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La via crucis di un paese

 

 
EDITORIALE
di Vito Feninno
 

 

 LA "PASSIONE" DI UN INTERO PAESE

Con candore, e senza stupore, è facile vedere passeggiare sottobraccio, con compiacenza, i “signori” che regnano senza troppi problemi nel paese.

In verità mi sento un’anima candita! Non mi lamento di nulla. So come vanno le cose a questo mondo. Non ho voglia di confessarmi. E soprattutto mi rifiuto ostinatamente di sedermi nei “salotti buoni” (buoni, si fà per dire!) dove è facile conoscere e fraternizzare con  i “capitani” di ventura che dettano la rotta della tinozza rocchettana. Ma non per questo ci si può abbandonare al disinteresse per il proprio paese, anche se la dissimulazione è l’astuzia prevalente degli abitanti dall’aria triste e scontenta.

Quindi contravvenendo a questa pregiudiziale che ostruisce il fluido parlare, e incatenandomi alla schiavitù del diritto di  parola, con rispetto, mi accingo a rompere il tabù. A dare corpo al disincanto. E a compromettere, Dio non lo voglia,  la propria reputazione pubblica, per aver osato.  Ma tutto è considerato: soprattutto l’attacco alla orgogliosa reputazione di spirito che mi porto dalla nascita. Ma mi basta che lo “spirito” lo si lasci vagare liberamente là dove nessuno si lamenta di nulla, se non in annoiati crocicchi protetti dalla chiacchiera della non ufficialità. Non temo i rimproveri, ho un carattere liberale, da fiero normanno, e so che sono circondato da giovani dall’aria di semplicità e dalla grazia ingenua e piena di innocenza che non appena intravedono qualche sfrontato si accendono di animo e beffardamente si buttano all’assalto.

Ma non per questo lascerò il mio paese! Sono altri che debbono essere destituiti: tutti sanno; ma tutti “parlano” con voce tremolante: si sa, ognuno pensa di affrancarsi dalle tribolazioni della vita mettendo il proprio figlio o se stesso sotto la protezione dei regnanti.

Costa caro diventare “liberali”. Ma non mi permetto di biasimare questa indolenza:  quanto si sa che è l’indifferenza a procurar guadagno e a non far precipitare la futile e illusoria voluttà, tra queste brulle e dissestate montagne.       

In questo paesaggio provinciale tutta la vita ci appare pittoresca. La realtà viene fantasticata, viene trasposta: non si trova nessuno nella necessità di descriverla oggettivamente. Nessuno vuol perdere la sua misera “posizione di rendita”: per piccola che sia è imprudente compromettere gli agi che essa assicura.

Tutto è in contrasto. Con l’ormai infiacchita lotta per i bisogni reali. Le cause di questo malverso costume sociale e culturale sono regolate dalla storia del luogo: prevaricare facendo profitto.

Quelli che possono prevaricare, anche se appartengono a mondi diversi, ci tengono a mantenere l’ordine esistente, da cui traggono profitto. Ognuno di loro teme il mutamento, che minerebbe ai loro beni. E’ per questa paura che il trono e l’altare si saldano indurendo l’immobilismo della comunità e allontanando dal “salotto buono” – dei capitani di ventura - qualsiasi pensiero audace che possa portare i germi del cambiamento.

In questo paesaggio bucolico non ci sono i cosiddetti liberali. Borghesi liberali, che dovrebbero essere i cosiddetti spiriti attivi; che grazie alla loro facoltosa condizione economica potrebbero opporsi da antagonisti per contrastare l’immobilismo sociale, culturale e politico. Ma, non si odono voci di questi liberali; si sono consegnati fedelmente al proficuo silenzio, perché  segretamente certuni aspirano a qualche incarico municipale e certi altri a conservare il buon nome che gli conferisce un popolo devoto. Nuovi piccoli borghesi menzogneri, che devono i loro profitti alla grande fabbrica pubblica: il municipio. Piccoli borghesi, compatibili con la storia del luogo, che puntano a conquistare tribune e coni di luce; e che per riuscirvi sono disposti a qualsiasi compromesso, incuranti, affatto, degli interessi del popolo, che in verità disprezzano. Sono loro che trionfano e troneggiano sulle rovine di un paese battuto. Non se ne fanno scrupolo. E se chiamati in causa si giustificano armeggiando la doppiezza del motto del luogo: se sei fesso, stattene a casa”.

E così, mentre i cosiddetti liberali – vecchi e nuovi - bramano e si tirano i pollici,  il potere politico s’appoggia ad una fazione clericale, ormai invadente da diversi anni, dando vita ad una sorta di partito che potremmo chiamare “confraternita del sacro soffritto”, che tesse reti in tutto il paese arrivando a controllarne il tutto e difendendo gli interessi dei confratelli.

Sembra quasi che si sia formata una nuova confraternita sul modello ottocentesco denunciato dal Libertazzi (Popolazione, società e confraternite a Rocchetta S. Antonio, ed. A. G. adversiting) dove “non si deve dimenticare che dietro le nostre confraternite si collocava tutto il clero ricettizio e la più titolata borghesia locale” e, continua ancora il Libertazzi, “non ci sentiamo di escludere una considerazione, anche se non prescritta, le confraternite avevano la capacità di evidenziarsi specialmente fuori dalla vita confraternale, di sapersi imporre anche nella pratica e nella vita sociale del nostro centro. Dove tutto questo può apparire esagerato si ricordi che la confraternita amministrava una rendita abbastanza consistente e che gli appoggi per l’elezione in un istituto locale, laico o ecclesiastico che fosse, doveva necessariamente trovare un tornaconto o appoggi similari nella rotazione delle cariche nelle altre istituzioni locali. In tal caso, potremo parlare di forme di spartizione all’interno della borghesia del paese. Tale articolazione, del resto, si collegava ad una ideologia dell’ordine assolutamente non estranea alla società rocchettana del tempo….Fuori dall’istituto delle confraternite rimaneva la massa dei nullatenenti, dei bracciantili o “iurnatieri” a cui, a questi inferiori, comunque non veniva negata un’assistenza religiosa diversa.”

Una sorta di nuova confraternita, quindi. “Del Sacro Soffritto”. Mutuata dal Concilio di Trento. Che raccoglie nelle proprie fila esponenti della nuova e vecchia piccola borghesia locale e del clero laico costituitasi in un unico e potente sodalizio sul piano sociale, che sorveglia e che continua a regnare sulle anime – comunque servite di una assistenza religiosa diversa -  e sul corpo in decomposizione della piccola comunità. 

Siamo davanti ad una gravità senza eguale, c’è qualche speranza di uscirne? Per quello che mi riguarda non si può certo dire che manco di spirito etico. Se sono certo della mia perfetta buona fede,  che importa;  se probabilmente – ahimè - chi attente risposte dovrebbe avere una ragione di più perché non s’inganni!

(fine,prima parte)

del 03.05.2006

   

- la repubblica di tersite -