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SE VINCE BERLUSCONI, TUTTI A PARIGI?
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Si dibatte sull'opzione fuga all'estero, nel malaugurato
caso rivincesse Silvietto Nostro. Effettivamente,
sarebbe un eccellente pretesto per trasferirsi a Parigi,
senza neanche più il rischio di incontrare in libreria
Cesare Battisti, con antipatica promiscuità tra esiliati
e latitanti. E da lassù telefonare in Italia e prendere
per il fondelli gli amici rimasti a sfangarsela con
Adornato e Bondi, poverelli. E sostenere che si sta
camminando sul Lungosenna anche se si è, magari,
ingorgati nella più sordida banlieue. Due sole
obiezioni: trasferirsi a Parigi costa un mucchio, specie
se si hanno familiari a carico, e andare in giro "tanto
io me ne vado, ho preso casa a Saint German" non è che
ti renda molto simpatico al panettiere, al postino, al
taxista. Difatti, quando eravamo giovani, quelli che
dicevano "se vincono i comunisti mi trasferisco in
Svizzera" non è che fossero popolarissimi, anzi li si
guardava come fetenti in fuga con l'argenteria. La prima
obiezione, dunque, riguarda la troppo evidente e
fastidiosa discriminante di censo tra chi può mettersi
in salvo, beato lui, e chi rimane a spalare la merde
(francesismo). Ma è la seconda obiezione quella
risolutiva: noi abitiamo qui da un pezzo, che diamine.
Dargliela vinta così? Lasciargli tutto, argenteria
compresa? I posti a noi cari senza più l'ombra di noi
stessi, e lui solo che straparla, e ce li rovina tutti,
con le vaccate che dice?
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(14 -03- 2006 Repubblica).
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