Nel febbraio
1980 la rivista Life pubblicò un
servizio fotografico con questo titolo: "Che cosa ne è stato di
Mary Astor e delle altre star perdute?". Una delle altre otto era
Louise Brooks. "Nei due decenni passati da quando Louise Brooks,
una bellezza dimenticata degli anni '20 - si leggeva nel testo - fu
riscoperta dai critici francesi, una mini industria è sorta in lode di
questa straordinaria figura di culto".
Si ha da dire che,
una volta tanto, gli italiani - e non soltanto i critici - non sono andati
a rimorchio dei francesi nel culto di Louise Brooks. Nel dare avant'ieri
notizia della sua morte, molti commentatori hanno citato l'omaggio che
Godard le rese con Anna Karina in Vivre sa vie (1962), ma l'anno
prima il nostro Bolognini aveva modellato, su di lei, l'acconciatura (e
qualcosa d'altro) e gli abiti di Claudia Cardinale protagonista di Senilità.
Il culto di Louise
Brooks (1906 - 1985) è internazionale, ma a Milano - grazie alla Cineteca
Italiana che da quarant'anni possiede e proietta una copia di Die
Büchse der Pandora (1928), per non dire di Das
Tagebuch einer Verlorenen (1929) -
ebbe uno dei suoi focolai: Lattuada, Risi, Comencini, ebbero la
rivelazione di Louise Brooks - Lulu in anticipo sui francesi.
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A Milano è
nato e vive Guido Crepax, la cui creatura più
famosa, Valentina, che vide la luce nel 1965 sul nr. 2 di Linus, è
stata accostata a Louise Brooks. Pochi sanno, però, che la rassomiglianza
fisica (soltanto fisica?) tra Valentina e Louise Brooks - coincidenza dei
nomi: la moglie di Crepax si chiama Luisa - risale a una fotografia vista
molti anni prima su Sipario. Soltanto più
tardi, già da tempo incominciate le avventure di Valentina con la
frangetta, Crepax riuscì a vedere in cineteca Lulu
di Pabst e Prix de beauté di
Genina.
E' inutile fare
lunghi discorsi: Louise Brooks è Lulu,
e Wilhelm G. Pabst fu il suo pigmalione. La maggior parte dei 24 film che
questa attrice americana interpretò tra il 1925 e il 1938 sono senza
storia. Tolti i tre europei, si sarebbero salvati forse dall'oblio The
canary murder case e Capitan
Barbablù di Hawks, entrambi del 1928.
Fu nel vedere il
film di Hawks che il regista tedesco ebbe l'ispirazione di dare a Lulu -
incarnazione dello spirito della terra, creatura di sensualità
incendiaria che trascina alla rovina gli uomini che le si accostano - il
volto e il corpo di Louise Brooks. La sua Lulu non è più quella di
Wedekind. Pabst ne attenua la violenza espressionistica di protesta
(l'amore come volontà di potenza, come lotta di sessi e, perché no?,
delle classi) e ne fa la presenza radiosa e inquietante di una donna
che vive soltanto per l'amore, come una fiamma che illumina e brucia tutto
quel che la circonda (i tabù sociali, le convenzioni mondane, la
mediocrità, l'ipocrisia, la menzogna), una donna - bambina, di là dal
bene e dal male, sorella ideale di Lou Andreas Salomè, aggressiva e
trionfale, che non si vende né si prostituisce, ma si vuole libera di
scegliere la vita, l'amore, anche la morte.
Sbaglia chi ne fa
un prototipo delle dark ladies del cinema nero americano negli anni
'40 e '50: manca alla Lulu di Pabst
la carica di feroce misoginia che sottende i film americani. Louise Brooks
è un caso anomalo nella storia del divismo.
Non a caso nel 1977
in Francia le hanno dedicato uno splendido libro illustrato che ha per
sottotitolo Ritratto d'un antistar.
In un'epoca in cui - da Pola Negri alla Garbo, alla Dietrich - Hollywood
importava (saccheggiava) dall'Europa molte delle sue star e dei
suoi registi, Brooks segue l'itinerario opposto.
Sarebbe troppo
lungo spiegare come e perché la sua folgorante esperienza europea non
servì alla sua carriera a Hollywood. Diremo soltanto che era troppo
intelligente, lucida, indipendente per giocare secondo le regole dello star
- system della fabbrica californiana dei sogni. Inoltre i produttori
non le perdonarono il suo atteggiamento poco cooperativo, la sua volontà
di lotta per far rispettare i diritti sindacali e la dignità degli
attori. Basta leggere i saggi sul cinema e sui divi che ha conosciuto,
raccolti nel volume di Ubulibri Lulu a Hollywood
per dare ragione a Lotte H. Eisner: "Questa donna
indipendente è diventata, nella sua solitudine, un'autentica scrittrice".
C'è la Brooks -
Lulu del mito, della leggenda, ed è affascinante, degna di culto. Ma c'è
stata la Brooks della realtà, una donna solitaria, fiera, acuta, che
soltanto dopo essere uscita di scena riuscì a trovare "un po'
di felicità". Ed è ammirevole.
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