LA VENDANO ALL'ESTERO O SE LA PRENDA LO STATO
Eugenio Scalfari*
IL COMMENTO
È VERO che la crisi dell'Alitalia è un bruscolino rispetto a quanto sta
accadendo sui mercati mondiali, ma è pur sempre un fatto che ci riguarda
molto da vicino, mette in gioco il trasporto aereo d'una nazione, il
prestigio d'un governo che è il nostro governo, la rappresentatività d'un
movimento sindacale che discute e firma contratti in nome di milioni di
lavoratori.
Quindi ci occuperemo anzitutto di quella crisi al punto in cui ora è giunta
e di quanto potrà accadere nei prossimi giorni, fin quando la flotta di
bandiera potrà ancora volare.
La cordata tricolore e il piano industriale redatto da Banca Intesa si
fondavano sul concetto della discontinuità. Al di fuori di esso il tentativo
di Colaninno e di Passera non sarebbe mai nato e nessun altro tentativo
analogo avrebbe mai potuto nascere.
Discontinuità a 360 gradi: nell'organizzazione delle rotte aeree, degli
aeroporti, dei velivoli, dei debiti, del personale di terra e di volo e dei
rispettivi contratti.
Discontinuità sommamente sgradita ai creditori di Alitalia, ai suoi
azionisti privati, ai suoi dipendenti, cioè a tutti coloro che avrebbero
dovuto pagare il conto di un dissesto annunciato da molti anni.
Non starò qui a ripetere quali siano state le responsabilità di quel
dissesto, ma debbo ancora una volta ricordare che gli anni terribili sono
stati soprattutto gli ultimi cinque dal 2003 al 2008, dalla gestione
Mengozzi all'affondamento del piano Air France. Un disastro che porta ben
chiari i nomi dei responsabili: in testa l'associazione dei piloti e Silvio
Berlusconi. Anche Prodi ebbe le sue colpe: incertezza, indecisione; ma senza
l'opposizione aggressiva dei piloti e di Berlusconi la via della soluzione
era stata finalmente trovata e si sarebbe realizzata.
Un progetto basato sulla discontinuità dipende in gran parte dalle modalità
del negoziato e dalle capacità del negoziatore. Colaninno questa capacità
l'ha dimostrata in precedenti occasioni ma in questo caso la sua presenza al
tavolo è stata minima. È entrato in scena il penultimo giorno e ne è uscito
subito.
Anche il ruolo di Gianni Letta è stato molto modesto. Berlusconi
praticamente non s'è mai visto salvo per pochi minuti. Tremonti, diretto
azionista dell'Alitalia, assente anche lui. L'unico negoziatore al tavolo è
stato il ministro Sacconi. Una frana.
Sacconi ha impostato l'intera trattativa sugli ultimatum e su una scelta
discriminatoria degli interlocutori. Sapeva fin dall'inizio che il nocciolo
duro da convincere sarebbe stato il personale di volo e le associazioni
autonome che lo rappresentano. Sapeva anche che il tempo utile a
disposizione era breve a causa della pessima situazione patrimoniale e
finanziaria della società.
Sacconi trattava cioè sull'orlo del baratro ma era evidentemente convinto
che spingere il dramma verso il suo punto culminante avrebbe facilitato
l'accordo. Perciò perse volutamente tempo. Si contentò di ottenere il
beneplacito di Bonanni, Angeletti, Polverini che non contavano niente in
questa vertenza; tenne fuori dalla porta i piloti dell'Anpac e le altre
associazioni autonome; scelse come bersaglio la Cgil che accusò fin
dall'inizio di ideologismo politico e di una strategia del "tanto peggio".
I piloti dell'Anpac hanno molte responsabilità come abbiamo già ricordato,
ma ci sono anche alcuni punti fermi che vanno tenuti ben presenti e cioè:
1. Guadagnano meno dei loro colleghi di Air France, British,
Lufthansa. Guadagnano invece di più dei piloti di Air One.
