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L'appello
dell'Unione intercomunale dell'Appennino dauno (Quindi, quando abbiamo scritto,
nei giorni scorsi, - con Rocchetta nel burrone e Dopo la tragedia si
accendono le fiaccole
- che la storia politica e quella fisiografica si sono intrecciate in
un quadro di dissesto politico e idrogeologico per colpa dell'opera
ignava e miope dei nostri amministratori, avevamo detto il giusto!?)
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GLI
ALBERI FERMERANNO IL DISSESTO IDROGEOLOGICO
di
Angelo Pio Buffo
Un
territorio che frana, un dissesto idrogeologico ogni
giorno sempre più profondo, il problema del
disboscamento selvaggio: è questa la fotografia
dell'Appennino Dauno che l'autorità di bacino della
Puglia ha scattato di recente nel Piano di assetto
idrogeologico (Pai), rilevando le zone di frana e le
zone soggette a possibili alluvioni. La mappa realizzata
dagli studiosi rappresenta un vero e proprio campanello
d'allarme per tutta la Daunia. Le esondazioni
dell'Ofanto nella notte fra il 23 e il 24 marzo scorso,
lo straripamento del torrente Vulgano che ha creato
enormi difficoltà all'azienda Metalsifa, mettendo a
rischio il posto di lavoro dei suoi 60 dipendenti, le
alluvioni che nelle settimane scorse hanno causato la
morte di due operai olandesi impegnati nella
manutenzione delle pale eoliche, rappresentano solo il
fenomeno più appariscente dello sfacelo complessivo in
cui versa l'Appennino Dauno. «Occorre intervenire al più
presto - dichiara Mimmo La Bella,
segretario
dell'Unione
Intercomunale del Appennino Dauno
- prima che il dissesto idrogeologico e l'abbandono
dell'Appennino non trascini con se l'intera Capitanata e
con essa la Puglia. La mia non è una lamentela. Né la
solita rituale richiesta di interventi straordinari o la
supplica per la dichiarazione dello stato di calamità,
o per attivare la protezione civile. E' un grido forte e
chiaro, come il rumore dell'onda anomala dell'Ofanto che
si è abbattuta sulla stazione di servizio della
Foggia-Potenza la notte fra il 23 e 24 marzo 2006. L'Appennino Dauno - dice La Bella
- da anni è sfruttato e abbandonato. Le nostre risorse
sono state dissipate e portate altrove. Il metano si sta
esaurendo e le fabbriche, nate come compensazione
sociale per lo sfruttamento, sono sparite ancora prima
del metano».
La critica alla gestione dei problemi relativi
all'assetto idrogeologico arriva dall'Unione
Intercomunale dei Ds, che raggruppa le sezioni dei
ventinove comuni delle due Comunità Montane dei Monti
Dauni. «Le dighe - continua La Bella - ci hanno portato
solo frane ed alluvioni, senza restituirci neanche
l'acqua per bere. Il vento sta modificando il paesaggio
portando altrove le ricadute di una gestione sociale
delle pale eoliche. Noi stessi abbiamo
concorso al disastro arando i terreni più acclivi e
montani, i canali di scolo e le cunette.
E' giunta l'ora che la smettiamo di seminare dove il
terreno frana e di coltivale lungo le piane alluvionali
dei torrenti, soprattutto con piante perenni, tanto poi
la calamità ci rimborsa tutto. Smettiamola di chiedere
dichiarazioni di calamità naturali per una successione
di disastri che tutto sono tranne che naturali. Per
risolvere questa situazione di difficoltà viene
auspicato un progetto d'insieme che tenga presente le
istanze complessive dell'Appennino». «A noi dell'Alta
Daunia - evidenzia la nota dell'Unione Intercomunale-
sta a cuore il futuro della Capitanata e della Puglia di
cui siamo parte integrante.
Riteniamo che il
modello di sviluppo basato sulla competizione a tutti i
livelli ha prodotto solo sfaceli.
Esso deve essere sostituito con la collaborazione e la
cooperazione. Allora cominciamo a fare i conti con il
disboscamento ed il dissodamento dei terreni e promuoviamo una
stagione di forestazione epocale: 1.000-2.000 ettari di
reimpianto all'anno.
Prendiamoci l'onere e la responsabilità di indicare le
linee per il futuro della Città diffusa dell'Alta
Daunia, partendo dal sistema viario e delle
comunicazioni immateriali per essere al centro del mondo
globalizzato, finendo al sistema dei servizi alla
persona per costruire efficienza, solidarietà e
socialità, cultura, ricerca. Tutto ciò sarà possibile
solo se sapremo rivendicare ed utilizzare efficacemente
le risorse strategiche dei Por e della nuova Politica
agricola comune con cui realizzare il distretto
agro-zootecnico, silvo-energetico incentrato intorno ad
una nuova concezione per il parco dell'Appennino, quale
nuovo snodo dell'Appennino Parco d'Europa, in cui la
specie vera da proteggere, capace di proteggere tutto il
resto, è la specie umana che
deve diventare stanziale e prolifica. Un progetto
improntato alla sostenibilità ed equità ambientale dello
sviluppo».
di
Angelo Pio Buffo
(fonte: la gazzetta
del mezzogiorno, 31/03/2006)
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LINK COLLEGATI:
Un
paese in rovina: le foto della vergogna
Rocchetta nel burrone
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Dopo la tragedia si accendono le fiaccole
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