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LA DEVOLUTION

 

                            
         EDITORIALE
     di Tersite
          
                          Approvata la devolution
Da oggi l'Italia è una e divisibile. 26 Ottobre 1860, ore 8:30. Al bivio di Taverna Catena, presso Teano, Garibaldi consegnava a Vittorio Emanuele II le province meridionali e unificava il suolo italico; 16 novembre 2005 il Cavaliere d'Arcore consegna al "padano" Bossi l'Italia divisa. Cdl: "giornata storica". Allora i briganti del mezzogiorno d'Italia erano dei patrioti!? E' la seconda volta che i "padani" scappano con la cassa. La prima con Cavour, la seconda con l'uomo di Pontida. Allora, l'Unità serviva per avere manodopera per l'avvio del processo di industrializzazione del nord; oggi, in una economia globalizzata e fortemente competitiva, il federalismo serve, sempre, alla parte più ricca: questa volta, per tagliare i ponti con la parte più arretrata del Paese.  il sottotenente poeta garibaldino Cesare Abba, dopo che le milizie sabaude presero possesso del mezzogiorno, disse profeticamente:“…non saremo più alla testa, ci metteranno alla coda”. La realtà di quel momento storico continua….Povera Italia. ...speriamo che il referendum bocci tale scelleratezza politica!

A Teano s’incontrarono due Italie

Gli effetti della “valorizzazione” delle aree depresse

26 Ottobre 1860, ore 8:30. Al bivio di Taverna Catena, presso Teano, Garibaldi consegna a Vittorio Emanuele II le province meridionali. Restano da conquistare solo Capua e Gaeta. Consegnato il Regno delle due Sicilie, Garibaldi parte da Napoli per ritirarsi a Caprera a fare il contadino. Il Re, ringraziandolo, gli disse che non avrebbe più avuto bisogno di lui.  Cavour aveva vinto. Le forze economiche trovarono nuova espansione e il popolo, del defunto regno, trovò nuove dolorose sopraffazioni. A capo delle municipalità, delle prefetture e delle caserme s’insediarono il personale amministrativo piemontese.

Da allora, il nuovo Stato con capitale Roma, dal 1871, ha sempre dispiegato la sua politica conservatrice. Politica che intreccia da sempre le sorti fortunose delle forze produttive del paese. Per il mezzogiorno d’Italia la politica liberal-conservatrice ha solo e sempre pensato in termini di sussidiarietà e mai produttivi. Le politiche di sviluppo per il meridione hanno solo e sempre visto interventi di natura “straordinaria” e “aggiuntiva” e mai di natura ordinaria. La classe politica di questo paese per noi gente figlia di un dio minore ha solo pensato in termini di “preindustrializzazione”: interventi di lavori pubblici. A volte vere opere di civiltà come l’acquedotto pugliese del 1914 costato 300 milioni del vecchio conio. O la direttissima Roma-Napoli. Molte altre volte, vere e proprie cattedrali nel deserto; dove i finanziamenti scorrevano nei molteplici rivoli del voto di scambio. Lavori pubblici che dovevano conseguire la creazione d’infrastrutture a sostegno della nascitura attività produttiva, finiscono invece per risultare investimenti improduttivi, di mantenimento e rafforzamento tra potere industriale e potere fondiario.

La frattura che separa economicamente il nord e il sud è ancora oggi tristemente certificata dall’istituto statistico italiano. La sentenza dell’ISTAT è patente: la differenza di reddito pro capite, il forte tasso di disoccupazione e il basso tasso d’occupazione, le larghe fasce di povertà, la ridotta spesa sanitaria, la contrazione dell’erogazione di servizi socio-sanitari e culturali testimoniano il primato rovesciato del meridione d’Italia. Questa situazione d’inferiorità - determinata dalla classe politica - nel corso del processo unitario ha portato a definire il sud “area depressa”. La classe politica di stampo conservatrice con la definizione di “area depressa” non ha fatto altro che creare nuove aree d’espansione interne al territorio italiano per garantire alla classe industriale un maggior saggio di profitto. Il restringimento delle aree produttive del nord per saturazione e deturpamento del territorio e lo sproporzionato sviluppo del sud hanno spinto le imprese a ricercare nuove aree d’espansione e sfruttamento.