2. Hanno una produttività più bassa dei colleghi di quelle tre
società a causa della cattiva organizzazione dei voli e degli equipaggi;
tuttavia su questo punto avevano dato subito la loro positiva disponibilità.
3. Sia Sacconi sia il commissario Fantozzi hanno posto il negoziato
sotto scadenze ultimative di 48 in 48 ore pena la messa immediata in
mobilità di tutto il personale e, ovviamente, la sospensione dei voli. Ma
poiché le 48 ore passavano e gli aerei continuavano regolarmente a volare
l'effetto è stata la perdita di credibilità sia del ministro sia del
commissario.
Ma l'errore di fondo è stato un altro e porta il nome di Silvio Berlusconi.
Il "premier" aveva assunto in campagna elettorale l'impegno di favorire una
cordata tricolore e questo ha determinato la strategia del governo
producendo però un gravissimo vizio di forma nella procedura: ha vincolato
il commissario Fantozzi a privilegiare come controparte la cordata
Colaninno.
È vero che la legge Marzano, appositamente riscritta per l'occasione,
prevede la trattativa privata, ma non prevede l'esclusiva. Fantozzi è stato
tuttavia insediato con la condizione di preferire almeno in prima battuta la
cordata Colaninno la quale a sua volta, forte di questo privilegio, ha
fissato le condizioni pensando che su di esse sarebbe stato relativamente
facile acquisire il consenso dei sindacati confederali.
Il tema del contratto col personale di volo è stato completamente
sottovalutato sia da Colaninno sia da Sacconi. E quando Epifani ha fatto
presente la verità e cioè che la rappresentatività dei sindacati confederali
era pressoché nulla per quanto riguarda il personale di volo questa onesta
ammissione è stata ritenuta segno di tradimento e di irresponsabilità sia da
parte del governo sia da parte della Cisl e sia dalla quasi totalità dei
"media" giornalistici e televisivi.
* * *
Ancora ieri il presidente del Consiglio ha ribadito che le soluzioni sul
tappeto sono soltanto due: accettare il piano industriale di Colaninno o il
fallimento.
Ma non è così. La procedura impone a Fantozzi di sollecitare altre offerte
di acquisto per l'Alitalia, in blocco senza discontinuità oppure soltanto
per una parte degli asset. Se il commissario di Alitalia si sottraesse a
questo suo urgente e inderogabile compito verrebbe meno ai doveri del suo
ufficio e sarebbe passibile d'esser messo sotto accusa da parte della Corte
dei conti per aver causato grave danno erariale alle casse dello Stato.
È ben comprensibile che una soluzione di questo genere, l'arrivo d'un
cavaliere bianco che a questo punto non potrebbe essere altri che uno dei
grandi vettori stranieri, sarebbe una penosa sconfitta d'immagine per il
"premier", ma non è comunque in sua facoltà bloccare una procedura prevista
dalla legge. Salvo di nazionalizzare l'Alitalia, magari temporaneamente,
seguendo le procedure imposte in analoghi casi dalla Commissione di
Bruxelles.
Gli esempi che proprio in queste ore vengono dagli Usa ci dicono che in casi
estremi la politica, in mancanza di alternative e per evitare guai peggiori,
può e anzi deve ricorrere a estremi rimedi.
* * *
Il rimedio adottato - tardivamente - da George W. Bush è chiaro ed è stato
già ampiamente descritto ieri dai giornali di tutto il mondo: creare un
apposito veicolo federale che si assuma l'onere di acquistare tutti i
titoli-spazzatura che ingombrano i portafogli del sistema bancario
americano, pagabili al 65 per cento del loro prezzo nominale. Il costo
dell'intera operazione è di 700 miliardi di dollari, cifra iperbolica alla
quale il Tesoro farà fronte emettendo titoli propri e/o addirittura
stampando carta moneta.
Un provvedimento analogo fu preso nel 1932 in piena depressione americana e
mondiale con la creazione della Reconstruction Finance Corporation. Come si
vede le analogie con la crisi iniziata nel 1929, che raggiunse il suo
culmine anche in Europa a tre anni di distanza, sono molto forti con la
situazione attuale pur nelle ovvie differenze.
