Mi parvero, in quel finire di luce, due figurine, due donne di
Campigli. Due cariatidi. Anche se non reggevano niente, o forse
sì, si sorreggevano l'una l'altra.
Che
fosse stata una giornata di sole si capiva dal riflesso che ancora
ne rimaneva su un'unica nuvoletta che faceva da cappello alle
colline. Ero arrivata lassù per sconfiggere l'afa. Mi
premiava una brezza leggera e una visibilità che non mi
sarei aspettata. Tutto scintillava perfetto; ogni cosa appariva
con il suo contorno esatto.
Erano
lì sedute immobili, una a fianco all'altra, strette strette,
in silenzio, quasi devoto, lo sguardo perso lontano, dritto davanti
a loro. Sedevano su una panchina fatta di ciottoli di fiume;
sagomata intorno ad un'aiuola lussureggiante di fiori. Stavano
impettite, irrigidite: forse per questo ho pensato alle cariatidi.
Una, la più giovane, aveva messo la borsa dietro la schiena
per rendere più comoda la seduta.
Lì
eravamo nel piazzale più famoso del mondo: da sinistra
a destra si vedevano, nel fascino del tramonto, campanili, cupole,
torri, loggiati, ponti
Forte Belvedere, Santo
Spirito, il Cestello, Palazzo Vecchio, Orsanmichele, Badia Fiorentina,
il Bargello. Ed ecco la "triade" indimenticabile del
Bel San Giovanni - Campanile di Giotto - Cupola del Brunelleschi;
e ancora la Biblioteca Nazionale, e quasi che ti par di toccarla,
Santa Croce. E poi palazzi, palazzi e il nastro dell'Arno con
i suoi, celeberrimi, ponti fino alla torre San Niccolò.
Sicuramente
si trattava di madre e figlia. Una somiglianza impressionante.
Le divideva una ventina d'anni: 60 la più giovane, quasi
80 l'altra. Mi inquietavano; come due persone ostili fra di loro,
ma costrette dalla vita a dividere spazi, tempi, perfino pensieri.
Il loro sguardo, ora, si era spostato; era stato attratto dall'andirivieni
di turisti che tutto ad un tratto stavano invadendo i tavolini
del bar fino allora deserti. Un allegro cicalare; una chiassosa
comitiva che prendendo posto continuavano a indicare giù
verso le meraviglie che andavano accendendosi di luci.
L'interessarsi dell'arrivo aveva reso le due donne meno rigide,
più umane e mi decisi a sedermici accanto. Anche perché
era il miglior posto di osservazione verso lo splendido panorama.
Istintivamente
si ritirarono per farmi posto, stringendosi ancora di più.
Poi, quando il buio aveva già invaso tutto, iniziò
fra di loro una quieta, confidenziale, pacificante conversazione.
Frasi appena accennate con voce bassa e lenta, come fra coloro
usi a spendere poche parole perché ci si capisce al volo,
per una lunga frequentazione, ma soprattutto, per un'intesa perfetta
che è stata amorevolmente coltivata.
Mi si ribaltò dentro l'impressione che ne avevo avuta
e mi abbandonai a quell'aurea di pace che mi veniva da queste
sconosciute. Cercavo nella mia memoria una nuova immagine per
sostituirla a quella delle cariatidi. Mi vennero in mente i discorsi
abbozzati, talvolta senza senso, cantilenanti, sussurrati, che
le madri tengono ai figli, per introdurli dolcemente nel mondo,
mentre li allattano
qui era la figlia che con tenera voce
pareva spalancare alla madre le novità di un mondo in
corsa frenetica.
Ma lei riportava sempre lo sguardo sulle "cose antiche"
e sospirando le batteva leggera la mano sulla coscia. |