Una donna uccello mai dimenticata
Un mito di carta in un mondo di celluloide. Ognuno di noi l'ha conosciuta negli atlanti fotografici
 
di Callisto Cosulich ("Paese Sera", 10 Agosto 1985)
 
          Si parla molto in questi tempi di morte del cinema. Nessuno parla però di morte dei miti che il cinema ha creato. C'è insomma la certezza che, qualora il cinema non riuscisse a sopravvivere al suo primo secolo di vita, qualora le rimanenti sale cinematografiche si trasformasero in supermercato, autorimesse e tavole calde e il piccolo schermo, esaurite le scorte di film e venute a noi[a] le repliche, fosse utilizzato unicamente per la trasmissione di sceneggiati, serials, telenovelas e videoclips, qualcosa di quella che fu chiamata la 'settima arte', la più fuggevole, la più effimera di tutte le arti, resisterebbe comunque al suo decesso. Sarebbe, questo 'qualcosa', l'insieme dei miti da essa creati. Più precisamente i miti creati dall'industria del divismo: da Rodolfo Valentino a Greta Garbo, da Marlene Dietrich a Louise Brooks, da Marylin Monroe a James Dean, per citare i primi nomi che ci vengono in mente. Ciascuno con la propria vicenda, con la propria capacità di sollecitare il desiderio collettivo e di stimolare processi di identificazione. Ciascuno col proprio mistero. Non una storia che si ripete, ma una casistica sempre varia che, a rileggerla, non finisce mai di sorprenderci.

          E la sorpresa maggiore è sempre stata, per noi almeno, la ventura di Louise Brooks: un mito consegnato non tanto alle immagini in movimento, quanto a quelle fisse stampate sugli atlanti erotici, non tanto ai riti popolari e animati dei cultori dell'effimero, quanto alle funzioni elitarie, catacombali dei mangiatori di film, frquentatori delle cineteche. Potremmo dire addirittura: non alla immagine in quanto tale, bensì alla scrittura, magari a quella scrittura ideografica del mondo occidentale, coetanea del cinema, che passa sotto il nome di fumetto.
          Non a caso l'ultimo omaggio a Louise Brooks è stato celebrato l'estate scorsa ad Ascona, come preambolo al Festival di Locarno, con una mostra che comprendeva assieme alle 'strisce' di Fellini, quelle dedicate alla diva americana, una diva, vale la pena di ricordarlo, che ha ispirato lo stesso Crepax, quando egli si trovò a dare forma alla sua intramontabile Valentina.
          Ma ecco il punto che oggi ci preme mettere in rilevo nel momento in cui le agenzie ci trasmettono la notizia del suo decesso: quanti sono gli spettatori detti normali, cioé quelli che non sanno cosa siano le cineteche, che frequentano tuttora, magari una volta all'anno, le sale cinematografiche e seguono più o meno distrattamente quel cinema che passa attraverso il video, quanti sono coloro che hanno visto un film interpretato da Louise Brooks? Si dirà: Louise Brooks è una diva del muto, che è uscita dalla comune poco dopo l'avvento del sonoro.
          Ma è un motivo che non regge alla prova dei fatti. Perché Valentino è uscito dalla comune ben prima di lei eppure la sua immagine in movimento, il suo modo di danzare il tango nei Quattro cavalieri dell'Apocalisse sono bene impressi oggi nella memoria collettiva. Louise Brooks è in realtà il primo e rimarrà probabilmente l'unico mito di carta in un mondo di celluloide: interamente costruito da un altro mezzo di comunicazione che esiteremmo nella fattispecie a definire di massa. Perché la fortuna di Louise Brooks è stata e si è sviluppata attraverso immagini e testimonianze racchiuse in pubblicazioni molto esclusive e particolari, come gli atlanti fotografici di Lo Duca e il volume Amour-érotisme et cinéma di Kyrou.
          È lì che l'abbiamo conosciuta, nel fantastico costume della 'donna uccello' che ella indossava per meglio scoprirsi in The cat and the canary [in realtà The Canary murder case], e poi sulle grasse ginocchia di Fritz Kortner in quella Lulu di Pabst, risorta ora a nuova vita più per merito suo che non del discusso e ridimensionato regista.
          È lì che abbiamo imparato a desiderarla prima ancora di vederla muoversi sullo schermo, grazie all'accattivante quanto entusiasta capitolo che le dedicò negli anni Cinquanta l'erotologo di origine greca, autore del primo - e mai superato - trattato sull'amore nel cinema.
          Di solito si dice che sono i registi a fare le attrici e si cita il caso macroscopico di Josef von Sternberg che creò Marlene e il suo mito. Possiamo in questo caso rovesciare il rapporto e dire che è stata Louise Brooks a creare e a far durare i suoi registi? Oggi Pabst viene ricordato soprattutto per Lulu. Oggi si dice che il nostro Genina, nonstante i peccati che egli commise sotto il fascismo, era in fondo un buon regista grazie soprattutto a quel Miss Europa che egli girò a Parigi agli albori del sonoro, avvalendosi dell'apporto prezioso di Louise Brooks.: questa attrice uscita - come dicevamo - dalla comune fin dagli anni Trenta eppur rimasta viva, certo sulle pagine dei giornali sino alla sua morte grazie anche alla splendida autobiografia che ella diede alle stampe pochi anni fa.
          Questa attrice che non avrà alcun bisogno di una rinfrescata televisiva per restare nella memoria di tutti. Basterà una delle tante fotografie.


Index ] Pagina superiore ] Louise Brooks, necrologio di Volker Baer ] Louise Brooks, necrologio di Gian Piero Brunetta ] Louise Brooks, necrologio di Alberto Crespi ] Louise Brooks, necrologio di Morando Morandini ] Louise Brooks, necrologio di Herbert Mitgang ] Louise Brooks, necrologio di Giuseppe Piacentino ] Louise Brooks, necrologio di Clancy Sigal ] Louise Brooks, necrologio anonimo ] Louise Brooks, necrologio di Marie Noelle Tranchant ] Louise Brooks, necrologio di Stefano Reggiani ] Louise Brooks, necrologio di Diego Galan ] Louise Brooks, necrologio di Colette Godard ] [ Louise Brooks, necrologio di Callisto Cosulich ]