Con Louise Brooks è scomparsa l'antidiva degli anni Venti

di Morando Morandini ("Il Giorno", 10 Agosto 1985)

 

Nel febbraio 1980 la rivista Life pubblicò un servizio fotografico con questo titolo: "Che cosa ne è stato di Mary Astor e delle altre star perdute?". Una delle altre otto era Louise Brooks. "Nei due decenni passati da quando Louise Brooks, una bellezza dimenticata degli anni '20 - si leggeva nel testo - fu riscoperta dai critici francesi, una mini industria è sorta in lode di questa straordinaria figura di culto".
          Si ha da dire che, una volta tanto, gli italiani - e non soltanto i critici - non sono andati a rimorchio dei francesi nel culto di Louise Brooks. Nel dare avant'ieri notizia della sua morte, molti commentatori hanno citato l'omaggio che Godard le rese con Anna Karina in Vivre sa vie (1962), ma l'anno prima il nostro Bolognini aveva modellato, su di lei, l'acconciatura (e qualcosa d'altro) e gli abiti di Claudia Cardinale protagonista di Senilità.
          Il culto di Louise Brooks (1906 - 1985) è internazionale, ma a Milano - grazie alla Cineteca Italiana che da quarant'anni possiede e proietta una copia di Die Büchse der Pandora (1928), per non dire di Das Tagebuch einer Verlorenen (1929) - ebbe uno dei suoi focolai: Lattuada, Risi, Comencini, ebbero la rivelazione di Louise Brooks - Lulu in anticipo sui francesi.

 

A Milano è nato e vive Guido Crepax, la cui creatura più famosa, Valentina, che vide la luce nel 1965 sul nr. 2 di Linus, è stata accostata a Louise Brooks. Pochi sanno, però, che la rassomiglianza fisica (soltanto fisica?) tra Valentina e Louise Brooks - coincidenza dei nomi: la moglie di Crepax si chiama Luisa - risale a una fotografia vista molti anni prima su Sipario. Soltanto più tardi, già da tempo incominciate le avventure di Valentina con la frangetta, Crepax riuscì a vedere in cineteca Lulu di Pabst e Prix de beauté di Genina.
          E' inutile fare lunghi discorsi: Louise Brooks è Lulu, e Wilhelm G. Pabst fu il suo pigmalione. La maggior parte dei 24 film che questa attrice americana interpretò tra il 1925 e il 1938 sono senza storia. Tolti i tre europei, si sarebbero salvati forse dall'oblio The canary murder case e Capitan Barbablù di Hawks, entrambi del 1928.
          Fu nel vedere il film di Hawks che il regista tedesco ebbe l'ispirazione di dare a Lulu - incarnazione dello spirito della terra, creatura di sensualità incendiaria che trascina alla rovina gli uomini che le si accostano - il volto e il corpo di Louise Brooks. La sua Lulu non è più quella di Wedekind. Pabst ne attenua la violenza espressionistica di protesta (l'amore come volontà di potenza, come lotta di sessi e, perché no?, delle classi) e ne fa la presenza radiosa e inquietante di una donna  che vive soltanto per l'amore, come una fiamma che illumina e brucia tutto quel che la circonda (i tabù sociali, le convenzioni mondane, la mediocrità, l'ipocrisia, la menzogna), una donna - bambina, di là dal bene e dal male, sorella ideale di Lou Andreas Salomè, aggressiva e trionfale, che non si vende né si prostituisce, ma si vuole libera di scegliere la vita, l'amore, anche la morte.
          Sbaglia chi ne fa un prototipo delle dark ladies del cinema nero americano negli anni '40 e '50: manca alla Lulu di Pabst la carica di feroce misoginia che sottende i film americani. Louise Brooks è un caso anomalo nella storia del divismo.
          Non a caso nel 1977 in Francia le hanno dedicato uno splendido libro illustrato che ha per sottotitolo Ritratto d'un antistar. In un'epoca in cui - da Pola Negri alla Garbo, alla Dietrich - Hollywood importava (saccheggiava) dall'Europa molte delle sue star e dei suoi registi, Brooks segue l'itinerario opposto.
          Sarebbe troppo lungo spiegare come e perché la sua folgorante esperienza europea non servì alla sua carriera a Hollywood. Diremo soltanto che era troppo intelligente, lucida, indipendente per giocare secondo le regole dello star - system della fabbrica californiana dei sogni. Inoltre i produttori non le perdonarono il suo atteggiamento poco cooperativo, la sua volontà di lotta per far rispettare i diritti sindacali e la dignità degli attori. Basta leggere i saggi sul cinema e sui divi che ha conosciuto, raccolti nel volume di Ubulibri Lulu a Hollywood per dare ragione a Lotte H. Eisner: "Questa donna indipendente è diventata, nella sua solitudine, un'autentica scrittrice".
          C'è la Brooks - Lulu del mito, della leggenda, ed è affascinante, degna di culto. Ma c'è stata la Brooks della realtà, una donna solitaria, fiera, acuta, che soltanto dopo essere uscita di scena riuscì a trovare "un po' di felicità". Ed è ammirevole.


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