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Il territorio dell'osso

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 Al sindaco di Anzano di Puglia

 

EDITORIALE
di Tersite

-lettera inviata al sindaco Antonio Rossi, il 23 giugno 2007

 Alla cortese attenzione del Sindaco di Anzano di Puglia(Fg), Antonio RossiAnzano di Puglia

Lunedì  25 giugno 2007 alle ore 17.00 nella Sala Consiliare del Suo Comune si terrà una riflessione aperta sul tema:

 “Istituzioni coese e democrazia partecipata
 per nuove forme di sviluppo”.

   esprimendo il benvenuto a tutte le autorità e ai partecipanti, chiedo a Lei, “padrone di casa”, di dare lettura di queste mie poche ma dense righe, per introdurre nella discussione, un supplemento di riflessione. Mi rivolgo a Lei, anche perché esortato dalla Sua “mission” di uomo dell’istituzioni, così come si legge nella pagina web, dove accoglie e saluta i visitatori del suo comune:Lo scopo principale come amministratore è quello di favorire una partecipazione attiva dei cittadini per la costruzione di un paese solidale”. Leggendo queste poche righe Lei dimostrerà, con i fatti, che sia il tema del convegno sarà onorato e sia che la “democrazia dal basso” ha fatto un primo ed importante passo.

 Caro sindaco Antonio Rossi,

 il passato non s’ignora!

  “Se c’è una speranza, questa è riposta nei prolet. Perché solo loro hanno la forza di rovesciare la loro triste condizione socio-economica”.

 Le vostre popolazioni, sono state lungamente svillaneggiate e rese inermi per la lunga pratica politica caratterizzata dalla formidabile soffocazione della loro rabbia e della loro disperazione.

 Non c’è eco di un sussurro, di un pur lieve accento di voce che si possa registrare dalla martoriata terra definita non a caso “TERRITORIO DELL’OSSO”.

 L’unica esperienza di lotta partecipata risale a circa 40 anni fa. Lotta soffocata dalle “camionette” della polizia e spenta per la pusillanime dei politici del tempo per l’incapacità di difendere un territorio che si vide portare via una ricchezza energetica come il metano ricevendo in cambio una ciotola di riso.

 Difatti, all’indomani dell’individuazione di “importanti giacimenti trovati a 20 km da Foggia” del 13 maggio 1962, in un convegno l’on. De Leonardis disse che “l’enorme ricchezza che assommava a 10 miliardi di metri cubo di metano – mentendo, perché poi si venne a sapere che i pozzi erano 31 e che i metri cubi ammontarono a 22 ed infine a 40 miliardi - dovevano sfruttarsi in loco”.

  Le lotte si tramutarono in denunce contro i dimostranti e il picchettamento dei pozzi fu tolto disperdendo così la rivendicazione di giustizia delle popolazioni. E così mentre le autorità politiche amministrative locali e provinciali si perdevano nelle more delle parole, con un finanziamento di un miliardo e 600 milioni di lire, dell’ISVEIMER,  l’IMI  e l’AGIP con il favore dell’avv. Follieri preappennino di Lucera e futuro senatore fanfaniano, incominciavano a istallare i metanodotti per portare il gas a Napoli e a Taranto.

 Tra promesse di “fabbriche di catalizzatori e combustibili nucleari da insediare nel comune di Biccari, e un programma di sviluppo democratico dell’intera economia della Capitanata e lo sfruttamento in loco promesso dall’Eni” si ebbe una contropartita equivalente ad una fabbrichetta di filati nell’agro di Ascoli Satriano. 

  Indolenza politica che il comune preappenninico di Rocchetta Sant’Antonio ha pagato perché ha dovuto aspettare altri trent’anni  per uscire dal medioevo.

 Tutto questo avveniva nella “regione” agraria dell’APPENNINO che comprende 27 comuni che in quegli anni contava una popolazione di 97.700 abitanti. Ma che già nel censimento del 1971 mediamente calò del 25%; con punte del 46% a Panni, del 32% a Roseto Valfortore, del 31% a Faeto, del 25% a Candela, del 20-25% a Rocchetta Sant’Antonio e a Biccari, del 15% a Accadia e Volturino.

