Anno IV (2003)-Vol. 4-Pag. 1

archivio

Dermatopatologia Forum
Copertina -indici
Dermatopatologia Forum
Vol. 1, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 1, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol 1 pag. 3
Dermatopatologia Forum
Vol. 2, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 2, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 3, pagina 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 3 pagina 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 3, pag. 3
Dermatopatologia Forum
Vol. 4, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 4, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 5, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 5, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 6, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 6, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 7, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 8, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 8, pag. 2
Dermatopatologia Forum
Vol. 9, pag. 1
Dermatopatologia Forum
Vol. 9, pag. 2

Home Page
Dermatopatologia -
Dr. C. Urso

IN QUESTA PAGINA:

OMAGGIO AL PROF. A. COSTA NEL XX ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE

RICORDO DEL PROF. ANTONIO COSTA S. Gabbrielli

RICORDO DI ANTONIO COSTA U. M. Reali

RICORDO DEL PROFESSOR COSTA G. P. Mincione

UN RICORDO IMPOSSIBILE C. Urso



ANTONIO COSTA (1902-1983)

RICORDO DEL PROF. ANTONIO COSTA
S. Gabbrielli

Il prof. Antonio Costa nacque nella sua amata Firenze il 13 giugno 1902 per S. Antonio ed era figlio di un noto otorinolaringoiatra. Si laureò in Medicina e Chirurgia nel luglio 1925 e ottenne la libera docenza in Anatomia e Istologia patologia nel 1930. Allora si recò a Berlino per perfezionare la sua conoscenza della Scuola tedesca. Fu docente prima a Sassari nel 1933, poi a Perugia, dal 1934 al 1936, poi a Pisa, da Antonio Cesaris Demel, nell'anno accademico 1936-37. Fu Direttore della Cattedra di Anatomia e Istologia Patologica dell'Università di Firenze dal 1937 al 1972. Nel 1978 fu nominato Professore emerito. Fu devoto per tutta la vita ai suoi due grandi Maestri: Guido Banti e Bindo de Vecchi. Pubblicò numerosi e importanti lavori di ricerca scientifica sulla prestigiosa rivista "Archivio de Vecchi", nata con lui e morta con lui. I temi principali da lui affrontati sono stati la cirrosi epatica, le nefropatie bilaterali ematogene, la biligenesi e le mesenchimocitopatie sistematiche. Ogni sua lezione durava almeno due ore, ma non c'era stanchezza in chi lo ascoltava. Aveva un'oratoria rara con una ricchezza di linguaggio che faceva delle sue lezioni delle opere d'arte. Dava molto e pretendeva molto: agli esami infatti era assai severo. E' stato il Maestro di 39 generazioni di medici. Tutti i suoi allievi gli sono debitori di una particolare conoscenza dell'Arte medica, una conoscanza vasta, fatta di sentimenti umanistici eppure razionale, tassonomica ed empirica. Sapeva comunicare il proprio amore per Firenze, per la sua arte e nel contempo per la ricerca scientifica. Suonava perfettamente il pianoforte di casa e l'organo della chiesa di Capodimondo. Scriveva versi, pensieri poetici e apriva cadaveri con perizia e con una sapienza superiore alle alterazioni degli organi. Con grande facilità faceva le diagnosi istologiche, usando ancora un microscopio ottico che rifletteva la luce solare. Amava circondarsi di cose belle, di quadri dell'Ottocento toscano, di libri di valore. Viveva in modo ottocentesco: "il bel tempo andato" continuava a vivere in lui e attorno a lui, come un signore d'altri tempi. Colpito nel 1978 da rammollimento cerebrale di quasi tutto l'emisfero destro, restò immobilizzato in un letto per emiplegia sinistra. Andavo a trovarlo nella sua camera e mi diceva: "Sergino, quant'è triste guardare la luce del sole che cala su quel muro di fronte!" Poche ore prima di morire fece chiamare al suo capezzale uno dei suoi più famosi allievi, il chirurgo Luigi Tonelli. Gli disse: Caro Gigi, è una trombosi dell'iliaca comune, ed è la mia ultima diagnosi". Morì il 16 luglio 1983.

