QUEI cittadini in coda, spuntati da quel territorio
sconosciuto che è la normalità, non se li aspettava nessuno.
La metafora calcistica è fin troppo ovvia: clamoroso
contropiede del centrosinistra, e proprio su un terreno,
quello elettorale, reso arroventato e ostile dal ribaltone
proporzionalista del governo. Ora l'Unione avrà gioco facile
nell'opporre una mobilitazione democratica di dimensioni del
tutto inattese, non piazzaiola, meditata e composta, al furbo
ribaltone proporzionalista deciso nel chiuso delle stanze del
potere berlusconiano: piaccia o non piaccia le famose "due
Italie", per mentalità e per metodo, in questo scorcio
convulso della lotta politica hanno dimostrato (entrambe) di
esistere davvero.
Le code ai seggi ispirano una retorica democratica fin troppo
facile. Meno facile era crederle possibili e infine
organizzarle in salita e quasi obtorto collo, con la zavorra
di un clima interno avvelenato dai soliti sospetti e dalle
solite piccinerie di fazione (vedi le improvvide dichiarazioni
di Mastella, anche lui travolto dall'esito delle primarie).
Quello che viene da chiedersi, ora, è perché non sia accaduto
prima. Perché, per lunghi anni, un progetto di democrazia
diretta come le primarie abbia tardato tanto a prendere corpo.
Erano una delle poche idee solide, comprensibili e credibili
scaturite dalla mobilitazione della società civile, suffragata
autorevolmente da molta politologia sapiens, e avvertita
comunque come un cambiamento concreto, un segno di mutamento
anche formale che desse sostanza alla fantomatica "seconda
Repubblica".
Un'idea popolare: più potere alla gente, meno alle alchimie
partitiche. Questo, all'osso, è stato lo spirito buono degli anni
Novanta, quello che animò il primo Ulivo, i movimenti di opinione,
i circoli e le associazioni di cittadini che si proponevano, con
qualche goffaggine ma parecchie buone ragioni, di affiancare il
ceto politico, e magari controllarne la rotta. Indicare
direttamente il proprio candidato premier: che cosa, di così
paventabile e dunque rimandabile, conteneva questo proposito, se è
stato necessario aspettare una diecina d'anni per metterlo in
atto?
In una bella domenica di ottobre, almeno un pezzo (importante) di
quello spirito di partecipazione ha trovato il suo sbocco, come se
fosse pronto già da tempo a un appuntamento rimandato così
lungamente. Del clima litigioso e nervoso della nomenklatura
dell'opposizione, nessun segno tangibile nei folti gruppi di
elettori segnalati ovunque di ottimo umore, sorpresi di essere
così in tanti, felici di dovere attendere anche parecchio tempo
per poter scegliere il candidato premier. Premier di una
coalizione, scelto tra sei diversi nomi ma destinato a essere
votato da tutti, secondo uno spirito maggioritario e bipolare che,
specie tra i cittadini di centrosinistra, è avvertito come la
prima delle urgenze, tanto devastante è il continuo riprodursi
delle divisioni interne proprio quando l'avversario è alle corde.
Erano probabilmente due i sentimenti più diffusi tra gli elettori
unionisti in coda, e si tratta degli stessi due sentimenti che
hanno reso possibile una partecipazione così superiore alle attese
più rosee: la voglia di reagire subito, anche contandosi, a una
nuova legge elettorale subita come un trucchetto ignobile, e la
possibilità di sorreggere, per quanto possibile, quello spirito di
coalizione che è intrinseco in una consultazione che sceglie non
il capo di una fazione, ma il leader di tutta l'opposizione.
Se è facile ironizzare sulla sinistra di piazza (anche per
esorcizzarla), meno facile sarà snobbare una sinistra di seggio
come quella scesa in campo ieri, in quantità almeno doppia a
quella soglia di visibilità (un milione di voti) indicata alla
vigilia un po' da tutti. E chissà se qualcuno, nel centrodestra,
sarà in grado di preoccuparsi della lampante sintesi politica che
esce da questi ultimi fatidici giorni, con il governo che torna
precipitosamente al vecchio proporzionale per tentare di
rabberciare i sondaggi maledicenti, e l'opposizione che dà corso,
con le primarie, almeno a un pezzo della vox populi levatasi dopo
la caduta della partitocrazia: più potere ai cittadini. Lo
scontro, dopo la nuova legge elettorale e dopo le primarie, è
prima Repubblica contro seconda Repubblica. Una carta in più, e
che carta, da giocare per l'Unione.