Anno II (2001)-Vol. 2-Pag. 2

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Dr. C. Urso
IN QUESTA PAGINA:

DIAGNOSI ANALITICA E CLASSI ISTOLOGICHE DEI NEVI MELANOCITICI

ECHI DALL'ITALIA: LA REFERTAZIONE DELLE LESIONI MELANOCITICHE (corsivo) A. Grifone


DIAGNOSI ANALITICA E CLASSI ISTOLOGICHE DEI NEVI MELANOCITICI

La diagnosi istologica dei nevi melanocitici è un problema quotidiano. In questo campo il punto essenziale è certamente la differenziazione tra nevo e melanoma, si avverte però anche il problema del cosiddetto nevo displastico. Avviene spesso, infatti, che di fronte a lesioni neviche con certe caratteristiche istologiche talora definite “disordinate” o “atipiche”, ci si chieda se porre la diagnosi di nevo displastico e attribuire così automaticamente al paziente un aumentato rischio di melanoma. A questa domanda chi non intende aderire acriticamente a posizioni precostituite ha difficoltà a dare una risposta, perché i riferimenti della letteratura su questo problema sono conflittuali e confusi. Alcuni autori infatti sostengono l’uso della categoria diagnostica di nevo displastico (Elder e seguaci), altri preferiscono non usarla per la sua scarsa riproducibilità [Hastrup], mentre altri ancora negano l’esistenza stessa del nevo displastico come lesione connessa realmente ad un aumentato rischio di melanoma [Ackerman e seguaci]. Inoltre poiché queste posizioni spesso non sono esenti da un certo grado di arbitrarietà, alcuni sono spinti a un ulteriore arbitrio, applicando l’etichetta diagnostica di nevo displastico non già alle lesioni che in base alle loro caratteristiche istologiche la potrebbero meritare, ma, come categoria diagnostica di comodo, a nevi di difficile interpretazione. Il risultato è che quando in un referto istologico si legge questa diagnosi non si sa mai esattamente che cosa il patologo abbia voluto veramente indicare, tanto che molti dermatologi oggi non ne tengono conto nella gestione clinica dei pazienti. Per portare un minimo di chiarezza su questo tema, si deve partire da alcuni fatti oggettivi. Il primo fatto è che non c’è accordo tra gli autori sui criteri diagnostici istologici, sulla esistenza e sul significato del nevo displastico; il secondo è che il nevo displastico non appare una reale entità anatomoclinica, perché non c’è corrispondenza costante tra clinica e istologia; il terzo fatto è che il nevo displastico non è una entità istologica perché il suo confine col nevo comune appare mal definito; il quarto è che gli studi speciali in questi 20 anni hanno dimostrato che alcuni nevi mostrano caratteristiche intermedie tra altri nevi e il melanoma. Se si considerano i primi 3 punti appare evidente la necessità di abbandonare la categoria diagnostica di nevo displastico. Il quarto punto tuttavia suggerisce però che se si abbandona anche lo studio istologico sui nevi si vanifica quanto di nuovo è stato acquisito, pur tra mille difficoltà, su questo tema. Tra usare dunque una categoria diagnostica mal definita e controversa, da un lato, e abbandonare ogni attenzione istologica ai nevi, dall’altro, pare preferibile una terza via: la diagnosi analitica dei nevi. Questa consiste in un approccio semidescrittivo alla diagnosi, in cui si identifica il tipo di nevo (giunzionale, composto, dermico) e si riportano poi le caratteristiche istologiche che rendono quella lesione diversa dalle altre. I caratteri da segnalare sono quelli che sono stati indicati come facenti parte del quadro istologico del cosiddetto nevo displastico e che in qualche modo sono apparsi poter essere in relazione con certe caratteristiche immunoistochimiche, citofluorimetriche, proliferative, ultrastrutturali, etc. delle lesioni: proliferazione lentigginosa (presenza di melanociti disposti in singole unità lungo la giunzione dermoepidermica); proliferazione a nidi disordinati (aumento numerico di melanociti giunzionali in nidi irregolari, pleomorfi e confluenti, talora con fenomeni di bridging tra creste epidermiche adiacenti); atipia melanocitica o discariosi (ipercromatismo, pleomorfismo e ingrandimento nucleare); fibrosi dermica; flogosi linfocitaria dermica. Questo tipo di approccio evita categorie diagnostiche controverse, elimina l’arbitrarietà della valutazione delle lesioni, evita di attribuire ai pazienti un rischio non dimostrato e, nello stesso tempo, rileva le caratteristiche dei nevi, in attesa che futuri studi ne possano chiarire il significato biologico. Inoltre quando studiati analiticamente i nevi sembrano formare uno spettro, cioè un continuum di lesioni con una crescente incidenza di caratteri "atipici". Se si considerano 6 caratteri (dimensioni superiori a 5 mm, proliferazione lentigginosa, proliferazione a nidi disordinati, discariosi, melanociti soprabasali, flogosi linfocitaria dermica), troviamo quindi ad un estremo nevi senza caratteri atipici, all'altro estremo dello spettro nevi con molti caratteri atipici e in mezzo nevi con un numero variabile di essi. Attribuendo alla presenza di ciascun carattere un punto, si vengono a formare 7 classi di lesioni, da 0 a 6. Il calcolo del punteggio e la relativa classe danno un'idea della posizione che il nevo occupa nello spettro (28.12.2000).


