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 Un amico vero: il buon "Ravanel"
La madre quasi morì di dispiacere.

Riuscì ad aggrapparsi alla sua piccolina che ignara piangeva nella culla: Annina salvò la madre dalla consunzione per disperazione.

Ella fu curata e allevata con l’attenzione che aveva posto nell’accudire a tutti i sette maschi e mai quella madre disperata le disse quanto era successo: aveva la tremenda paura che anche Annina si sentisse rifiutata.

All’età di sette anni Annina era diventata una ragazzina dolcissima: ardita e decisa, era capacissima di prendere decisioni con la sua testa e dimostrava molto di più della sua età.

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Come i bambini hanno rappresentato il buon "Ravanel"

Fu allora, e per queste ragioni, che la madre le comunicò la verità su quanto era accaduto: " Guarda mia cara Annina – le disse fra le lacrime e dopo tante e tante circonlocuzioni – devi sapere che hai altri sette fratelli sparsi per il mondo, se ne sono andati sette anni fa, di questi tempi, e non so dove siano, ancora oggi non ne so niente … " e piangeva.

Non se la sentì di dirle la ragione e cioè che l’avevano rifiutata come sorella; fece bene e il buon Dio le rese merito di questo.

Annina fu felicissima di questa straordinaria notizia (com’è strano il mondo) e non vedeva l’ora di reincontrare i suoi sette fratelli: ora sapeva di non essere sola al mondo.

Non stava in sé dalla voglia di ritrovarli ma non sapeva dove sbattere la testa e non aveva il coraggio di chiederlo nemmeno a sua madre: faceva lunghe passeggiate intorno alla casa nella speranza, illogica e assurda, di ritrovare qualche traccia dei suoi fratelli, anche se la speranza era del tutto assurda, perché sarebbero state tracce vecchie di ben sette anni.

Passò mesi e mesi in questo girovagare.

Un giorno capitò nei pressi del vecchio mulino Nebuloni, appartenente ancora ad un discendente della famiglia, era il giorno che pèrecedeva il suo settimo compleanno.

Annina era molto ghiotta delle bacche dei gelsi, erano bianche o nere, dolcissime e le sembravano un dono di Dio da non sperperare e far marcire sugli alberi, per questo ne mangiava il più possibile.

Vide un gelso che n’era pieno, ma le bacche in basso erano già state divorate dai giovani della zona, dovette così arrampicarsi per cogliere quelle più in alto.

Un ramo a cui era appoggiata si ruppe e lei rovinò sui cespugli sottostanti: si spaventò moltissimo, terrorizzata dalle spine e dagli aculei del sottobosco, ma la terra si aprì e lei precipitò in basso, accompagnata da arbusti e terriccio in quella che sembrava una caverna ma altro non era che le vecchia cappella sotterranea di Sant’Anna, crollata su se stessa e dimenticata da secoli.

Immersa nel buio più profondo ma sostanzialmente illesa, le apparve un miracolo: era un lumicino rimasto acceso per tutti quei duecento anni o, forse, si era riacceso con il nuovo ossigeno portato dalla caduta; tant’è, sempre di un miracolo si trattava.

Quel lumicino dava sostanza all’affresco che un tempo aveva fatto il buon Alberto.

La donna che vi era rappresentata apparve ad Annina bellissima e le sembrò parlare, soave e dolcissima, pronunciò queste parole:

"Oh dolce Annina so bene cosa cerchi, so chi ti può aiutare per riuscire in quello che vuoi, si chiama Ravanell ed è un mio carissimo amico. Stai però molto attenta, quello che vuoi fare è difficile e l’unico modo per vincere la tua battaglia è quello di rimanere te stessa."

"Ma dove posso trovare questo Ravanell ?!" balbettò l’Annina, fattasi immediatamente seria seria, quasi non fosse più in quella caverna.

L’icona di Sant’Anna parve sorridere, tutta radiosa e con estrema gentilezza, riparlò:

"Mi stupisci molto, nemmeno sei spaventata da questa caduta: ad altro non pensi che a ritrovare i tuoi fratelli. Eccolo là il Ravanell:

‘Ora a gambe all’aria sembra star,
ma se in piedi rimetter lo vorrai,
l’amore che per lui sentirai
tuo amico per sempre te lo farà’".

