Louise, la 'prima' donna
E' morta Louise Brooks, la diva più enigmatica e "scandalosa" del cinema muto. Incarnò il mito femminile negli anni '20: fu una grande attrice o solo una creatura sconvolgente?
 
di Alberto Crespi, "L'Unità", 10 Agosto 1985)

La frangetta all'altezza delle sopracciglia, i lisci capelli neri che penetrano come una virgola nel bianco delle guance. Louise Brooks ha attraversato la storia del cinema come la più splendente meteora della settima arte. Pochissimi hanno visto i suoi film, nessuno può dire di sapere veramente tutto di lei. Louise Brooks è una fotografia (naturalmente in bianco e nero), un ricordo di cose non viste, una scarica elettrica nella memoria. Ora che è morta per una crisi cardiaca, nella sua casa di Rochester (stato di New York) il mistero non si dissipa. Anzi, Louise Brooks è stata - lo si può affermare senza tema di smentita - la più grande diva del cinema muto insieme a Greta Garbo. Ma, a differenza della Garbo, resta la diva più sconosciuta, più enigmatica, forse più scandalosa.

Come accade ai veri miti, Louise Brooks è addirittura difficile da situare nel tempo e nello spazio. I testi sacri la dicono nata nel 1900, ma nei suoi scritti autobiografici Lulu a Hollywood (pubblicati nell' 82) la data dichiarata è il 1906 (doveva dunque avere 79 anni). Era un'attrice americana (nata a Cherryvale, nei pressi di Wichita, Kansas) passata alla storia per un film tedesco, a differenze delle europee Garbo e Dietrich che furono consegnate alla leggenda da Hollywood.
         Della sua famiglia non si sa nulla. In una storica intervista a Photoplay del 1926 (a vent'anni!) raccontava: "Nella nostra famiglia ognuno doveva arrangiarsi da solo. Mio padre e mia madre si sono separati quando io ero ancora bambina. Non sanno niente del mio successo ... E comunque mio padre pensa che io sia qualcosa di terribile". Ma pù tardi, nelle già citate memorie, parla di loro come una coppia modello, il padre medico , la madre musicista e scrittrice che la spinse alla carriera di ballerina.
          I misteri, insomma, si accavallano. E forse vanno rispettati. La vita di Louise potrebbe diventare soggetto di uno splendido film, anche se davvero non si vede quale attrice di oggi potrebbe sfidare senza bruciarsi un simile mito.
         
In breve: a quindici anni era già una ballerina di fila che girava per gli Usa, a neanche venti aveva già lavorato nei George White Scandals, al Cafè de Paris di Londra, nelle celebri Ziegfeld Follies e aveva interpretato il suo primo film, The street of forgotten men, una produzione newyorkese della Paramount. L'anno dopo, in The American Venus, rubò clamorosamente la parte a coloro (Ford Sterling e Edna Mae Oliver) che avrebbero dovuto essere i protagonisti. Alla Paramount rimasero folgorati e le offrirono un contratto di cinque anni. E cominciarono i guai.

          
        
          Louise aveva il carattere più libero e impertinente che fosse mai approdato a Hollywood. Era un tipico "animale" newyorkese: a vent'anni era già la regina della New York notturna, in un'epoca (i "ruggenti" anni '20) in cui tra Harlem e Manhattan ci si divertiva sul serio. La sua libertà, i suoi sarcasmi fulminanti, il suo gusto per gli uomini "usa e getta" furono troppo persino per la Hollywood - Babilonia dell'epoca. E, soprattutto, Louise riusciva a comunicare questa libertà dallo schermo, in modo inequivocabile. Nessuno, a Hollywood, la capì meglio di Howard Hawks, che in Capitan Barbablù (1928) le fece interpretare un'artista da circo di cui si innamorano due uomini. Louise fu così la prima donna mascolina e devastatrice di Hawks, lontana progenitrice della Katharine Hepburn di
Susanna o, se ci passate il paradosso, del Cary Grant "travestito" di Ero uno sposo di guerra. Ma ancora più fulminea fu la sua apparizione in Beggars of life, dove recitava vestita da ragazzaccio dei bassifondi. Pochi anni dopo Marlene sarebbe comparsa vestita di frac e cilindro in Marocco ...  
 