corsivo
ECHI DALL'ITALIA:
LA REFERTAZIONE DELLE LESIONI MELANOCITICHE

di A. Grifone

Pare che la nota sulla refertazione delle lesioni melanocitiche cutanee, pubblicata alla pagina 2 di Dermatopatologia Forum, e apparsa sulle riviste Giornale Italiano di Dermatologia e Venereologia, Pathologica e Dermatologia Ambulatoriale, abbia movimentato la sonnolenta scena della patologia italiana. Al sito della Società Italiana di Anatomia Patologica (SIAPEC), dopo la pubblicazione, infatti, sono pervenuti via e-mail diversi interventi critici rispetto al testo pubblicato. Ma cosa contenevano questi commenti? Uno si chiedeva se erano tutti d'accordo col contenuto della nota (facendo capire sornionamente che lui non lo era, facendo credere che la sapeva lunga, ma lasciando tutti all'oscuro sui motivi del dissenso), un altro rilevava che il gruppo di studio non era stato incaricato dalla SIAPEC (che ci azzecca, avrebbe commentato un noto personaggio), ancora, che il gruppo non riassumeva in sé tutte le competenze dermatopatologiche nazionali (quale sotterraneo impulso può aver generato un simile commento?), e infine, che il testo non diceva nulla di nuovo (senza riflettere che si trattava di linee guida e non di articolo di ricerca). Gli stessi ed altri commentatori si sono chiesti colla diligenza del buon burocrate se il testo avesse ricevuto o no l'imprimatur da parte della SIAPEC. A questo fatidico quesito alcuni rispondevano di sì e alcuni di no, dimostrando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la variabilità delle opinioni umane. Qualcuno, per non dispiacere a nessuno, diceva che avevano ragione tutti, purché poi si lasciasse ciascuno libero di scrivere o non scrivere nel referto quello che voleva. Uno solo (le aquile volano da sole) ha sollevato qualche questione di merito, dando un po' di dignità alla discussione, che a quel punto ne aveva veramente bisogno. Le questioni sollevate erano così imponenti che hanno certamente fatto impensierire più d'uno: non si era fatta menzione della fasi di crescita del melanoma, non si era menzionato l'infiltrato infiammatorio intratumorale e, perbacco, mancava la bibliografia. E fino a qui va bene, ma ad un certo punto, lo stesso collega faceva sbellicare tutti quelli che hanno letto un solo articolo sull'argomento, sostenendo che nella sostanza il concetto di nevo displastico era ormai accettato da tutti (sic!), che bisognava aver pazienza e aspettare che ne fosse accettato (da parte dei più ritardati) anche il nome (!). A questo punto il primo collega che aveva aperto la discussione, compiaciuto di se stesso (Dio solo sa perché), sentiva il bisogno di reintervenire, facendosi stavolta aiutare da una più giovane assistente (ad una certa età certe fatiche sono gravose), con una rutilante lettera a Pathologica, che è un capolavoro di logica e coerenza. Nel pregevole elzeviro, gli autori, oltre ad invocare S. Michele Arcangelo che con la sua spada fiammeggiante di sapienza potesse annientare chi aveva osato addentrarsi nel sacro suolo, dichiaravano, facendosi forza reciprocamente, che essi intendevano seguire altre linee guida (il colpo è forte, ma pazienza!), senonché, poi, come se nulla fosse, poche righe dopo, citavano altre linee guida (del CNR), dimenticavano il loro proposito coraggioso e si chiedevano candidamente perché non seguire questo altro schema (dal che emerge chiaramente quanto convinta fosse in realtà la loro precedente affermazione). Per fare chiarezza sulla faccenda il coordinatore del gruppo di studio AIDEPAT in una lettera ha fatto il punto della situazione, ha spiegato cosa è l'AIDEPAT, da cosa era nata l'iniziativa e quale era il fine della proposta. Ha dimostrato l'infondatezza delle critiche di merito, ricordando e documentando con decine di referenze bibliografiche che le fasi di crescita nel melanoma non hanno sicuro significato prognostico, così non lo ha l'infiltrato linfocitico. Ha spiegato che il nevo displastico non è affatto un tema pacificamente accettato, come se ne discuta da 23 anni! e perché era necessario un approccio nuovo all'argomento. Ma la cosa più curiosa è che andando a vedere le linee guida del CNR, additate da alcuni come il modello da seguire, ci si viene a trovare di fronte ad un testo che, oltre ad un grande numero di errori, contiene una quantità di scelte a dir poco discutibili, in alcuni casi ostative anche rispetto alla applicazione dei correnti e adottandi schemi di staging internazionali (alla faccia del modello!). Ci chiediamo a questo punto, i colleghi che hanno criticato le linee guida AIDEPAT, hanno veramente letto il testo da loro proposto come modello o hanno solo guardato il colore della copertina? E poi, a questi colleghi interessano veramente i problemi della refertazione del melanoma oppure interessa loro solo disconoscere un lavoro fatto da un certo gruppo che, diciamo così, non gli stava simpatico? Certamente si hanno tante cose da fare e si è spesso troppo occupati. Ma, ci chiediamo, se non c'è tempo per leggere, non sarebbe più saggio non scrivere (13/09/2001).