(da S. Gabbrielli, La tubercolosi polmonare dalle lezioni del prof. Antonio Costa, Pagnini & Martinelli editori, Firenze, 2002, pagg. 7-9)


RICORDO DI ANTONIO COSTA
U. M. Reali

Il prof. Costa era lo spauracchio di noi studenti di Medicina. Su di lui si raccontavano molti aneddoti che ne mettevano in luce la severità che, in effetti, dimostrava alle lezioni e, soprattutto, agli esami. Trasferito l'Istituto di Anatomia Patologica dal vecchio edificio di Via Alfani al Policlinico di Careggi, il Professore faceva le sue lezioni nell'aula intitolata a Benivieni. Chi fosse costui non me lo domandai, mi bastava sapere che le pur ampie dimensioni non erano sufficienti a contenere gli studenti del IV e del V anno, e "quelli del VI, del VII, dell'VIII... eccetera", come diceva con un certo orgoglio il prof. Costa, che si riteneva una diga salvifica che impediva la laurea di studenti non troppo studiosi. Anzi l'unica diga! Si raccontava che una volta, convinto dagli argomenti quasi supplichevoli del suo Aiuto, indisse una sessione d'esami dedicata ai numerosi "fuori-corso", prodotti in quantità dal suo vezzo di considerare voto minimo concedibile il 28/30, e ne liberò alla corsa verso la laurea qualche decina gratificandoli di un aborrito 18. Ma dopo qualche notte insonne al pensiero di tale sua debolezza, si recò in segreteria per cercare di annullare la sessione, ma ovviamente si arrese di fronte al rifiuto della Segretaria di Facoltà di acconsentire a una simile irregolarità. Nell'aula Benivieni, all'ingresso del Professore, non risultava libero nemmeno un centimetro quadro degli scalini e del modesto spazio tra l'ultima fila di scranni e la parete di fondo. La folla di studenti restava, tuttavia, pressata nell'aula Benivieni, per un lasso di tempo variabile, ma sempre largamente superiore ai classici 45 minuti delle lezioni accademiche. Il Professore non avvertiva i sintomi dell'ipoglicemia digiunale e, così prolungava la lezione per 2 e più ore e anche noi restavamo in ascolto senza sentire troppo i morsi della fame, per l'indubbio interesse delle sue "magistrali" argomentazioni, ma anche per l'assoluta necessità di prendere accurati appunti in vista dell'esame, per il quale nessun testo soddisfaceva le rigide richieste del Professore. Già, l'esame! Superare l'esame di Anatomia patologica era passaporto sicuro per la tesi di laurea, giacché gli altri esami, al paragone, erano quasi un'accademica passeggiata. Le domande vertevano su tutto: patogenesi, clinica e, naturalmente, aspetti anatomo-patologici di tutte le malattie conosciute. L'impresa veniva affrontata in una stanzetta, posta ai limiti estremi dell'Istituto, che si apriva sul ballatoio al piano rialzato di un ampio cortile posto a divisorio con l'Istituto di Medicina Legale. La prova pratica, assegnata all'Aiuto, era relativamente semplice. I guai venivano, soprattutto, dalla prova teorica che il Professore riservava gelosamente alla sua severità. Alla richiesta di esporre una delle tante classificazioni che costituivano il nostro incubo, era abbastanza frequente che venisse dimenticata una tra le decine di "forme" che le costituivano. Immancabilmente, dunque, un perentorio "ne manca una!" imponeva che si ricominciasse da capo; le cose, però, si complicavano maledettamente al secondo tentativo, perché per l'emozione il più delle volte le dimenticanze si allargavano e al conseguente "ora ne mancano due!" si associava l'invito, o meglio l'ordine, a rifletterci sopra: "Vada alla finestra!" E, dopo che un altro studente nel frattempo si era avvicendato all'interrogazione, tornato al tavolo del supplizio, il malcapitato, ancor più frastornato di prima, all'inevitabile, ulteriore incertezza si sentiva invitato a ripetere l'esame. In pratica a tornare a prepararlo per almeno altri sei mesi!
Se da studente avevo sperimentato il rigore e la severità, nonché la notevole cultura, del prof. Costa, una volta laureato potei constatare l'amore da lui portato all'insegnamento. Accadde che, avendo preso consuetudine con la terapia chirurgica dei tumori cutanei, fui preso dal legittimo desiderio di approfondire le conoscenze istopatologiche di questo particolare settore. Non mi restava che chiedere al Professore, ormai in pensione, la cortesia di illuminarmi; lo feci con discreta titubanza, ancora timoroso di affrontare la sua severità un tempo sperimentata. Fui subito invece sorpreso della sua cortesia, anzi della felicità con la quale mi rispose e, soprattutto, della semplicità con la quale mi accolse a casa sua in varie occasioni, dopo cena, una volta terminata la sua giornata di lavoro, dedicata sia alla lettura dei preparati istologici che tuttora gli venivano sottoposti in gran numero sia al completamento di un testo di storia della medicina. Oltre alla sua disponibilità nei miei confronti, mi colpì l'amore con il quale osservava i preparati istologici. Prima li guardava ad occhio nudo contro la luce di una lampada, poi, inseriti nel "tavolino" di un modestissimo microscopio, li osservava con cura a piccolo ingrandimento per poi passare ad ingrandimenti maggiori. Li faceva girare sul tavolino del microscopio con cura come se volesse osservare un amico da tutte le parti; li descriveva con l'amore di un padre che osserva i suoi figli. In una parola prima ancora di insegnare un argomento tecnico, insegnava l'amore allo studio. E con questo insegnava anche la compartecipazione delle nozioni scientifiche con un collega, quale ormai mi considerava. Queste lezioni, immancabilmente venivano a terminare di fronte ad una tazzina di caffè, richiesta alla Signora, che pazientemente attendeva il termine di questa cerimonia, con l'amore e l'ammirazione verso il suo Professore, e la squisita cortesia verso il maturo allievo.