In sostanza si tratta d'un salvataggio senza limiti di cifra dell'intero
sistema bancario americano e mondiale perché non solo americano ma anche
mondiale è stato l'inquinamento provocato sui mercati finanziari dai
titoli-spazzatura.
Sarà sufficiente quest'intervento colossale a ridare fiducia e stabilità ai
mercati? Probabilmente sì, ma ci saranno altri effetti che sono fin d'ora
prevedibili. Stabilizzare il sistema e salvarlo da un crac totale è un
risultato non solo utile ma necessario. Pensare che sia indolore e privo di
conseguenze sgradevoli sarebbe però illusorio e sbagliato.
* * *
Il costo di questa gigantesca operazione si scaricherà inevitabilmente sul
bilancio federale Usa, già oberato da un antico e ampio disavanzo. Le
previsioni più attendibili (riportate da Federico Rampini nel suo articolo
di ieri) calcolano che il costo dell'intervento sarà del 7 per cento del Pil
degli Stati Uniti. L'inondazione di liquidità avrà effetti cospicui sul
tasso d'inflazione americana.
Più difficile è prevedere quale sarà il comportamento del dollaro sul
mercato dei cambi. La ripresa in grande stile dei valori delle Borse potrà
provocare un afflusso di capitali esteri e quindi un rialzo del tasso di
cambio della moneta Usa, ma la prospettiva di inasprimenti fiscali e le
dimensioni del disavanzo di bilancio potranno a loro volta provocare uno
spostamento di capitali dal dollaro ad altre monete. Non dimentichiamo che
il sistema finanziario Usa ha vissuto e vive sul paradosso d'esser
finanziato non già dal risparmio interno ma dal risparmio internazionale. La
crisi in atto può attirare capitali speculativi a breve ma può anche
indirizzare altrove il risparmio internazionale. Del resto il vero e proprio
crollo delle riserve della Fed avvenuto in questi mesi è un segnale in
questa direzione.
Complessivamente ci sembra di poter dire che le forze di stagnazione
economica siano maggiori delle forze di sviluppo per la semplice
constatazione che lo sforzo di stabilizzare da parte del Tesoro serve a
ripianare i debiti e non a rilanciare gli investimenti e la domanda.
Se questi effetti si produrranno sarà difficile scommettere sulla locomotiva
americana e sui suoi effetti tonici verso il resto del mondo.
Post Scriptum. Ha fatto sensazione leggere il nome di Marina Berlusconi nel
nuovo consiglio di amministrazione di Mediobanca, nella sua qualità di
rappresentante di Fininvest, presente con l'uno per cento nel patto di
sindacato di Piazzetta Cuccia.
La presenza di Marina Berlusconi è pienamente legittimata dalla presenza
della Fininvest nel capitale di Mediobanca; non toglie che rappresenti
un'altra anomalia del sistema Italia. Fininvest ha amici potenti e
collaudati nel cda di Piazzetta Cuccia: Mediolanum, i francesi di Tarak Ben
Ammar, Ligresti, Tronchetti Provera, Geronzi. Per quel tanto che conta in
Mediobanca, c'è anche Banca Intesa.
La famiglia Berlusconi si muove da tempo per stabilire rapporti intrinseci
con le banche e l'establishment assicurativo e finanziario italiano oltre
che con quello industriale. Sono passati i tempi del Berlusconi che sparava
sulla grande impresa e sulla grande finanza sostenendo gli interessi e le
aspettative delle partite Iva e delle piccole imprese.
È finita la caccia alle allodole ed è cominciata quella al cinghiale. La
stessa operazione Alitalia mira a questo risultato. Dietro la bandiera
tricolore c'è sempre un sottofondo di interessi politici ed economici, ma
questo lo sappiamo da un pezzo e accade in tutto il mondo.
fonte "la
repubblica.it - del
21-settembre-2008 -
(la
repubblica di tersite del 25 settembre 2008)
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