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Tempi lontani, noi abitavamo a Chieti in contrada Madonna della Vittoria

   


Le nebbie d'autunno aprivano la strada alle prime burrasche dei venti gelidi che urlavano, specie di notte, contro le vecchie finestre e scendevano giù per il camino. Nei letti ci si raggomitolava come il gatto che andava a dormire sul focolare avvicinandosi molto alla cenere ancora un po' calda. Si andava a dormire dopo che la campana aveva dato i rintocchi detti "dell'Ave Maria". Poco prima di andare a letto si metteva quella poca brace rimasta dal focolare in una padella che poi si infilava nello scaldaletto di rame dentro un arnese di legno ormai scomparso, a riscaldare le lenzuola, come il "filarino", oggi cercato dagli antiquari. Molti avevano il materasso gonfio di foglie di pannocchie: quando si voltava fianco ci si svegliava per il rumore, quasi un supplizio. Pochi avevano materassi di lana, la maggior parte, di crine. E l'inverno portava sogni di neve, di ghiaccioli, di trappole per passerotti, di scambi di palle di neve, perfino di granite con qualche sciroppo fatto dalle mamme o dalle nonne. Era una festa, una sarabanda di cose nuove, il freddo non sembrava mordere mani, piedi, volti. Svegliarsi al mattino con la neve che copriva i tetti, la strada, gli alberi, dava un senso di gioia, quasi scoprirsi in un mondo nuovo, diverso dai tanti altri giorni dell'anno. Ci si dava la voce, che restava attutita, quasi soffocata da un cielo di piombo e dal soffice manto immacolato. Gli uomini aprivano sentieri che portavano alla strada principale, al pollaio, al "fondaco" ove si custodivano carriola, attrezzi vari, la botticella del vino e un po' di legna. Il sobborgo assumeva l'identico aspetto del presepio, che ogni anno si preparava nella parrocchia per il Santo Natale; oggi, diremmo paesaggio abruzzese per lo meno, ma a quella età si pensava che d'inverno tutto il mondo fosse così. Beata ignoranza, o, se volete ingenuità di allora! E la neve, immancabile, poca o molta, voleva dire appunto Santo Natale e Befana (più che Epifania): giorni di festa, di vacanza da scuola, più che di doni o regali, quasi inesistenti. In quegli anni l'Italia era da poco uscita dalla Grande Guerra (mancava praticamente tutto); le donne italiane avevano donato il rame e perfino, con tanto dispiacere nel cuore, la fede d'oro alla patria. Scomparvero così bellissime "batterie" di tegami che qualche benestante famiglia teneva in lucida custodia. Il Santo Natale voleva dire Messa di mezzanotte, nell'aria polare l'unica musica era quella delle pastorali cantate in chiesa dal coro di noi giovani dell'Azione Cattolica accompagnate dalla musica dell'organo suonata da un autodidatta. Il suono delle campane penetrava nel cuore di una notte piena di mistero; brillavano all'intorno occhi non presi dal sonno, e l'andare e tornare dalla chiesa creava un sussurro nelle tenebre e cadenza di passi felpati sulla coltre di neve. Qua e là un vociare più alto, un pianto di un bimbo, l'abbaiare di un cane. Poi ogni voce si spegneva in un deserto di silenzio. Giorno di Natale: la prima messa, quella delle mamme, delle nonne che, tornate a casa, mettevano in subbuglio ogni casa: sveglia ai figlioli, il bagno nella tinozza, grande odore di borotalco. E poi aprivano la vetrina della credenza e tiravano fuori: uova, farina ed altro che finivano sul tavolo e mani sapienti sapevano dare forma, colore, e sapore ai ravioli. Gli uomini, le giovani, i bimbi affollavano la seconda messa, quella solenne delle ore 11. Anche allora la moda, se pur modesta, faceva parlare di sé. Qualche signora o signorina. qualche uomo, per lo più i benestanti del sobborgo, sfoggiavano un abbigliamento preso dall'ultima moda di città: scarpe di vernice, cappello o bombetta, catena d'oro per l'orologio sul panciotto: questo per gli uomini. Le signore o signorine, si distinguevano per lo più per vaporosi cappelli, per un birichino ricciolo in fronte, per abiti che allora facevano voltare gli uomini, e che oggi, con l'imperversare continuo, libero del casual, farebbero soltanto ridere. Erano i tempi, era il mondo di allora, mondo di sobborgo, vicino alla città, senza o quasi radio, giornali e tanto meno mezzi che portassero ventate di novità. Arrivava finalmente il giorno della Befana! Ansiosa attesa la notte della vigilia. Era quello il momento della venuta, o meglio della discesa dal nero camino di una vecchia, sempre immaginata, da nessuno mai vista, in piena notte, mentre tutti dormivano, a portare regali ai bimbi buoni, a riempire la calza che la mamma attaccava ad un chiodo sotto il camino. Carbone e cenere, poche castagne secche per i bimbi non buoni, un po' somarelli, caramelle, mandorlato, mandarini ed una bambola di pezza per i bimbi buoni e bravi. Ma la bravura o meno c'entrava fino ad un certo punto; erano i soldi che spesso mancavano, ed anche i bimbi più buoni e bravi avevano purtroppo una befana magra magra. Ansie, attese, sogni degli anni più belli, quando le ristrettezze economiche ci facevano desiderare, sognare piccole, grandi cose, e si era ugualmente contenti del poco perché si capiva - a parte la befana - qual'era la situazione familiare. Un confronto con oggi? Lasciamo perdere