RICORDO DEL PROFESSOR COSTA
G. P. Mincione

Nel Professor Costa ricordo un apparente contrasto fra un personaggio di altri tempi, per educazione e stile di vita, e un giovanile entusiasmo. La sua giovinezza di spirito mi colpì quando lo vidi per la prima volta a lezione nel novembre del 1957: parlò di una vocazione sempre rinnovata e di un'estate che non voleva morire. Mi affascinarono la concretezza e la chiarezza dell'esposizione, il fraseggio elegante e incisivo, la logica del ragionamento e la correlazione anatomo-clinica, unite a una vasta cultura umanistica. Per questo l'ho seguito, sentendo in lui un maestro sempre stimolante, capace di indicare convincenti interpretazioni dei fatti patologici e di uscire dalle vie già battute per arrivare talvolta all'originalità. Sosteneva con energia che nell'attività diagnostica il patologo deve prendere posizione, evitando di trasmettere dubbi o incertezze e tendo sempre presente il preminente interesse del paziente. Parlava di musica (suonava bene l'organo) con un amore quasi sensuale e anche questa sua passione mi avvicinava a lui.


UN RICORDO IMPOSSIBILE
C. Urso

Non ho avuto la possibilità di conoscere il Prof. Costa, perché si era già ritirato, quando nel 1982 cominciai a frequentare l'Istituto fiorentino di Anatomia Patologica. Avendo vissuto però dopo, per molti anni, nell'ambiente in cui egli era vissuto, qualche suggestione della sua personalità è giunta fino a me. Il prof. Costa aveva dominato per decenni la scena dell'Anatomia Patologica italiana ed era riferimento per generazioni di medici a Firenze e in tutta Italia. Ancora oggi, quando incontro un collega più anziano in Ospedale, accade spesso che, riferendosi al lavoro che svolgo, spontaneamente mi parli del prof. Costa, ricordi le sue lezioni e si soffermi a raccontare qualche piccolo episodio. Alimentata da questi e altri racconti, nel tempo, si è formata di lui nella mia mente, un'immagine ricca di fascino. Un insegnante appassionato e severo, scienziato di successo, costante stimolo a studi e ricerche, con un linguaggio aulico e ricercato, oggi forse un po' fuori moda e pure, ancora, sull'onda della suggestione, imitato da alcuni. Ricordo ancora la lunga lista, interminabile, di necrologi apparsi sulla Nazione di Firenze dopo la sua morte. Negli anni successivi, durante le ore in cui l'Istituto si spopolava per il pranzo, giovane specializzando/frequentatore volontario, consumato un panino, mi aggiravo per i silenziosi corridoi lucidi, tra le grandi finestre e la fila di piante interrotte dalle porte verdi. A volte, spinto dalla curiosità, entravo in biblioteca dove negli alti scaffali era l'imponente massa dei volumi dell'Archivio De Vecchi, la rivista di Anatomia Patologica, fondata dal prof. Costa. I volumi erano polverosi, e mi sembrava guardati ormai con un po' di sufficienza. Se ne aprivo qualcuno e scorrevo rapidamente l'indice dei volumi ingialliti in cerca dei lavori del professore, restavo sorpreso e ammirato per la quantità e la varietà degli argomenti trattati. Un giorno, in particolare, mi colpì un articolo che iniziava con una citazione brevissima, in greco, racchiusa in una sillaba e attribuita ad Aristotele: tì; (cos'è?). Il riferimento era alla domanda-base di tutta la ricerca, alla curiosità della mente che si pone i problemi che poi tenta di risolvere. A volte stavo su quelle pagine un po' gualcite finché le ore passavano e l'Istituto cominciava a ripopolarsi nel primo pomeriggio; tornavo allora ai vetrini e al microscopio, ma per un poco sentivo dentro un senso lieve di vuoto e un sincero e sottile rammarico per non aver conosciuto il prof. Costa. (08/01/2003)