  La forza di questi dati che sicuramente negli ultimi 30 anni si saranno ulteriormente appesantiti danno sufficientemente il quadro del dramma in cui si trovano le popolazioni del TERRITORIO DELL’OSSO, così come lo definì Rossi Doria.

 Un territorio marginale affetto da depressione economica, segnato dalla povertà, dal deterioramento e senescenza umana, dal degrado territoriale è nuovamente sotto scacco dopo la nuova colonizzazione delle multinazionali dell’eolico.

 Poiché vede ancora una volta gli operatori politici e la classe dirigente dell’Appennino in situazione di vassallaggio nei confronti dei nuovi sfruttatori della nuova ricchezza, quale l’energia eolica. Perché a fronte del forte e quasi totale saggio di profitto a vantaggio delle aziende, alle comunità locali la ricompensa che sarà data assommerà alla “salvifica” cifra del 1-2% di tutta la ricchezza prodotta.

 Con queste cifre che testimoniano ancora una volta uno sconvolgente ritorno al passato, un’intera classe politica, di tutta la regione appenninica dauna, continua a ritrovarsi ipocritamente a torno al tavolo per illudersi di rappresentare un ipotetico ”avvocato del popolo”, nascondendo a se stessa, nei fatti, il continuo sperpero delle proprie ricchezze e la svendita del proprio territorio.

 Davanti a questo fallimento solenne, innegabile, che dovrebbe risvegliare le coscienze, fin qui sonnecchianti, e rappresentare da che parte stanno le responsabilità, per un domani migliore non resta, con determinazione, che lottare con coraggio e servire con senso di giustizia le comunità da voi governate, rimettendo alle proprie popolazioni il risarcimento dovuto.  

 Siccome che la questione eolica è la cagione reciproca di quella di 40 anni fa, e il tutto sembra partorire dall’eterno circolo vizioso interno al quale si dimena la politica locale, lo scoramento mi fa dire che il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche delle popolazioni dei paesi preappenninici restano irraggiungibili. Come all’ora così oggi, tra montagne di miliardi le uniche a rimetterci sono sempre le popolazioni. Per loro non è data, ancora, la possibilità di raccogliere nemmeno una qualche briciola.

 Bisogna fare delle scelte. Scelte coraggiose. Vincere il vassallaggio, vincere il campanilismo e sentirsi tutti parte di una unica sfida. Una unica battaglia. Popolazioni e rappresentanti insieme.

 Se vogliamo dimostrare di esser parte della stessa storia allora occorre guardare al comune spirito comunitario e avere la forza di riaprire la questione eolica costituendo un direttorio unico che tratti in nome delle popolazioni nel rispetto dei tanti bisogni che aspettano ancora di essere soddisfatti.

 Diversamente c’è il rischio che lo show della fiction politica diventi realtà!

 P.S. E’ superfluo provare rabbia impotente per le esperienze di all’ora e i fatti di oggi. Ma è altrettanto ingenuo avvertire che ci troviamo di fronte alla possibilità di aprire il cuore alla speranza.

 Perché, ancora una volta, davanti a noi, da una parte c’è lo sfruttatore e dall’altra c’è lo sfruttato. Da una parte c’è l’oppressore e dall’altra c’è l’oppresso. E la domanda di giustizia e di uguaglianza nella libertà dai bisogni, non legali, ma reali, resta ancora giacente.

 Per dirla con George Orwell: “finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza”. Fino ad all’ora i “prolet” potranno continuare a generare forza lavoro che dovrà avventurarsi lontano da casa per cercarsi il pane.  

Grazie per la cortese attenzione,

 Cordialmente

 Vito Feninno* 

 (La repubblica di tersite, 23 giugno 2007)

monti dauni meridionali, territorio dell'osso

 

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