Morta Louise
Brooks, la fatale Lulu Pabst fece di lei un mito, il suo personaggio segnò il cinema degli Anni Venti di Stefano Reggiani ("La Stampa", 10 agosto 1985) |
Frangetta nera su occhi profondi che misuravano gli uomini da lontananze innocenti anche nell'abiezione; la donna ambigua eppure
sensualissima; la maschietta emancipata degli anni Venti che segnò un'epoca. Se la Garbo appartiene al divismo universale, che prende le distanze dai tempi, Louise Brooks rappresenta del divismo la cronaca più suggestiva, un fantasma che raccoglie le speranze, le ferite e le ingenuità degli Anni Venti.
Per forza la critica più recente, che ama i personaggi più dei divi, è tutta "brooksiana", perfino con punte di vagheggiamento e, nei cinefili un poco feticisti, di vero e proprio innamoramento retrospettivo. Il disegnatore
Crepax, dando alla sua eroina di fumetti adulti, Valentina, il viso, i capelli e gli occhi misteriosi di una rediviva Louise
Brooks, non ha fatto che interpretare i gusti di una famiglia intellettuale molto larga e ramificata.
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Ma Louise Brooks era anche una grande attrice? Difficile separarla dal personaggio, ha fatto così pochi film prima di cedere al silenzio di Hollywood. Ma certo fu grande con
Pabst. Quando venne in Europa per interpretare per Pabst l'eroina di
Wedekind, Lulu, portava con sè una fama ancora magra e tuttavia stuzzicante: una commedia con
Hawks,
Capitan Barbablù
e un giallo da Van Dine,
La canarina assassinata. Soprattutto portava uno stile sensuale e pungente che dipendeva naturalmente anche dall'acconciatura, dai vestiti. E il figurinista Banton è ricordato per certi pagliaccetti di piume che sembrano un anticipo frivolo di
Lulu.
Povera Lulu, così vitale e così sfortunata, nel dramma penserà lo Squartatore a saldarle il debito. Diceva Pabst alla
Brooks:"Tu finirai come Lulu. Nessuno ti squarterà naturalmente, ma ti faranno
fuori ignorandoti". Infatti dopo il suo ritorno in America, uscì dal matrimonio solo per un paio di parti, magari per raccontare sè stessa.
Del resto la funzione simbolica (ma si vorrebbe dire rappresentativa, descrittiva) di Louise Brooks era chiusa nel muto, nel cinema dove gli sguardi hanno un'importanza assoluta e i gesti una ricchezza che suggerisce al pubblico sempre nuove parole e complicità. Pabst fissò definitivamente il carattere di
Louise, ma senza avere la forza del mercato americano e comunque imponendo un modello scomodo a Hollywood. In
Diario di una donna perduta
fu un'altra peccatrice più forte del peccato, una che passava, come osservarono i critici soggiogati, "immacolata" attraverso le più turpi esperienze, capace di giudicare, di scrivere. Insomma, una donna indipendente poco riconducibile agli schemi, sempre a un passo pericoloso dalla rivendicazione diretta.
Povera Lulu, fortunata
Lulu. La troupe viaggiante dei frequentatori di festival ricorda d'aver ritrovato in qualche sacro luogo balneare un film francese quasi dimenticato di Genina, un
Miss
Europa del '30 in cui Louise Brooks era bellissima e perfetta come ragazza padrona della propria bellezza e degli usi relativi. Ma era lei? Aveva la rituale frangetta? La memoria s'annebbia perchè la Brooks da tempo prevarica sui puri ricordi da cineteca e di
festival e acquista piccole aggiunte, affettuosi ritocchi. Ci viene in mente che l'anno scorso il
festival di Locarno (perchè proprio a Locarno in pieno vigore di festival ci sorprendono la scomparsa e la celebrazione dell'attrice) allestì a Ascona una mostra di cinema reinventato dai fumetti e c'era una nuova incarnazione della
Brooks.
Dicevano i suoi ritrattisti: che donna eccezionale e che intelligenza ancora viva.
E' vero, le memorie della Brooks uscite in Italia l'anno scorso recano il segno di una sensibilità acuta e ironica, la donna con la frangetta aveva capito tutto fin dal principio, le sue occasioni, la sua funzione, la differenza tra l'attrice di Hollywood e quella nata con
Pabst. E adesso i brooksiani si sentono due volte orfani, di un mito gelosamente custodito e di una donna vera. |
Sopra, un'immagine tratta da
Lulu. E' la stessa immagine che si può ritrovare, assieme a quella di Lulu che seduce Schön nel camerino, in
Guida al film di Guido Aristarco. Nonostante certe preoccupazioni ideologiche, oggi
forse datate, è un libro da leggere assolutamente per chi ama il cinema non coloniale (= non hollywoodiano), con ottima postfazione. Tra l'altro il libro contempla un ridimensionamento
del genere western (come in Visione privata di Francesco
Savio, di sei anni precedente, con cui, a mio avviso, compone una
indispensabile guida critica) - ridimensionamente ormai davvero auspicabile (cfr. soprattutto l'analisi di
Ombre rosse), nonostante un invasivo partito dei "cappelloni",
che, tuttavia, dovranno rassegnarsi: sparita l'America sparirà anche lo
sfondo comune a queste epiche da quattro soldi. |