Si parla molto in questi tempi di morte
del cinema. Nessuno parla però di morte dei miti che il cinema ha creato.
C'è insomma la certezza che, qualora il cinema non riuscisse a
sopravvivere al suo primo secolo di vita, qualora le rimanenti sale
cinematografiche si trasformasero in supermercato, autorimesse e tavole
calde e il piccolo schermo, esaurite le scorte di film e venute a noi[a]
le repliche, fosse utilizzato unicamente per la trasmissione di
sceneggiati, serials, telenovelas e videoclips, qualcosa di quella che fu
chiamata la 'settima arte', la più fuggevole, la più effimera di tutte
le arti, resisterebbe comunque al suo decesso. Sarebbe, questo 'qualcosa',
l'insieme dei miti da essa creati. Più precisamente i miti creati
dall'industria del divismo: da Rodolfo Valentino a Greta Garbo, da Marlene
Dietrich a Louise Brooks, da Marylin Monroe a James Dean, per citare i
primi nomi che ci vengono in mente. Ciascuno con la propria vicenda, con
la propria capacità di sollecitare il desiderio collettivo e di stimolare
processi di identificazione. Ciascuno col proprio mistero. Non una storia
che si ripete, ma una casistica sempre varia che, a rileggerla, non
finisce mai di sorprenderci. |
E
la sorpresa maggiore è sempre stata, per noi almeno, la ventura di Louise
Brooks: un mito consegnato non tanto alle immagini in movimento, quanto a
quelle fisse stampate sugli atlanti erotici, non tanto ai riti popolari e
animati dei cultori dell'effimero, quanto alle funzioni elitarie,
catacombali dei mangiatori di film, frquentatori delle cineteche.
Potremmo dire addirittura: non alla immagine in quanto tale, bensì alla
scrittura, magari a quella scrittura ideografica del mondo occidentale,
coetanea del cinema, che passa sotto il nome di fumetto.
Non a caso l'ultimo
omaggio a Louise Brooks è stato celebrato l'estate scorsa ad Ascona, come
preambolo al Festival di Locarno, con una mostra che comprendeva assieme
alle 'strisce' di Fellini, quelle dedicate alla diva americana, una diva,
vale la pena di ricordarlo, che ha ispirato lo stesso Crepax, quando egli
si trovò a dare forma alla sua intramontabile Valentina.
Ma ecco il punto
che oggi ci preme mettere in rilevo nel momento in cui le agenzie ci
trasmettono la notizia del suo decesso: quanti sono gli spettatori detti
normali, cioé quelli che non sanno cosa siano le cineteche, che
frequentano tuttora, magari una volta all'anno, le sale cinematografiche e
seguono più o meno distrattamente quel cinema che passa attraverso il
video, quanti sono coloro che hanno visto un film interpretato da Louise
Brooks? Si dirà: Louise Brooks è una diva del muto, che è uscita dalla
comune poco dopo l'avvento del sonoro.
Ma è un motivo che
non regge alla prova dei fatti. Perché Valentino è uscito dalla comune
ben prima di lei eppure la sua immagine in movimento, il suo modo di
danzare il tango nei Quattro cavalieri dell'Apocalisse sono bene
impressi oggi nella memoria collettiva. Louise Brooks è in realtà il
primo e rimarrà probabilmente l'unico mito di carta in un mondo di
celluloide: interamente costruito da un altro mezzo di comunicazione che
esiteremmo nella fattispecie a definire di massa. Perché la fortuna di
Louise Brooks è stata e si è sviluppata attraverso immagini e
testimonianze racchiuse in pubblicazioni molto esclusive e particolari,
come gli atlanti fotografici di Lo Duca e il volume Amour-érotisme
et cinéma di Kyrou.
È lì che
l'abbiamo conosciuta, nel fantastico costume della 'donna uccello' che
ella indossava per meglio scoprirsi in The cat and the canary [in
realtà The Canary murder case], e poi
sulle grasse ginocchia di Fritz Kortner in quella Lulu
di Pabst, risorta ora a nuova vita più per merito suo che non del
discusso e ridimensionato regista.
È lì che abbiamo
imparato a desiderarla prima ancora di vederla muoversi sullo schermo,
grazie all'accattivante quanto entusiasta capitolo che le dedicò negli
anni Cinquanta l'erotologo di origine greca, autore del primo - e mai
superato - trattato sull'amore nel cinema.
Di solito si dice
che sono i registi a fare le attrici e si cita il caso macroscopico di
Josef von Sternberg che creò Marlene e il suo mito. Possiamo in questo
caso rovesciare il rapporto e dire che è stata Louise Brooks a creare e a
far durare i suoi registi? Oggi Pabst viene ricordato soprattutto per Lulu.
Oggi si dice che il nostro Genina, nonstante i peccati che egli commise
sotto il fascismo, era in fondo un buon regista grazie soprattutto a quel Miss
Europa che egli girò a Parigi agli albori del sonoro, avvalendosi
dell'apporto prezioso di Louise Brooks.: questa attrice uscita - come
dicevamo - dalla comune fin dagli anni Trenta eppur rimasta viva, certo
sulle pagine dei giornali sino alla sua morte grazie anche alla splendida
autobiografia che ella diede alle stampe pochi anni fa.
Questa attrice che
non avrà alcun bisogno di una rinfrescata televisiva per restare nella
memoria di tutti. Basterà una delle tante fotografie. |