bolidi a quattro ruote. Anche molte stazioni e stazioncine, andarono in pensione, non ebbero più la biglietteria, non sentirono più il fischio del Capostazione con la paletta, poiché i treni, in quelle stazioncine, non fermarono più, e tirarono di lungo -come estranei- sferragliando, e creando effimeri vortici d'aria o fermandosi per abitudine.
Oggi, un velo di malinconia si stende sulle superstiti scritte dei vecchi scali abbandonati, sulle aiuole senza più un geranio, sulle "sale d'attesa" che conobbero giorni migliori, sugli orologi senza lancette che sporgono a bandiera sopra file di panchine sverniciate, sulla trama di quegli scambi e di quei binari, ora fatiscenti, che un giorno furono salutati da folle in delirio, con discorsi, sventolii di bandiere, la banda e tutto. Gli anni sono molto più veloci delle locomotive, e oggi sembrano fantasmi preistorici quelli che, appena ieri, i nostri colleghi chiamavano "stupendi avanzamenti dell'industria".

     
 Giorgio Batini da "TOSCANAQUI" - sett/ott 2002