"Voglio fare delle cose alla Gloria Swanson. La gente del cinema mi uccide. Non la sopporto." L'esuberanza sessuale dei suoi personaggi si accompagnava a uno spirito ribelle e incontrollabile. Se Clara Bow era "la ragazza dell'età del jazz", sfrenata, ma tutto sommato acqua e sapone, Louise Brooks ne incarnava il lato oscuro e felino, uscita da qualche capitolo (sicuramente espunto per "oscenità") di un romanzo di Fitzgerald. Quando il grande regista tedesco Georg Wilhelm Pabst la chiamò in Germania per una riduzione cinematografica della Lulu di Wedekind, a Louise non dovette parer vero. Era l'Europa che la chiamava, la Germania di Weimar, e i newyorkesi (anche se d'adozione) hanno sempre avuto il mito dell'Europa.
          Le storie "ufficiose" del cinema narrano che lo stile di Pabst, solitamente realista e compassato, divenne fiammeggiante in
Lulu (Die Büchse der Pandora, 1929) perché il regista, già rispettosamente sposato, si era follemente innamorato della sua attrice. Quel che è certo è che Louise Brooks in Lulu è una forza della natura, sicuramente l'interpretazione più sconvolgente e sensuale della storia del cinema. I vestiti trasparenti, la famosa frangetta, le pose ammiccanti hanno una forza che supera di anni luce il pericoloso rischio della volgarità.
         
Nella sua
Storia del cinema, l'italiano Pasinetti scrisse: " ... la Brooks aveva un atteggiamento fanciullesco, del tutto simile a quello delle ragazze dell'epoca, le cosiddette maschiette: era una garçonne: e perciò riusciva tanto più attraente e conturbante il rapporto tra la sua personalità fisica e il personaggio di Lulu, quintessenza femminile".
         
Louise, quindi, interpretava davvero un mito femminile che negli anni '20 aveva percorso la cultura, ma nello stesso tempo ne decretava la fine morendo sotto le pugnalate di Jack lo Squartatore. Il percorso della donna/terra/madre/prostituta era completo, e se in Pabst tale viaggio si svolgeva anche sotto il segno della sessuofobia, Louise Brooks (da vera co - autrice del film) riusciva a trasfigurarlo in tragedia.
Lulu è un esempio unico, nella storia del cinema, di film in cui la potenza espressiva dell'attrice travalica le intenzioni stesse del regista, diventando la materia prima del capolavoro.

Come quasi tutti i film di Louise Brooks, Lulu è visibile solo nelle cineteche, in copie mutilate e semidistrutte. Il mistero Brooks (forse anche il suo mito) nasce così, dall'impossibilità dei riscontri. Anche i successivi film girati in Europa, Das Tagebuch einer Verlorenen, ancora con Pabst e Miss Europa dell'italiano Augusto Genina, sono rarità da filologi. In seguito Louise Brooks sarebbe tornata a Hollywood per sputare veleno su Hollywood, ed esserne crudelmente ricambiata. Il tycoon Harry Cohn la relegò tra le ballerine di fila di Amanti di domani, dopo averle inutilmente chiesto di diventare la sua amante. Il suo ultimo film fu un Western, Cavalca e spara (1938), a fianco di un giovanotto di nome John Wayne che un anno dopo sarebbe diventato un divo in Ombre rosse: per Louise, invece, fu l'ultimo atto. Come attrice.
          La donna sopravvisse, libera e coriacea. Nel 1946 avreste potuto incontrarla nei grandi magazzini Saks sulla Quinta Strada di New York: vi lavorava come commessa. Scrisse e bruciò una rovente autobiografia, poi, nell'82, consegnò alle stampe le suddette memorie che sono tra i libri più pungenti, ironici e preziosi mai scritti su Hollywood.
          Mito di un solo film, Louise Brooks era già morta per il pubblico cinquant'anni fa, ma la sua immagine è nella galleria degli immortali. In Italia ha contribuito alla memoria anche un fumetto celeberrimo, Valentina, di Guido Crepax che è chiaramente modellata sulla sua figura.  Ma le avventure sado - maso di Valentina, in realtà, sono lontane mille miglia dalle scelte anche dolorose, ma sempre indipendenti, di cui Louise costellò la sua vita spericolata. Forse non era una grande attrice. Forse aveva ragione Lotte Eisner, che sempre le fu amica, nel chiedersi: "E' una grande artista o soltanto una creatura sconvolgente, la cui bellezza induce lo spettatore ad attribuirle un'interiorità alla quale ella è estranea?". Ma sicuramente fu la donna più vera e più forte che Hollywood tentò inutilmente di sfruttare.
          Per noi resta immortalata nella risposta all'intervistatrice di
Photoplay che scioccamente le sussurra : "Sii te stessa": "Allora non avrò niente da dire". Brava Louise. Basta la tua vita, che c'è da aggiungere?


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