Così, l’aver definito il sud area depressa ha permesso alla Fiat di beneficiare di finanziamenti pubblici e di far accettare ai lavoratori di Melfi condizioni di lavoro da sfruttamento, e ha consentito la gestazione di interventi protezionistici in materia di politiche industriali come: i patti d’area, i patti territoriali, e gli accordi di programma, regalando alle imprese allettanti saggi di profitto e riservando ai lavoratori-contadini – cafoni di Fontamara – la torchiatura. A testimonianza che le forze produttive del paese nella continuità della direzione aperta dall’intervento statale non sono preoccupate a rimuovere gli ostacoli sociali ed ambientali. Ecco perché  questo processo d’integrazione unitario, nei fatti, ha determinato l’asservimento delle popolazioni meridionali alle forze economiche e non, viceversa, reso un popolo emancipato. Se guardiamo al caso Fiat e al nascente Patto Territoriale nell’agro di Ascoli Satriano, nel tentativo di “valorizzare” un’area depressa, leggendo la documentazione che fa da stura all’insediamento produttivo, si vede ancora una volta che le suddette aree restano asservite agli interessi economici: i forti e cospicui  incentivi alle imprese fanno da contro altare ai compressi salari dei futuri lavoratori. Il che non libererà le popolazioni dalle loro condizioni di miseria e non favorirà un miglioramento del loro tenore di vita.

Non è il caso di esecrare il comportamento delle comunità locali interne al patto costrette a scegliere il male minore perché preoccupate di dare un futuro alle proprie popolazioni. Ma va da sé che non possiamo esimerci dal segnalare che ci si muove sempre lungo la direzione tracciata dal sistema. Rimanendo  in una condizione di subalternità.

Ulteriore prova è l’asservimento del nostro territorio dauno che le amministrazioni locali, in mancanza di un programma di sviluppo economico autonomo coerente con la vocazione della natura del territorio, hanno ceduto ai produttori d’energia eolica che, in cambio di un 2% sulla produzione, hanno modificato l’aspetto paesistico e paesaggistico dei contrafforti collinari. Altra testimonianza che ci rincorre, da oltre 60 anni, con tutta la sua gravità, - solo per restare nel nostro “depresso” territorio dauno - è che la gente di Rocchetta S. Antonio, di Candela, di Ascoli Satriano, di Deliceto, di S.Antaga di Puglia,  di Anzano, e di tutto il tavoliere è stata abbandonata nella condizione di impensierirsi solo di recuperare 51 o 101 o 151 giornate lavorative bracciantili per integrarle poi con il sussidio di disoccupazione o richieste di malattia.

Pratiche di un lavoro raffazzonato che ancora subordina il meridione a non esplodere; ma che la concorrenza di manodopera tra residenti che lavorano per 35 e/o 40 euro al giorno e immigrati extracomunitari che si offrono per 20 euro al giorno potrebbe far deflagrare. Scoperchiando quella pace sociale ricercatamente addomesticata. Fatti di una realtà che stanno già creando seri problemi economici e sociali nel comune di Orta Nova.

Sotto un cielo carico di nubi che non promette niente di buono,  c’è bisogno di “illuminati” capaci di indicare uno scampo. Una via nuova. Una via che abbandoni la politica dello “struscio” e del farsi “trascinare” come vagoncino di coda. Una classe politica di “galantuomini” che si metta a capo del convoglio e operi per fare riconquistare alle popolazioni meridionali il riconoscimento della loro dignità e del loro valore. Una classe politica che dia l’avvio ad una svolta culturale e politica capace di sottrarre il mezzogiorno dalla definizione di area depressa per evitare di sottostare ad un atto d’elemosina concessa da chi ne ha voglia a chi ne ha bisogno.

Sulla strada che porta a Teano, Garibaldi consegnò l’Italia meridionale al Re ricevendone in cambio solo una stretta di mano e il rifiuto di far continuare a combattere i garibaldini a fianco degli ufficiali piemontesi. Così, l’eroico Garibaldi dopo aver conquistato un regno si ritirò a Caprera portando con sé un sacchetto di sementi, una balla di stoccafissi, una cassa di maccheroni, un sacchetto di zucchero e l’immancabile caffè.

Mentre quella stessa mattina il generale piemontese Della Rocca, assicurava la moglie del principe Santagapito di stare tranquilla: “... non tema signora marchesa, noi non abbiamo a che fare con quella gente, veniamo appunto per ristabilire l'ordine”; - facendo intendere che i garibaldini erano considerati con disprezzo sia dal re, che dal suo stato maggiore - il sottotenente poeta garibaldino Cesare Abba  frofettizzò:“…non saremo più alla testa, ci metteranno alla coda”. La realtà di quel momento storico continua….

          del 16 novembre 2005
   
 

-  la repubblica di tersite -