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LA QUESTIONE MORALE
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La cosa strana , della "questione morale", è che esista.
E' come se ci fosse bisogno di spiegare, a uno che passa
col rosso, che era il verde il colore giusto: e su
questo ovvio errore, magari seguito da un botto, si
imbastisce un forbito dibattito. Il punto (dolentissimo)
è che le leggi, altrove, sono convenzioni digerite e
accettate quasi di tutti, per esempio pagare le tasse,
per esempio non maneggiare denaro del quale si ignora la
provenienza, o peggio si sa che proviene da illeciti o
frodi. E se qualcuno sgarra, non c'è nessun bisogno di
rifarsi a Kant o a Loche, e nemmeno a Berlinguer: lui
per primo sa di aver sgarrato, basta il senso comune.
Qui, invece, pare ogni volta di dover risistemare
daccapo le pendenze con Lari e Penati, rivalutare
l'Edipo irrisolto con i padri costituenti o le madri
preoccupate, riallineare i princìpi ai famosi tempi che
cambiano e ricominciare daccapo a discutere se sono
cambiati in peggio o in meglio, se la morale degli
Antichi era per caso moralista, se chi disse "non
rubare, per favore" era un rompiballe che non amava
neanche mangiar bene e le donne allegre oppure era un
Santo...Come se "
non rubare", fosse, da
leggere, una frase di così arduo e ostico significato
che bisogna rifare daccapo tutti gli studi.
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(06-01-2006 Repubblica.)
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