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 La leggenda della Cappella Ipogea

Passarono gli anni … il Vescovo di Milano trasferì il debole prevosto, venne un prete più giovane e più deciso: i Musazzi non avevano dimenticato, così i loro parenti e tutto il paese e, già questo da solo, era un miracolo.

Furono di nuovo raccolti i risparmi di tanti, molti parrocchiani incitati dal giovane pretino dettero il loro contributo:

"Non si vuole, non si vuole lassù dall’alto dei potenti che si costruisca una cappella a cielo aperto – tuonava dall’altare – la costruiremo là dove e come potremo" … " … anche di nascosto, sottoterra come gli antichi cristiani", diceva poi, pian piano, nel segreto del confessionale a chi gli chiedeva delucidazioni.

L’idea piacque molto ai parrocchiani e, lavorando volontariamente, tutto il paese partecipò all’impresa santa di scavare, contenere, rafforzare, fondare, murare, allestire, addobbare: si lavorò in gran segreto ed un altro gran miracolo fu che il Conte non lo venne a sapere.

Si lavorò di notte, per non farsi vedere, nelle giornate nebbiose, da quelle parti molto frequenti, in quelle gelide, quando nessuno passava: si facevano i turni di guardia ma nessuno, nessuno, fece mai la spia !

Ci vollero ben dieci anni, dieci anni di duro lavoro, ma alla fine la cappella sotterranea fu costruita e mai vi mancarono fiori, candele e lumi ad olio di fronte all’altare dedicato alla Madonna e a Sant’Anna.

La santa era stata addirittura affrescata in un piccolo lavoro "naif", eseguito da un artista locale: l’Alberto.

" L’ Albert dipinge e disegna meglio di Leonardo" – diceva sempre, esagerando di gran lunga, il vecchio Musazzi; ma non c’era bisogno della consulenza di un critico d’arte, se lo diceva il vecchio padre così doveva essere. Anche Rosa, la sorellina ormai maritata che era sfuggita alla violenza, era d’accordo con il giudizio critico del vecchio padre: " Solo Alberto può rappresentare la Santa protettrice della mia sorellina" e piangeva, ancora a distanza di tanti anni, al ricordo dell’accaduto.

E così fu che all’Alberto venne assegnato il compito di affrescare come poteva la Cappella Ipogea (così la chiamava il pretino, ormai cresciuto e incanutito, e nessuno capiva cosa volesse dire quella parola: il pretino non ne rivelò mai il significato, qualcosa voleva pur tenere solo per sé).

Ma la fede non sempre dura in eterno, pian piano della cappella si perse il ricordo e le tracce svanirono, ne rimase qualcuna solo nella memoria del popolo che favoleggia ancora ai quell’unico esempio di architettura sotterranea, in tutta la grande zona dei laghi, frutto di devozione popolare in cui rifugiarsi se tutto fosse andato male.

Nessuno però sapeva bene dove, tutto fu seppellito dal bosco e dall’erba.

 

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