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di Michela Serra
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SE VINCE BERLUSCONI, TUTTI A PARIGI?
 

Si dibatte sull'opzione fuga all'estero, nel malaugurato caso rivincesse Silvietto Nostro. Effettivamente, sarebbe un eccellente pretesto per trasferirsi a Parigi, senza neanche più il rischio di incontrare in libreria Cesare Battisti, con antipatica promiscuità tra esiliati e latitanti. E da lassù telefonare in Italia e prendere per il fondelli gli amici rimasti a sfangarsela con Adornato e Bondi, poverelli. E sostenere che si sta camminando sul Lungosenna anche se si è, magari, ingorgati nella più sordida banlieue. Due sole obiezioni: trasferirsi a Parigi costa un mucchio, specie se si hanno familiari a carico, e andare in giro "tanto io me ne vado, ho preso casa a Saint German" non è che ti renda molto simpatico al panettiere, al postino, al taxista. Difatti, quando eravamo giovani, quelli che dicevano "se vincono i comunisti mi trasferisco in Svizzera" non è che fossero popolarissimi, anzi li si guardava come fetenti in fuga con l'argenteria. La prima obiezione, dunque, riguarda la troppo evidente e fastidiosa discriminante di censo tra chi può mettersi in salvo, beato lui, e chi rimane a spalare la merde (francesismo). Ma è la seconda obiezione quella risolutiva: noi abitiamo qui da un pezzo, che diamine. Dargliela vinta così? Lasciargli tutto, argenteria compresa? I posti a noi cari senza più l'ombra di noi stessi, e lui solo che straparla, e ce li rovina tutti, con le vaccate che dice?

(14 -03- 2006 Repubblica).