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Ogni anno capita che una piantina, un’erba, un arbusto, sia più rigoglioso e riproduttivo del solito. Quest’anno l’orto mi è stato invaso dalla piantaggine che spudoratamente si è infiltrata tra la rucola, capricciosamente tra l’insalata, pericolosamente tra le piantine dei vari peperoncini piccanti. Ne sono contento perché è una pianta simpatica, modesta e… virtuosa, tanto comune quanto trascurata. Le sue foglie lanceolate a malapena si sollevano da terra, i suoi fiori sono appena percepibili, all’apice di radi sottili steli. Verrebbe voglia di trattarla da infestante, ma commetteremmo un’ingiustizia. E’ una pianta antica e la sua struttura così essenziale ce la fa immaginare arcaica. Il De Vitofranceschi, nel suo volume “Dieci piante da riscoprire” ne parla diffusamente e a proposito del nome latino plantago, ci racconta che “esso deriva dal più antico Balantago o Bélantago, che a sua volta deriva per traduzione dal nome gallico Tarbelothadion: nome formato dal prefisso tarvos, <toro> e bélier che è la <bestia belante> cioè il maschio della pecora: l’ariete o il montone. Per cui Tarbelothadion o Tarbelion, sono nomi anteriori a Bélantago, Balantago, Terplantago o semplicemente Plantago, che sono comunque nomi etimologicamente legati al concetto di toro, ma soprattutto a quello dell’ariete, sia come animale terrestre, sia come segno astrologico.” Lo stesso autore ci fornisce anche alcune curiosità storiche: “Il libro sacro di Ermete Trismegisto afferma che la piantaggine governa gli occhi, l’ugola e i denti… Plinio la considerava una specie di panacea e, secondo lui, era in grado di guarire più di 24 malattie. Anche Dioscoride e Galeno le attribuirono proprietà diuretiche, emostatiche, antielmintiche e antimalariche. Tenuta in gran conto dalla Scuola Salernitana, nel Medioevo assurge a rimedio d’elezione nelle malattie femminili, tanto che il Trotula nel suo Trattato delle malattie femminili la consiglia in ginecologia per curare le metrorragie e gli spostamenti dell’utero.” A me fu proposta anche  in Venezuela come “rimedio della nonna” per curare una irritazione gastrica, ma il suo campo di applicazione è veramente notevole.

Perle

Poche piante sono comuni come la piantaggine nella ricca vegetazione del nostro paese. Le foglie di questa pianta si adoperano in decotti dal 3 al 5%, bevendone da 2 a 3 cucchiai al giorno. Per la loro azione alquanto astringente arrestano le emorragie mestruali, i profluvi anche se di origine venerea, e sono utili per i polmoni dei tisici mitigando gli sputi sanguigni. La piantaggine è una delle erbe più benefiche e viene usata dal popolo con meritata fiducia per maturare i paterecci e i foruncoli. (Ida Frattola – Piante medicinali italiane – Angelo Signorelli, Roma, 1977, ristampa)

 

Astringente, decongestionante, antidissenterica e antidiarroica. Viene consigliata negli stati di deperimento organico e nel ritardato sviluppo dei bambini, nelle emorragie (dei polmoni, uterine ecc) nelle dissenterie e nelle diarree. Per uso esterno è efficace come oftalmico nelle congiuntiviti, nelle blefariti, sulle piaghe e ulcere varicose, nelle infiammazioni della bocca (faringite, laringite ecc) nelle dermatosi squamose, nell’acne e sulle punture degli insetti. (Aldo Poletti – Fiori e piante medicinali – Il Mandarino Editore, 1996)

 

Siamo di fronte ad un’altra pianta dagli effetti vasti e prodigiosi. Con 3 cucchiai delle sue foglie in un litro di acqua bollente si prepara un tè del quale si prendono 3 tazzine al giorno in caso di turbercolosi, emottisi, bronchi infiammati, catarro, tosse, affezioni della gola, mucosità polmonari e intestinali, bruciore di stomaco, diarrea, dissenteria, itterizia, affezioni della vescica e infiammazioni renali e intestinali. Lo stesso tè serve per combattere infiammazioni nella bocca, in gola e alle tonsille. (Silvio Rozzi Sachetti – tradotto da “Las plantas, fuente de salud” – Pia Societad de San Pablo, Santiago, 1984)

 

La piantaggine, pur poco appariscente, è un’erba medicinale di grande valore: le foglie in decotto servono per purificare i polmoni e l’apparato digerente, ma per i suoi principi attivi la pianta è indicata anche nelle convalescenze e nei ritardi di sviluppo infantile, nelle emorragie, nell’emofilia e in molti disturbi respiratori. (Enciclopedia della Medicina Alternativa – Gruppo Futura, 1995)

La ricetta

Piantaggine in vino bianco. 100 gr di burro, 1300 gr di foglie di piantaggine tagliate a pezzi, 1 cucchiaino di semi di mostarda, 0,25 l di vino bianco secco, 1 cucchiaino di sale e 1 di pepe, 2 cucchiai di farina. Mettete una padella sul fuoco moderato e sciogliete il burro. Mettetevi dentro le foglie di piantaggine e giratele finché il burro le copra interamente. Schiacciate i semi di senape e aggiungeteli. Girate di tanto in tanto finché non è cotto (non più di 15 minuti) e aggiungete il vino, il sale e il pepe. Portate a ebollizione, ben coperto e con il fuoco al minimo. Bollite per 10 minuti finché le foglie sono tenere. Scolate la verdura in un piatto caldo, aggiungete al condimento rimasto nella padella la farina e girate il tutto finché non diventa cremoso. Versate sopra la verdura e servite. (Margherita Neri – Buone erbe dei campi – Demetra, 1990)

 

 

 

 

 

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