Al di là del muro si stendevano chilometri
di campi. Pura campagna. Rovente e piena del suono delle cicale,
d'estate; brumosa, quando l'autunno volgeva al termine e lasciava
il passo all'inverno che la rendeva silente e dura.
In primavera notavi il risveglio; il tenero verde e qualche vago
fiore qua e là, la rendevano più morbida.
Ma in complesso ti faceva venire in mente Il Deserto Dei Tartari.
Come diceva Cosimo con aria di sufficienza.
Eppure è là che colloco
i miei anni migliori, quando mi raggiungevano i miei cugini più
piccoli. I cittadini. Al di là del muro ero il padrone
assoluto; la mia conoscenza smisurata. Potevo guidarli, di zolla
in zolla, fino alle "cascate", pescare con la forchetta
un'anguilla, accendere un fuoco, costruire un riparo, cogliere
frutti dagli alberi più alti, rotolarmi per il pendio
senza graffiarmi, scovare nidi di uccelli e di serpi, riconoscere
il verso degli animali... guardare il cielo e chiamare le stelle
per nome.
Eppure Cosimo, appena sei mesi meno di me, mi pareva un gigante.
Irraggiungibile.
Dormiva in camera con me. Bianco come il latte, un accenno di
barba talmente nera che pareva una macchia. Si muoveva come se
non si muovesse: cosciente del suo corpo, delle sue emozioni,
di quanti lo contornavano.
Stravaccati in due vecchie poltrone, chissà come arrivate
fin qui, lo ascoltavo per ore "raccontarmi" le sue
tante letture. Diceva lui. Mondi lontani, civiltà scomparse,
religioni misteriose, uomini dalle mille risorse e dalla vita
vissuta pericolosamente sempre vincenti; nere foreste, deserti
di fuoco, praterie sconfinate abitate da animali e piante a me
sconosciuti.
Ero certo che si inventasse tutto per far colpo su di me.
Eppure non lo mollavo e quando se ne era andato insieme a Lilli
e Pietro e a Moreno, provavo a disegnare le sue narrazioni fiume.
Al
di qua del muro c'era una grande villa; villa di campagna ben
squadrata, razionale. Comoda. Stanze ampie, ariose: cucina, salotti
giù camere su.
Di fianco, staccate, costruzioni per gli attrezzi, per gli animali,
per mangimi, per fare il pane, lavare e stendere.
Non un guizzo, un tocco estroso, originale; o forse si, uno strambo
loggiato appoggiato al pozzo e il vecchio lavatoio riempito di
rossi gerani.
Eppure Cosimo parlava di questa costruzione e degli annessi,
come diceva la nonna, con un'enfasi che chi lo ascoltava a volte,
poteva pensare si abitasse in una fortezza, o forse in un castello,
una Villa Medicea; ovviamente, questi racconti li faceva agli
amici di città.
Al di là del muro, c'era anche Marinella.
Cosimo ed io ci sfidammo a singolar tenzone -come diceva lui-
per conquistarla.
E questo ci divise.
Al di qua del muro, Cosimo vincitore la portò ad abitare.
Fu allora che feci le valigie ed andai ad abitare in città.
Una carriera strepitosa e fulminante, come diceva la mamma. Eppure
il cuore, con le sue strane ragioni, mi rimase impigliato nel
deserto dei tartari.
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