Ad Annina tutto questo sembrò uno scioglilingua, ma trovò il coraggio di guardar nella direzione indicata dall’affresco parlante e vide un ciuffo d’erba che spuntava da un interstizio del vecchio impiantito tanto da sembrare tante gambette verdi divincolatesi all’aria, con un lembo di rosso, scuro di quell’oscurità, che si intravedeva proprio vicino alla terra.

Si avvicinò, prese con una mano le gambette verdi che spuntavano, scoprì esser delle foglie e, con la stessa delicatezza con cui sua madre le aveva insegnato a trattare i fiori da porre al centro della tovaglia ogni sera prima di ogni cena, tirò verso di sé quelle foglie.

Pian piano comparve un enorme ravanello, tutto rosso e bianco, che al tocco delle sue carezze si rovesciò e si piantò sulle verdi gambette, le quali riassunsero per l’occasione la loro antica funzione, tutte rutilanti in un vortice assiduo capace di tenere in piedi il grande e grosso Ravanell.

Un bocca, bianca bianca, compariva al centro della grande faccia rossa, due occhi rossi e bianchi sopra la bocca, proprio in mezzo ad una fronte aguzza e triangolare con due barbe di radici che spuntavano dal cucuzzolo di quella che doveva essere una testa ma sembrava un cono appuntito di ceralacca quasi liquida.

Non fu una sorpresa quando il ‘coso’ si mise a parlare, fu una meraviglia per Annina quando capì di trovarsi di fronte ad un folletto: proprio uno di quelli che, secondo tanti, non avrebbero dovuto esistere.

" Ai tuoi ordini, mia salvatrice" – squillò quel ‘coso’ tutto contento – "tu mi hai salvato, perché mi hai rimesso in piedi dopo secoli e secoli: ora mi sento un altro e voglio aiutarti in tutto quello che desideri !"

Era più alto di dieci spanne di Annina, ma lei non se ne curò: "Cosa aspetti, dunque"- gli ordinò, imperiosa e sicurissima di sé- " aiutami a ritrovare subito i miei fratelli".

"Immantinente farotti il tutto" – Ravanell urlò, contentissimo di poter parlare e far finalmente qualcosa di utile, dopo tanti secoli di immobilità forzata.

Gli era rimasto un linguaggio arcaico non sempre comprensibile per Annina e per noi tutti.

Qualche volta sarà tradotto e qualche altra lasciato così come da lui pronunciato o perché non c’è traduzione o perché nessuno saprebbe come farla.

Allora accadde un fatto meraviglioso: Ravanell allungò quattro gambette verdi, diventate manine, avvinghiò e strinse a sé la bambina, la quale non batté ciglio, sicurissima di essere in buone mani.

Il sorriso luminosissimo della santa immagine l’accompagnò fin dall’inizio di quello che sarebbe stato uno splendido viaggio aereo, ancora più bello perché del tutto inaspettato.

La cappella sotterranea, di cui si era persa memoria, e quel ritratto dedicato a celebrare una sventurata, ora serviva ad aiutare un’altra giovane innocente, affinché non perdesse la fiducia nell’avvenire.

Annina si lasciò trasportare in alto, velocissima, in un turbine di vento e polvere, si ritrovò nel cielo, tanto che le parve di essere fra le stelle: insieme al suo Ravanell si sentiva padrona del mondo.

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Vista lago Maggiore

Facendo bussola sul campanile di San Magno a Legnano, e avendo il nastro azzurro dell’Olona come traccia di riferimento laggiù in basso, Ravanell puntò sulla Collegiata di S. Vittore Olona, approfittando del tempo limpidissimo e dell’aria spazzata poco tempo prima dal "phoen", proveniente dalle Alpi, da lì sopra vide il Lago Maggiore e facendo una breve sosta sul giardino dell’Isola Bella, quella dei Borromeo, quasi a riprendere fiato, dopo la grande cavalcata in aria, puntò poi all’improvviso su di una valle laterale del lago, verso la riva occidentale, ancora più selvaggia e impenetrabile.

Ravanell era un folletto molto potente, ma non sempre ragionevole e spesso molto impulsivo: ansioso di liberarsi dalla prigionia sotterranea dove era stato per secoli si era mosso troppo rapidamente e non aveva calcolato lo spostamento d’aria provocato da due corpi in movimento rapidissimo nell’aria.

Lo spostamento d’aria fu tremendo e la cappella rifranò di nuovo su se stessa ed ancora oggi giace là in un luogo sconosciuto a tutti, in attesa perpetua di una buona anima che là cada e la riscopra.

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